Il
diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di
linea riconosciuto dalla Regione Lombardia alle persone totalmente invalide
per cause civili in possesso della cittadinanza italiana e della residenza
in Lombardia deve estendersi ai cittadini stranieri residenti nella regione.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 432 del 2
dicembre 2005, dichiarando l’illegittimità costituzionale
dell’art. 8, co. 2, della legge della Regione Lombardia n. 1/2002,
come modificato dall’art. 5, co. 7, della legge della Regione Lombardia
n. 25/2003, nella parte in cui dicrimina dal novero dei fruitori della
provvidenza sociale, gli stranieri in quanto tali in violazione del principio
di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
(Altalex, 6 dicembre 2005).
SENTENZA N. 432
ANNO 2005
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma
2, della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi
per lo sviluppo del trasporto pubblico regionale e locale), come modificato
dall’art. 5, comma 7, della legge della Regione Lombardia 9 dicembre
2003, n. 25 (Interventi in materia di trasporto pubblico locale e di viabilità),
promosso con ordinanza del 30 giugno 2003 dal Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia, sul ricorso proposto da CGIL Lombardia ed altro
contro la Regione Lombardia, iscritta al n. 821 del registro ordinanze
2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.
43, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di costituzione della CGIL Lombardia ed altro e della Regione
Lombardia;
udito nell’udienza pubblica del 25 ottobre 2005 il Giudice relatore
Giovanni Maria Flick;
uditi gli avvocati Vittorio Angiolini per la CGIL Lombardia ed altro e
Nicolò Zanon e Andrea Manzi per la Regione Lombardia.
Ritenuto
in fatto
1.
– Con ordinanza depositata il 30 giugno 2004, il Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 32,
primo comma, 35, primo comma e 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma
2, della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi
per lo sviluppo del trasporto pubblico regionale e locale), come modificato
dall’art. 5, comma 7, della legge regionale 9 dicembre 2003, n. 25
(Interventi in materia di trasporto pubblico locale e di viabilità),
«nella parte in cui non include i cittadini stranieri residenti
nella regione Lombardia fra gli aventi il diritto alla circolazione gratuita
sui servizi di trasporto pubblico di linea riconosciuto alle persone totalmente
invalide per cause civili».
Il giudice rimettente premette di essere investito del giudizio –
istauratosi su ricorso proposto da un cittadino extracomunitario e dalla
CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro) regionale nei confronti
della Regione Lombardia – per l’annullamento della deliberazione
di Giunta regionale n. 7/16747 del 12 marzo 2004, la quale – ponendo
“una nuova disciplina” per il rilascio delle tessere di trasporto
pubblico regionale – consente la circolazione gratuita, sui servizi
di trasporto pubblico di linea nel territorio regionale, agli invalidi
civili alla duplice condizione del possesso della cittadinanza italiana
e della residenza in Lombardia. Il rimettente espone che l’impugnato
provvedimento costituisce puntuale attuazione di quanto disposto dall’art.
8 della legge della Regione Lombardia n. 1 del 2002, come modificato.
La norma – nello stabilire condizioni di favore per gli appartenenti
a determinate categorie, tra cui quella degli invalidi totali al lavoro
– esige quali presupposti del beneficio la cittadinanza italiana
e la residenza nel territorio della Regione; pertanto, in forza di essa,
il ricorrente – riconosciuto invalido totale con permanente inabilità
lavorativa e costretto a recarsi, con i mezzi pubblici, in ospedale tre
volte alla settimana per praticarvi la dialisi – si era visto privare,
a decorrere dal 31 luglio 2004, della “tessera di libera circolazione”
di cui era già possessore.
Il Tribunale rimettente – concessa incidentalmente al ricorrente
misura cautelare per autorizzarlo ad usufruire del menzionato titolo di
trasporto nonostante l’entrata in vigore della novella legislativa
– dubita della legittimità costituzionale dell’art. 8,
comma 2, della legge regionale n. 1 del 2002, ritenendo, innanzitutto,
la questione rilevante ai fini della definizione del giudizio: sia in
ragione del fatto che l’eventuale annullamento del provvedimento
impugnato – costituendo, quest’ultimo, replica pedissequa del
contenuto della norma – risulterebbe una decisione pressoché
inutiliter data; sia in relazione all’esito della tutela cautelare
concessa, «non essendo sufficiente la sospensione della delibera
di giunta richiamata in assenza dell’espunzione dall’ordinamento
della norma […] alla quale la disciplina di cui alla delibera medesima
dà, sul punto, solo attuazione».
