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Incidenti stradali la vera pandemia del terzo millennio
I dati dell’OMS

Un milione e 270 mila morti all’anno
Diventeranno 2.400.000 nel 2030
Cosa si sta facendo?

 

(ASAPS) - Ricordate l’influenza aviaria? Copertura mediatica globale, inviati in tutto il mondo, provvedimenti d’urgenza approvati da centinaia di parlamenti, economia a picco, eserciti di tute bianche intente a sterminare e distruggere milioni di volatili altrimenti destinati ad imbandire le tavole del pianeta. Ebbene, dal 2003, anno dell’allarme rosso che fece salire al massimo livello di allerta i dispositivi sanitari, i casi accertati sono stati in tutto 436, con 262 vittime accertate, la maggior parte delle quali registrate proprio nel 2009 – a microfoni ormai spenti – in Indonesia (141 casi, 115 vittime) ed in Vietnam (111 contagi, 56 morti). Parola della World Health Organization, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che pubblica online la tabella aggiornata al 1° luglio 2009. Ma la “bird-flu”, o per dirla scientifica l’Avian Influenza A/(HN51), non è più di moda. Dopo l’encefalopatia spongiforme bovina, il cosiddetto morbo della mucca pazza, anche la paura dei polli era finita. Oggi tocca a quella dei maiali, l’H1N1, divenuta ben presto – forse per risparmiare ulteriori crolli nei consumi – una semplice “Pandemia”, certamente più letale. Nel 2009 ha ucciso nel mondo 429 persone, con 94.512 contagi. Anche in questo caso il dato e dell’OMS, che pubblica sul proprio sito internet un bollettino aggiornato al minuto secondo. Nel silenzio più generale, dalla stessa fonte apprendiamo il dato relativo ad una pandemia diversa: il contagio non avviene per contatto, ma generalmente per impatto, e quando si manifesta nella forma più letale non c’è vaccino o cura che tenga. La morte sfigura i corpi, più della lebbra, le ferite restano per sempre, spesso la guarigione è parziale. Inutile continuare nel gioco di parole e andiamo al sodo: l’OMS ha reso noto – nel mese di giugno – l’ultimo bollettino planetario della Sicurezza Stradale, arrivando a calcolare in 1 milione e 270mila le vittime della strada nel mondo, con una stima per i feriti tra i 20 ed i 50 milioni di unità.  La metà di questi sono pedoni, ciclisti e motociclisti. Dunque, è una pandemia che colpisce i soggetti più deboli della libera circolazione, quelli che si muovono più piano, che non inquinano (o che inquinano di meno), che non possono contare su anticorpi come airbag, cinture di sicurezza, bullbar, carrozzerie super. A leggerlo, il rapporto, è letteralmente terrificante. Sono 351 pagine di un documento pdf consultabile gratuitamente sul portale dell’Organizzazione, presentato il 15 giugno a New York e finanziato da Bloomberg Philantropies, che nessuno in Italia sembra aver letto. In queste pagine si spiega come la velocità sia una delle cause principali di lesione e morte e che quando non sia ad essa direttamente imputabile un sinistro, è un fattore di aggravio delle conseguenze. La strada, tanto per dare una notizia, è uno dei principali fattori di handicap. Per limitare le conseguenze ai “vulnerable groups of road users”, niente o quasi viene fatto, paesi virtuosi a parte. Il dossier è accurato: si ritiene tenga conto del 98% della popolazione mondiale, avendo effettuato ricerche in 178 paesi, ed offre a tutti noi uno dei più formidabili strumenti di raffronto tra i paesi del pianeta. Si va dal tasso zero di paesi prodigio come quelli Scandinavi alle mattanze della Cina o dell’ex URSS, passando per le Americhe, Africa e Oceania.  Ci siamo tutti: ci sono le nostre trasgressioni e le contromisure, dai limiti di velocità alla guida in stato di ebbrezza, dalla cintura di sicurezza ai seggiolini per bambini fino al casco per i motociclisti. La vera notizia, però, è che entro il 2030 la cifra dei morti potrebbe raddoppiarsi. Dunque, invece che pandemia potremmo presto riferirci a quello stradale come ad un nuovo “olocausto”.  “Abbiamo constatato che in molti paesi la legislazione necessaria per proteggere la popolazione non esiste affatto o non è omogenea – dice il direttore generale dell’OMS Margaret Chan – e anche in molti di quei paesi nei quali questa legge esiste, viene fatta applicare in misura ridotta. Non prestiamo sufficiente attenzione ai bisogni dei pedoni, dei ciclisti e dei motociclisti – aggiunge – dei quali molti si trovano in ospedale senza alcuna colpa. Se vogliamo che il numero di vittime e di handicap cessi di aumentare o cominci a scendere, dobbiamo fare qualcosa”. In una megalopoli come New York, gli incidenti stradali sono la principale causa di morte per le persone appartenenti alla fascia d’età dai 5 ai 44 anni.
