(ASAPS) Forlì, 23 agosto 2010 – Mentre l’Italia rientra a casa, nell’ennesimo e annunciatissimo bollino nero, la storia di Marina Badiello, ammazzata da due delinquenti in fuga, rischia di passare inosservata. Questo, non è giusto. Intanto perché la tragedia di una mamma che non torna a casa, per la balordaggine di due delinquenti in fuga meriterebbe da sola la prima pagina di tutti i giornali. E ciò non è accaduto. E poi perché la serie di interrogativi che l’evento pone, deve avere una risposta, nel più breve tempo possibile. Ma, temiamo, che ciò non accadrà. La storia di Marina non è un giallo, sul quale far accapigliare gli esperti forensi. È un semplice caso – non venga frainteso l’aggettivo – che si è aperto e chiuso in un lampo. Un episodio di criminalità, quella che molti si ostinano a definire, commettendo un madornale errore, con il prefisso “micro”. Per microcriminalità, infatti, dovremmo intendere l’insieme dei reati minori, circoscritti a un ambiente o a una situazione sociale particolare. Uccidere una persona, rapinarla, derubarla, non è un reato minore. Nel paese in cui la truffa è così scarsamente rilevante, sul piano giuridico, dall’essere considerata solo una scocciatura, anche la morte di Marina Badiello vale sì e no un trafiletto in cronaca. Vorremmo dire che non possiamo permetterlo, ma dobbiamo purtroppo limitarci a constatare che, invece, pur essendo frustrati dall’inevitabile indifferenza con cui questa morte sarà archiviata, ciò avverrà eccome. Il perché – e questo aumenta la nostra frustrazione – è dovuto al fatto che il nostro paese non è in grado di difendersi. Non sappiamo se ciò dipenda dal fatto che non sappia farlo o che, semplicemente, non voglia. Si parla tanto di pubblica sicurezza, di contrasto alla criminalità, di continui giri di vite. Eppure, nessuno riforma il codice penale (e la sua procedura d’applicazione), per fare in modo che delinquenti seriali come questi non nuocciano più alla società o che, una volta comprovato il loro profilo criminale, per professione o per tendenza, sia impedita loro la libera circolazione. I due arrestati, che di professione dicono di essere “giostrai”, hanno una fedina penale chilometrica. Furti, rapine, ricettazioni e legami di parentela, più o meno diretti, con altri soggetti della stessa risma. Uomini e donne i cui cognomi cambiano di poco, che vivono in campi nomadi, in case che i comuni affidano loro mentre, in molti casi, edificano a prestanome villette bunker dove stipare la refurtiva. Molti di questi, lo diciamo perché lo sappiamo per esperienze dirette (anche queste si tramandano tra colleghi e uffici, come se si trattasse di un fenomeno incontrastabile), reiterano gli stessi reati decine di volte, e solo quando arrivano in là con gli anni vedono notificarsi un ordine di carcerazione per cumuli di pene varie (indulti e amnistie permettendo), ma, a quel punto, c’è l’età, ci sono le malattie, le fughe. Dunque, lo stato non sa difendersi o non vuole? Mentre si dibattono, in politichese, questioni sui delitti e sulle pene (non volevamo scomodare il Beccaria), le forze di polizia dello Stato sono senza mezzi, organici e con un’età media che si innalza pericolosamente. A scappare, sulla Golf che ha ucciso Marina, c’erano due ventenni: potranno mai essere acchiappati, di corsa, da un cinquantenne o da un sessantenne? Il coordinamento non c’è e, mentre in Europa tutti (o quasi) hanno risolto problemi analoghi ai nostri, noi dobbiamo assistere a inutili sovrapposizioni e alla mancanza assoluta di coordinamento. Nel frattempo, mentre si chiacchiera, la gente muore. (ASAPS)
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