In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo prospetta
innanzitutto un contrasto tra la norma censurata e l’art. 32, primo
comma, della Costituzione: tale parametro, qualificando diritto fondamentale
dell’individuo il benessere psicofisico, presuppone una titolarità
di esso “priva di distinzioni”, accedendo così ad una
nozione di “individuo” indubbiamente comprensiva anche dello
straniero residente in Italia, poiché la salute costituisce un
bene primario universalmente riconosciuto. Per contro, la norma censurata
non include nel beneficio in questione, pure riconosciuto in ragione di
condizioni di salute, gli stranieri residenti in Lombardia, benché
affetti da totale invalidità fisica.
A parere del rimettente, la norma denunziata violerebbe, altresì,
il canone di ragionevolezza, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione,
in quanto essa introduce un trattamento differenziato rispetto a situazioni
che non presentano elementi di diversità rilevanti per l’ordinamento,
venendo comunque in rilievo misure di sostegno a favore di individui gravemente
invalidi.
Inoltre – rileva ancora il giudice a quo – poiché il
beneficio è anche finalizzato alla tutela di quanti si trovano
«in difficoltà rispetto al lavoro per favorirne il recupero
delle energie psicofisiche», la norma in questione si pone in contrasto
con l’art. 35, primo comma, della Costituzione.
Infine, il TAR rimettente ritiene che la norma in questione violi l’art.
117, secondo comma, lettera a), della Costituzione. In esito alla riforma
del Titolo V della carta fondamentale, vige la riserva di legislazione
statale, in via esclusiva, sia per la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi
su tutto il territorio nazionale, che per la statuizione dei principî
fondamentali in materia di tutela della salute: settori, questi, che –
secondo il giudice a quo – «non possono non riguardare anche
lo status giuridico dei cittadini stranieri». Nondimeno – conclude
il rimettente – la norma in questione, stabilendo profili distintivi
tra cittadini italiani e stranieri in relazione a prestazioni essenziali
concernenti il diritto alla salute, «sembra porsi al di fuori della
competenza costituzionalmente riservata alle Regioni»: e ciò,
nonostante la legislazione sugli stranieri (art. 2, comma 5, del d.lgs.
25 luglio 1998, n. 286) preveda la parità di trattamento tra cittadini
italiani e cittadini di stati extracomunitari nell’accesso ai pubblici
servizi.
2. – Nel presente giudizio hanno spiegato costituzione sia la CGIL
Lombardia, in persona del legale rappresentante e segretario generale,
che il privato ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento
della questione di costituzionalità e riservando a successiva memoria
ogni ulteriore deduzione.
3. – Si è altresì costituita in giudizio la Regione
Lombardia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale,
concludendo per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza
della questione.
Nell’atto di costituzione, la Regione – premessa una ricostruzione
storica della normativa regionale in tema di agevolazioni per l’utilizzo
dei servizi di trasporto pubblico – evidenzia innanzitutto come la
cittadinanza italiana sia «requisito di fondo sempre costantemente
richiesto […] per l’accesso alle agevolazioni tariffarie»
sui servizi di trasporto pubblico della Lombardia, secondo un modello
ampiamente diffuso in varie legislazioni regionali, e non costituisca,
quindi, un’innovazione della disciplina impugnata: un requisito che
vale a coniugare la possibilità di un’estesa fruizione del
beneficio con i costi notevoli di esso. Ad avviso dell’ente regionale,
la circolazione gratuita per alcune categorie di soggetti non può
configurasi né come una prestazione essenziale, né come
una soluzione costituzionalmente obbligata; essa non rientra neppure in
quei “servizi minimi” o in quegli “obblighi di servizio
pubblico” cui si riferiscono gli artt. 16 e 17 del d.lgs. 19 novembre
1997, n. 442 (Conferimento alle Regioni e agli enti locali di funzioni
e compiti in materia di trasporto pubblico locale), trattandosi, piuttosto,
di una scelta discrezionale del legislatore regionale, il cui onere ricade
integralmente sulla finanza dell’ente locale, tenuto a rimborsare
alle aziende concessionarie del servizio di trasporto le agevolazioni
tariffarie. Evidenziati, in proposito, gli oneri economici già
gravanti, per il passato, verso le aziende di trasporto regionale ed illustrate
le penalizzazioni finanziarie dell’ente regionale in ragione della
sostanziale preclusione di ogni potestà legislativa in materia
tributaria, la Regione Lombardia analizza, quindi, i contenuti specifici
dell’ordinanza di rimessione, deducendo, in via preliminare, una
serie di eccezioni di inammissibilità.