“Per la prima volta disponiamo di dati affidabili – spiega il sindaco della Grande Mela, Michael Bloomberg – che possono ben orientare i nostri sforzi. La necessità di ottenere la massima sicurezza stradale deve essere presa in considerazione in tutte le fasi di pianificazione, da quella urbanistica e infrastrutturale a quella del sistema trasporti. È necessario che i vari paesi comincino a parlare e cooperare tra loro”. Il tasso di mortalità è infatti estremamente diverso tra il nord ed il sud del pianeta: nei paesi più evoluti, infatti, si va verso una riduzione o una stabilizzazione del dato, ma nella maggior parte del Terzo Mondo l’ultimo decennio ha coinciso con una crescita esponenziale. Così tanto che le stime fanno rabbrividire: nel 2030, stando così le cose, in morti sulle strade del globo saranno 2 milioni e 400mila.  Inoltre, se i sistemi di emergenza territoriale non raggiungeranno standard adeguati, il numero di mutilati e di portatori di handicap crescerà a dismisura.  Ma la crisi economica e il disinteresse hanno già raggiunto livelli tali, in questo campo, da rendere il Rapporto qualcosa di più di una sorta di triste presagio. Di più: è un trattato scientifico-statistico. Nel dossier è riportato addirittura il numero di veicoli a motore immatricolati in ognuno dei 178 paesi, con l’aggiunta dei dati relativi agli investimenti sul trasporto pubblico e per favorire gli spostamenti a piedi o in bicicletta. Immaginiamo che rispetto a Francia, Svizzera, Germania o Austria, paesi nei quali ogni strada è affiancata da una pista ciclabile, l’Italia non possa sperare nemmeno in una posizione onorevole.  Qualcosa di meglio, il Belpaese, lo merita quando si parla di norme di fabbricazione dei veicoli e sugli obblighi di legge (codice della strada).  La sensazione, è che si tratti dell’inizio di un percorso: il Rapporto è qualcosa di più di un Libro Bianco. È, secondo noi, la Stele di Rosetta della Sicurezza Stradale, la vera presa di coscienza del mondo scientifico che la strada uccide quanto le malattie cardiovascolari e neoplastiche. Uccide e mutila e la cura non consiste in un vaccino.  È vero che i dati non sono ancora del tutto affidabili, perché molti paesi non dispongono di un sistema di analisi statistico valido e dunque c’è il sospetto che quel milione e 270mila persone uccise sia in realtà un numero inferiore a quello reale. I sistemi più affidabili, propri dei tre paesi considerati più sicuri (Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia), sono di tipo europeo e questo ci fa ben sperare anche per il nostro amato Stivale. Un dato assolutamente certo è che meno di un terzo dei paesi adotta politiche di riduzione della velocità nei centri urbani e che meno della metà dei 178 stati prevede una soglia alcolica inferiore o pari a 0,5 grammi di alcol per litro di sangue, così come raccomandato per contrastare la guida in stato di ebbrezza. Solo nel 40% delle nazioni, inoltre, vigono leggi per l’uso obbligatorio del casco per conducenti e passeggeri dei motoveicoli, mentre le cinture di sicurezza vengono indossate regolarmente solo nel 38% dei paesi che dispongono di una legislazione in materia (il 57% del totale).
La metà del pianeta, purtroppo, è sprovvista di una normativa relativa al trasporto dei bambini (seggiolini e spessori), ma solo per 2 stati su 10 si tratta di una legge seria ed affidabile. Le conclusioni sono poco incoraggianti e forniscono uno spaccato davvero tetro della Terra: un viaggiatore siderale che decidesse si sostare nel terzo pianeta del sistema solare, scoprirebbe infatti che solo il 15% dei suoi paesi dispone di una legislazione in materia di sicurezza stradale fondata sull’azione di contrasto ai principali fattori di rischio e anche se sulla carta le norme ci sono, vengono fatte rispettare in una minima parte. Infatti, solo il 9% dei paesi ha ottenuto una valutazione superiore a 7 (in una scala da 0 a 10) sull’applicazione effettiva dei limiti di velocità. A questo punto viene da chiedersi se non sia il caso di convocare un G8, allargato magari a tutti gli altri paesi del mondo, sulla (in)sicurezza stradale. (ASAPS)

 

Mercoledì, 11 Agosto 2010
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