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Articoli 10/03/2004

PATRICIA, SALVATA DALLA STRADALE MENTRE STA PER GETTARSI NEL VUOTO, RITROVA LA FIDUCIA PER ANDARE AVANTI.

Una di quelle storie vere che riconciliano il lavoro in divisa con la fatica di vivere.

PATRICIA, SALVATA DALLA STRADALE MENTRE STA PER GETTARSI NEL VUOTO, RITROVA LA FIDUCIA PER ANDARE AVANTI.
Una di quelle storie vere che riconciliano il lavoro in divisa con la fatica di vivere.

di Lorenzo Borselli

Il cuore di Patricia batte forte. Il vento le smuove i capelli, fischia forte attorno a lei su quel viadotto altissimo dell’autostrada. Davanti ai suoi occhi, che è sotto i suoi piedi, il vuoto di un mondo che l’ha divorata, lasciandole solo angoscia e tanta voglia di silenzio. Ansia di rompere ogni relazione, di sottrarsi a quella tortura. Il piede scivola negli ultimi istanti della sua vita ormai agli sgoccioli, sguscia esitando sui sassolini di un muretto triste, sbocconcellato dallo stillicidio della montagna mentre le gocce, come lacrime, prendono la via del baratro prima del suo corpo, ormai sospeso nel vuoto e assicurato alla vita da una stretta che si allenta.
Alle spalle un autotreno, che romba arrancando sulla salita del Turchino, verso un valico che guarda Genova e il suo mare dall’alto, come il viandante che prima di passare nell’immensa pianura rivolge un ultimo sguardo al Tirreno su cui si specchia, infuocato, il sole.
Il cuore di Patricia si ferma un attimo, arresta il suo battito prima dell’istante fatale, come il respiro di un atleta che precede l’impresa definitiva, quando tentare non si può.
Allora lascia la flebile presa e si lascia avvolgere dal caldo abbraccio di un silenzio che attorno diventa assoluto, pesante, come il corpo che prende velocità nell’orrido del nulla, verso un ammasso di ricordi ormai già senza significato.
Non c’è perché. Non ci sono una ragione o un motivo. Ma due braccia l’afferrano, sottraggono il corpo di Patricia alla velocità del baratro, all’ineluttabilità di quel burrone oscuro. Braccia apparse dal nulla, sbucate nel momento in cui una donna che è anche madre lascia la presa e la vita; braccia che l’afferrano mentre il battito del cuore è ancora fermo per l’istante fatale dell’addio.
Sono braccia forti che a fatica riescono a contrastare la forza oscura che vuole Patricia, che il burrone reclama e che attira a sé con i suoi artigli invisibili. Il velo che copre gli occhi, che obnubila i sensi di una donna ormai stanca della vita sembra avere il sopravvento e l’espressione è rassegnata, offuscata da un sonno ipnotico che la domina, indotto dal siero di una morte che la voleva a tutti i costi.
Sarà forse quello il tarlo che esplode e la costringe a guardare di chi sono quelle due braccia, diventate nel frattempo quattro. Braccia forti e amiche, che lei tuttavia combatte divincolandosi, implorando le menti che le comandano a mollare quella presa, unica forza ormai a sottrarla al baratro.
Ma l’abisso pretende la sua vittima sacrificale e aumenta la forza, così tanta che le braccia da sole non possono farcela e Patricia trascina con sé i due angeli, consegnandoli al buio. Il tarlo la inquieta, la scuote. Poi esplode la consapevolezza e decide di dare ancora una possibilità alla vita che i due angeli le riportano.
Angeli venuti dal nulla, arrivati in silenzio, messaggeri di vita che Patricia non voleva più.
Sembrano davvero, in quel momento, araldi della divinità, superiori ai mortali di un mondo scialbo e cattivo che la ragazza odia e che rifiuta; un mondo che ha portato Patricia a inerpicarsi su quel viadotto che le è sembrato altissimo, come se le fosse servita una campata di 170 metri per vincere l’ultimo duello di una sfida che la vedeva finora sconfitta.
La donna che voleva morire, la madre che implorava alle braccia che la tenevano di lasciarla andare, reagisce al messaggio di vita che gli angeli le hanno portato. Si aiuta e si fa aiutare, torna sui suoi ultimi passi prima della voragine e poi accetta di farsi prendere per mano fino al nuovo giorno che si apre, con un’alba stupenda che illumina il suo viso.
È stato davvero il primo giorno di una vita ricominciata, perché Patricia non ha lasciato cadere il suo corpo nel burrone e il messaggio degli angeli che l’hanno strappata alla morte, che pure voleva.
Angeli con una divisa, guidati lì, sul viadotto alto 170 metri da un soffio invisibile. Angeli che si chiamano Gianluca Sproviero e Emanuele D’Aiuto, arrivati un istante prima di quello fatale, usciti malconci a loro volta dall’incontro con Patricia, una mamma americana poco meno che quarantenne convinta di aver chiuso con tutto.
Una mamma che scrive del suo gesto, tenendosi per sé il perché, ma che ringrazia i suoi salvatori con parole bellissime.
Ne chiede, da americana, la promozione e racconta a tutti della sua decisione di farla finita, di quel vento fortissimo sulla montagna del Turchino che copriva i passi degli angeli giunti fin lì per salvarla, lanciatisi sul suo corpo che scivolava, che si divincolava, che voleva a tutti i costi morire.
E poi racconta di quando sono riuscite, quelle braccia, a riportarla sul muretto triste e sbocconcellato dalla pioggia, dove l’hanno abbracciata forte forte, temendo probabilmente che il buio, alla fine, avrebbe ottenuto in un modo o in un altro la sua vita.
"...e in quell’ultimo attimo di vita, un momento pieno di disperazione, alzai gli occhi e vidi due angeli, accorsi per strapparmi alla morte..."

di Lorenzo Borselli

Mercoledì, 10 Marzo 2004
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