Sotto un primo profilo, si contesta un difetto di motivazione dell’ordinanza
in ordine alla rilevanza della questione: ciò in quanto, preesistendo
alla normativa impugnata il requisito preliminare della cittadinanza italiana,
non si spiegherebbe – né l’ordinanza di rimessione varrebbe
a chiarire il fatto – il precedente godimento di un titolo per il
trasporto gratuito da parte del ricorrente; donde il difetto di motivazione
sulla rilevanza. La difesa della Regione eccepisce, poi, la manifesta
inammissibilità della questione perché formulata in maniera
contraddittoria, richiedendo il rimettente, per un verso, un intervento
additivo di estensione del beneficio anche agli invalidi stranieri, e
prospettando, per altro verso, un intervento ablativo, sul presupposto
della violazione di una regola di competenza da parte del legislatore
regionale: con la conseguente eliminazione del diritto anche per gli invalidi
di cittadinanza italiana. Infine, essa eccepisce, comunque, una generale
carenza di motivazione dell’ordinanza circa la non manifesta infondatezza.
Nel merito, la difesa regionale evidenzia, innanzitutto, l’inconferenza
del richiamo all’art. 32 della Costituzione. La disciplina regionale
impugnata, infatti, risulta finalizzata esclusivamente ad una incentivazione
ed agevolazione del servizio di trasporto pubblico, a nulla rilevando
che il ricorrente nel giudizio a quo se ne serva per ragioni di salute;
a conferma dello scopo normativo indicato, la Regione richiama l’inclusione,
tra i beneficiari del trasporto gratuito, di categorie di soggetti –
quali gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria – non bisognosi
di una particolare tutela della salute. In nessun caso, peraltro, potrebbe
ritenersi che «il diritto alla salute includa, tra le prestazioni
garantite, quello ad essere trasportati gratuitamente, anche in caso di
invalidità, ai luoghi di cura»: ciò perché,
a parere della difesa della Regione, nel “nucleo irriducibile”
di prestazioni essenziali del diritto alla salute, in quanto diritto suscettibile
di essere “finanziariamente condizionato”, non può certo
farsi rientrare il trasporto gratuito, che è una prestazione meramente
accessoria.
Non sussiste inoltre – prosegue la Regione – alcuna violazione
al principio di ragionevolezza: i requisiti della cittadinanza italiana
e della residenza in Lombardia costituiscono altrettante “condizioni
preliminari” per l’accesso ai benefici, frutto di indispensabile
bilanciamento tra l’esigenza di estendere il più possibile
il numero dei soggetti destinatari e di contenere l’esborso economico;
pena , in caso contrario, la eliminazione totale del beneficio stesso.
La difesa della Regione, quindi, argomenta sulla piena corrispondenza
e conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che,
secondo i principî generali, la deve assistere. Ad avviso di essa,
la disciplina censurata – lungi dal volere innestare qualsiasi forma
di discriminazione nei confronti dello straniero – prospetta «un
serio legame con il territorio regionale» – espresso dalla
cittadinanza italiana e dalla residenza regionale, requisiti entrambi
conseguibili dallo straniero – quale punto di equilibrio tra agevolazione
sociale e scarsità delle risorse: scelta, questa, incensurabile
proprio perché aliena da profili di irragionevolezza.
D’altra parte, il contrasto con l’art. 3 della Costituzione,
sotto il profilo della irragionevolezza, è escluso – prosegue
la difesa della Regione – dalla circostanza che la situazione dello
straniero e del cittadino italiano sono completamente equiparabili solo
con riferimento ai diritti fondamentali, nel cui novero non rientra –
neppure per gli invalidi – il diritto di circolare gratuitamente
sui mezzi pubblici.
In ordine alla pretesa violazione dell’art. 35 della Costituzione,
vengono contestati sia l’assoluta insufficienza delle motivazioni
addotte, sia il presupposto da cui muove l’argomentazione del giudice
rimettente, apparendo “francamente difficile” che un’agevolazione
concessa essenzialmente a coloro che sono inabili al lavoro possa violare
la citata norma costituzionale.
Infine – conclude la difesa della Regione – non è ravvisabile
alcuna violazione dell’art. 117 della Costituzione. Per un verso,
infatti, il beneficio in questione non può in alcun modo qualificarsi
come livello essenziale di prestazione concernente i diritti civili e
sociali; mentre, per altro verso, la competenza statale sui ‘principî’
sussiste in relazione a ciò che attiene al contenuto essenziale
dei diritti e, con riferimento al diritto alla salute, il trasporto gratuito
agli invalidi non può rientrare nel nucleo essenziale di tale diritto
sociale.
4. – In prossimità dell’udienza, la difesa delle parti
private ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento della
questione di costituzionalità.
Quanto al diritto alla salute, si assume che ogni distinzione basata sulla
cittadinanza sia fonte di una inammissibile discriminazione, atteso per
che gli invalidi civili – categoria cui appartiene il ricorrente
– il trasporto gratuito si rivela funzionale ad «agevolare
l’accesso alle cure» e soddisfare le esigenze connesse al diritto
alla salute: con la conseguenza che «negare il primo significherebbe
compromettere il secondo». D’altra parte – prosegue la
difesa privata – è la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale
a riconoscere alla protezione della salute una «significativa preminenza
su altre esigenze ed interessi pubblici», impedendo quindi di operare
distinzioni rispetto alla condizione dello straniero.
Con riferimento alla prospettata violazione dell’art. 3 della Costituzione,
la duplice limitazione cui la norma denunciata subordina il trasporto
gratuito – vale a dire la cittadinanza italiana e la residenza in
Lombardia – sarebbe di “flagrante incostituzionalità”
proprio per la stretta connessione tra beneficio della circolazione gratuita
e diritto alla salute degli invalidi, non potendosi dubitare che i diritti
civili, economici e sociali – per i quali la Costituzione non contiene
alcun riferimento esplicito alla titolarità dei “cittadini”
– vadano classificati tra i “diritti fondamentali dell’uomo”
e, come tali, da assicurare a prescindere da nazionalità e cittadinanza.
Profilo, questo, normativamente ribadito nella più recente legislazione
italiana sugli stranieri, in particolare nell’art. 41 del d.lgs.
n. 286 del 1998, il quale stabilisce l’equiparazione degli stranieri
ai cittadini italiani, «ai fini della fruizione delle provvidenze
e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse
quelle previste […] per gli invalidi civili».
In «frontale contrasto» con tali principî, la norma
impugnata, escludendo gli invalidi civili totali non cittadini dal novero
dei beneficiari del trasporto gratuito, risulterebbe priva di ogni «razionale
giustificazione», posto che il requisito della cittadinanza non
presenterebbe alcuna «connessione né con il bisogno di cure
né col legame col territorio nel quale i servizi dovrebbero essere
fruiti». Sussisterebbe, dunque, mancanza di consequenzialità
tra il fine perseguito attraverso il riconoscimento del beneficio ed il
criterio introdotto dalla legge per usufruirne.
Infine, secondo la difesa privata, la normativa censurata risulterebbe
eccedere le competenze regionali, creando «una interferenza con
la politica migratoria e con la disciplina della condizione giuridica
degli stranieri» che la Costituzione (artt. 117, secondo comma,
lettere a e b, riserva allo Stato. Oltretutto, la norma denunciata determinerebbe
l’effetto indotto di incentivare gli immigrati ammessi nel territorio
nazionale a lasciare la Lombardia per recarsi in Regioni diverse, così
ponendo in discussione la potestà dello Stato di «decidere
circa l’ammissione di immigrati in tutto il territorio nazionale».
D’altra parte – conclude la memoria – la norma impugnata
viola altresì i principî generali dell’ordinamento e
quelli posti come fondamentali da leggi statali. Questi ultimi –
ricavabili essenzialmente dagli artt. 2 e 41 del d.lgs. n. 286 del 1998
– depongono, infatti, nel senso di una completa equiparazione tra
stranieri e cittadini italiani nella fruizione delle prestazioni, anche
economiche, di assistenza sociale, e ciò rappresenterebbe un limite
invalicabile per la potestà normativa regionale, sotto il profilo
della impossibilità «di creare due livelli essenziali di
assistenza»: uno riservato agli italiani residenti, con libera circolazione
sui mezzi pubblici; ed un altro, «assai deteriore», per gli
stranieri con la circolazione a pagamento.
Considerato
in diritto
1.
– Il Tribunale Amministrativo regionale della Lombardia, solleva,
in riferimento agli artt. 3 (parametro richiamato in motivazione, ma non
riprodotto in dispositivo), 32, primo comma, 35, primo comma, e 117, secondo
comma, lettera a), della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della Regione Lombardia
12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi per lo sviluppo del trasporto pubblico
regionale e locale), come modificato dall’art. 5, comma 7, della
legge regionale 9 dicembre 2003, n. 25 (Interventi in materia di trasporto
pubblico locale e di viabilità), nella parte in cui non include
i cittadini stranieri, residenti nella Regione, fra gli aventi il diritto
alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea,
riconosciuto alle persone totalmente invalide per cause civili.
Dopo aver descritto la fattispecie sottoposta al proprio giudizio, il
Tribunale rimettente osserva, in punto di non manifesta infondatezza,
come la disposizione censurata appaia in contrasto con l’art. 32
Cost., in quanto – essendo la tutela della salute enunciata da tale
parametro come un diritto fondamentale dell’individuo e interesse
della collettività, e dovendosi pertanto riconoscere anche agli
stranieri – il beneficio previsto dalla disposizione impugnata, pur
attribuito ai cittadini «in ragione delle medesime condizioni di
salute», non sarebbe riconosciuto «(a)gli stranieri residenti
nella Regione Lombardia che si trovino in una situazione caratterizzata
da una totale invalidità fisica». La norma impugnata, inoltre,
risulterebbe in contrasto anche con il generale canone di ragionevolezza
sancito dall’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe un trattamento
differenziato rispetto a situazioni che – riferendosi a misure di
sostegno introdotte a favore di individui gravemente invalidi – non
presentano elementi di diversità rilevanti per l’ordinamento.
Sarebbe vulnerato, poi, anche l’art. 35, primo comma, Cost., in quanto
il beneficio in questione (della cui preclusione agli stranieri il Tribunale
si duole) sarebbe riconosciuto «anche al fine di tutelare chi si
trovi in difficoltà rispetto al lavoro per favorire il recupero
delle energie psicofisiche». Si prospetta, infine, un contrasto
con l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto, nell’introdurre
un regime differenziato tra cittadini italiani e stranieri, sarebbe stata
violata la riserva alla legislazione statale circa la determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117,
secondo comma, lettera m); nonché sarebbero violati i principî
fondamentali stabiliti dallo Stato in tema di tutela della salute: «settori
ambedue che non possono non riguardare anche lo status giuridico dei cittadini
stranieri».
2. – La difesa della Regione Lombardia solleva tre eccezioni pregiudiziali
in punto di ammissibilità.
Con la prima, la Regione rammenta come – alla stregua della “storia”
della normativa impugnata, descritta nello stesso atto di intervento –
il requisito della cittadinanza italiana fosse già richiesto dalla
legislazione regionale in materia, dal momento che la legge n. 25 del
2003, introduttiva della disposizione della cui legittimità costituzionale
il giudice rimettente dubita, si sarebbe limitata «a cambiare la
definizione dell’agevolazione (da “tessera di libera circolazione”
si passa a parlare di “diritto alla circolazione gratuita”)
e a richiedere che il grado di invalidità sia pari al 100%».
Resterebbe quindi inesplicata, nella ordinanza di rimessione, la indicazione
delle fonti normative o delle ragioni in base alle quali il ricorrente
disponesse della tessera di libera circolazione. In mancanza di tale puntualizzazione
– che assumerebbe, secondo la Regione, «un aspetto del tutto
centrale per ciò che concerne la rilevanza della questione sollevata»
– ne deriverebbe una preclusione alla disamina del merito, stante,
appunto, la «carente esposizione dei fatti di causa che impedisce
l’indispensabile controllo sulla rilevanza».
La eccezione è priva di fondamento. Non pare infatti corretto,
innanzi tutto, l’assunto secondo il quale la disciplina dettata dalla
legge n. 25 del 2003 non presenti alcun elemento di “novità”
rispetto al passato, al lume della evoluzione della legislazione regionale,
a partire dalla disciplina a suo tempo introdotta dall’art. 1 della
legge regionale 16 novembre 1984, n. 57, recante nuove norme in materia
di agevolazioni sui servizi di trasporto pubblico locale. Infatti, la
legge regionale n. 25 del 2003, a differenza dei pregressi interventi
normativi – nei quali si individuavano, quali beneficiari delle provvidenze,
i “cittadini” appartenenti a determinate categorie – ha
espressamente indicato, come potenziali fruitori della circolazione gratuita
o delle agevolazioni tariffarie per l’utilizzo dei servizi di trasporto
pubblico, soltanto i “cittadini italiani”: aggiunta per specificazione,
questa, tecnicamente impropria – giacché il richiamo al requisito
della cittadinanza, “genericamente” determinato, appariva riferibile
a quella italiana – che, però, all’evidenza svela una
precisa scelta “riduttiva” in ordine alla platea dei beneficiari.
Al di là di ciò, secondo quanto emerge dalla ordinanza di
rimessione, non viene in alcun modo in discussione, nel giudizio a quo,
la circostanza se la parte privata ricorrente avesse o meno titolo per
fruire della «tessera di libera circolazione già in suo possesso
ed in scadenza definitiva al 31 luglio 2004»: evenienza, questa,
che avrebbe assunto invece sicuro risalto ove oggetto del reclamo fosse
stato un provvedimento di revoca o comunque inibitorio del beneficio già
concesso. L’oggetto del ricorso nel quale si è iscritto l’incidente
di costituzionalità è, al contrario, rappresentato esclusivamente
dalla deliberazione della Giunta regionale n. 7/16747 del 12 marzo 2004
e dagli atti connessi, riguardanti la non concedibilità pro futuro
del beneficio agli invalidi civili non cittadini italiani: con la conseguenza
di rendere inconferenti – sul piano del nesso di pregiudizialità
rispetto alla risoluzione del quesito di legittimità costituzionale
– gli eventuali profili concernenti la legittimità della fruizione
in atto di quello stesso beneficio, da parte del ricorrente. Dunque, nessuna
“verifica” doveva (e poteva) compiere il giudice rimettente
in ordine a tale aspetto della vicenda sottoposta al suo scrutinio; con
l’ovvio corollario di rendere manifestamente infondata la pretesa
incompletezza di descrizione della fattispecie, agli effetti della motivazione
sulla rilevanza della questione.
3. – La difesa della Regione solleva anche un’altra eccezione
pregiudiziale di inammissibilità, fondata sul rilievo che il giudice
a quo avrebbe formulato il quesito di legittimità costituzionale
«in termini palesemente contraddittori». Osserva, infatti,
la Regione che il Tribunale rimettente avrebbe, da un lato, censurato
la norma impugnata nella parte in cui limita ai soli cittadini italiani
invalidi al 100%, residenti nella Regione, il diritto alla circolazione
gratuita sui servizi di trasporto pubblico regionale: sollecitando, quindi,
l’adozione di un intervento additivo volto ad estendere il beneficio
anche agli stranieri residenti nella Regione. Dall’altro lato, lo
stesso rimettente – «prospettando (sia pur in modo confuso)
la violazione dell’art. 117, commi 2 e 3, Cost. e richiamando l’art.
2, comma 5, del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che prevede parità
di trattamento fra stranieri e cittadini nell’accesso ai servizi
pubblici» – avrebbe richiesto alla Corte un «intervento
radicalmente demolitorio», contestando la competenza legislativa
regionale a differenziare il trattamento tra cittadini italiani e stranieri
in materia di pubblici servizi. Posto, infatti, che la violazione dell’art.
117 Cost. «comporterebbe l’incostituzionalità per incompetenza
dell’intera normativa impugnata», ne deriva – conclude
la Regione – che l’accoglimento del quesito verrebbe ineluttabilmente
a determinare «la caducazione del beneficio del diritto al trasporto
gratuito anche per gli invalidi cittadini italiani»: in palese ed
insanabile contrasto, quindi, con la richiesta di addizione di cui innanzi
si è detto e che il giudice rimettente ha ribadito nel dispositivo
della ordinanza di rimessione.
Anche questa eccezione è priva di fondamento. Il giudice rimettente
si è limitato a rammentare come, anche a seguito delle modifiche
apportate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, l’art. 117 della
Carta fondamentale riservi alla legislazione statale la determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
(art. 117, secondo comma, lettera m); così come sempre allo Stato
è riservata la formulazione dei principî fondamentali cui
la legislazione concorrente delle Regioni deve uniformarsi in materia
di tutela della salute. Entrambi questi settori devono necessariamente
riguardare – sottolinea l’ordinanza di rimessione – «anche
lo status giuridico dei cittadini stranieri […] tanto più
che il d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, all’art. 2, comma 5, prevede
la parità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini di
stati extracomunitari nell’accesso ai pubblici servizi.
Il profilo di “incompetenza” evocato dal giudice a quo, dunque,
non è affatto “assoluto” – nei termini prospettati
dalla Regione resistente – ma è circoscritto proprio a quel
profilo dell’esercizio del potere legislativo che il giudice rimettente
assume come discriminatorio. Infatti, a formare oggetto del quesito di
costituzionalità non è la disposizione in sé, la
quale, nel delineare i presupposti del beneficio, lo attribuisce ai “cittadini
italiani” (disciplina, questa, rispetto alla quale non si formula
alcuna richiesta di ablazione, né si ventila alcuna ipotesi di
illegittimità). L’unico aspetto censurato è, invece,
espresso soltanto “in negativo” (donde la richiesta di addizione,
e non di ablazione); la doglianza si concentra esclusivamente sulla preclusione,
introdotta dalla norma nei confronti degli stranieri, di fruire, a parità
delle restanti condizioni di legge, delle provvidenze stabilite in favore
degli invalidi in tema di trasporti regionali. Prescindendo quindi, per
il momento, da qualsiasi considerazione in ordine alla fondatezza, nel
merito, dei rilievi svolti dal Tribunale rimettente, specie per ciò
che attiene alla effettiva riconducibilità della ipotesi di specie
alla “materia” delineata dall’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., devono escludersi – secondo la prospettiva coltivata
dal giudice a quo – quei profili di contraddittorietà del
petitum che, ad avviso della Regione, minerebbero la ammissibilità
della questione.
4. – La questione sarebbe infine inammissibile, secondo la difesa
regionale, per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza,
in quanto – anche a voler prescindere da talune lacune di ordine
sintattico, che renderebbero oscuro l’iter logico seguito dal giudice
a quo – i vari parametri sarebbero enunciati in forma apodittica,
generica e priva di un adeguato sostegno argomentativo.
Pure tale eccezione deve essere disattesa. Ai fini della sussistenza del
presupposto di ammissibilità ora contestato, occorre che le “ragioni”
del dubbio di legittimità costituzionale, in riferimento ai singoli
parametri di cui si assume la violazione, siano articolate in termini
di sufficiente puntualizzazione e riconoscibilità all’interno
del tessuto argomentativo in cui si articola la ordinanza di rimessione;
senza alcuna esigenza, da un lato, di specifiche formule sacramentali,
o, dall’altro lato, di particolari adempimenti “dimostrativi”,
d’altra parte in sé incompatibili con lo specifico e circoscritto
ambito entro il quale deve svolgersi lo scrutinio incidentale di “non
manifesta infondatezza”. A tali requisiti minimi l’ordinanza
di rimessione ha corrisposto, considerato che, in riferimento a ciascuno
dei profili coinvolti dal quesito e per ognuno dei parametri invocati,
il Tribunale rimettente ha offerto pertinente e congrua motivazione. La
circostanza, poi – evidenziata dalla Regione a sostegno della eccezione
di inammissibilità – per la quale la violazione dell’art.
3 Cost. sarebbe enunciata nel corpo della ordinanza di rimessione, ma
non ulteriormente richiamata nel dispositivo, si rivela priva di rilievo,
posto che le “ragioni” delle censure ed il corrispondente quesito
risultano enunciati in termini del tutto univoci dall’atto introduttivo
del presente giudizio di legittimità costituzionale.
5. – Nel merito, la questione è fondata.
L’art. 8 della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n.
1, come sostituito dall’art. 5, comma 7, della legge regionale 9
dicembre 2003, n. 25, stabilisce particolari provvidenze in favore di
talune categorie, in materia di servizi di trasporto pubblico di linea
nel territorio regionale: in particolare, a decorrere dal 1° agosto
2004, accanto alle categorie di beneficiari indicate nel comma 1 del medesimo
articolo, il diritto alla circolazione gratuita su tali servizi è
riconosciuto anche «ai cittadini italiani invalidi civili, inabili
ed invalidi del lavoro residenti in Lombardia con grado di invalidità
pari al 100% [...] e loro eventuali accompagnatori, secondo le modalità
stabilite con apposito atto della Giunta regionale». Rispetto alle
restanti categorie di soggetti previste nel comma 1 – tutte, per
così dire, soggettivamente qualificate dalla origine (invalidi
di guerra e di servizio; deportati nei campi di sterminio nazisti; invalidi
a causa di atti di terrorismo e vittime della criminalità organizzata),
o dalla natura della invalidità (privi di vista per cecità
assoluta e sordomuti) – gli invalidi menzionati nel comma 2 della
stessa norma presentano, come tratto comune e unificante, esclusivamente
la percentuale di invalidità: nella specie, la più elevata
in assoluto.
La ratio del beneficio è, dunque, riconducibile alla scelta del
legislatore regionale di agevolare – attraverso la fruizione gratuita
del servizio – l’accesso al sistema dei trasporti pubblici locali
in favore di un gruppo di persone accomunate dalla appartenenza alla più
grave condizione di invalidità. Ci si muove nell’ambito di
una provvidenza dettata da finalità eminentemente sociali, nella
specie raccordata, sul piano della “causa” normativa, a valori
di solidarietà, non disgiunti dagli intuibili riverberi che le
peculiari condizioni dei beneficiari e la natura stessa del beneficio
possono in concreto presentare rispetto alle esigenze di vita e di relazione;
non ultime quelle connesse alla tutela del diritto alla salute, in presenza
di una così grave menomazione.
Il discrimen che viene qui in discorso, e sul quale si concentra l’intera
gamma delle censure proposte dal Tribunale rimettente, ruota quindi attorno
alla preclusione che la normativa di favore – oggetto di impugnativa
– ha dichiaratamente inteso introdurre nei confronti degli stranieri:
con ciò compromettendo – secondo il giudice a quo – non
soltanto «il generale canone di ragionevolezza [...] che può
evocarsi come parametro di coerenza della norma legislativa regionale
con i principî sanciti a tutela di situazioni riconducibili ad un’identica
ratio interpretativa»; ma, anche, la necessaria tutela della salute
(art. 32 Cost.), e del lavoro (art. 35, primo comma, Cost.), oltre che
la riserva alla legislazione statale circa la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo
comma, lettera m, Cost.), e circa i principî fondamentali in tema
di legislazione concorrente regionale sulla salute.
5.1. – In linea di principio, sono corretti i rilievi svolti dalla
difesa regionale a proposito delle peculiarità che caratterizzano
la condizione dello straniero nel quadro dei valori costituzionali. In
particolare, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio
costituzionale di uguaglianza non tollera discriminazioni fra la posizione
del cittadino e quella dello straniero solo quando venga riferito al godimento
dei diritti inviolabili dell’uomo (v., fra le tante, la sentenza
n. 62 del 1994): così da rendere legittimo, per il legislatore
ordinario, introdurre norme applicabili soltanto nei confronti di chi
sia in possesso del requisito della cittadinanza – o all’inverso
ne sia privo – purché tali da non compromettere l’esercizio
di quei fondamentali diritti.
Al tempo stesso, e sullo specifico versante del diritto alla salute, questa
Corte ha reiteratamente puntualizzato che «il diritto ai trattamenti
sanitari necessari per la tutela della salute è “costituzionalmente
condizionato” dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi
costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di “un
nucleo irrinunciabile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione
come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di
impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto
pregiudicare l’attuazione di quel diritto” [….] Questo
“nucleo irriducibile” di tutela della salute quale diritto della
persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque
sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso
ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse
modalità di esercizio dello stesso». Pertanto, anche lo straniero
presente irregolarmente nello Stato «ha diritto di fruire di tutte
le prestazioni che risultino indifferibili ed urgenti, secondo i criteri
indicati dall’art. 35, comma 3 (del d.lgs. n. 286 del 1998), trattandosi
di un diritto fondamentale della persona che deve essere garantito, così
come disposto, in linea generale, dall’art. 2 dello stesso decreto
legislativo n. 286 del 1998» (v. sentenza n. 252 del 2001).
In tale quadro di riferimento, e se si ha riguardo al testo ed alla ratio
della norma oggetto di impugnativa, può convenirsi con l’assunto
della Regione, nella parte in cui sottolinea come la scelta «legislativa
di attribuire a determinate categorie di soggetti un diritto alla circolazione
gratuita, ovvero un diritto a fruire di tariffe agevolate, non configuri
in alcun modo una prestazione essenziale o minimale, né si presenti,
ovviamente, come una scelta costituzionalmente obbligata».
Per un verso, infatti, la previsione agevolatrice in questione si indirizza
a categorie eterogenee di beneficiari, per di più neppure tutte
riconducibili al genus degli invalidi, come i cavalieri di Vittorio Veneto
o gli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria in servizi di pubblica
sicurezza, rispettivamente inquadrabili in categorie di benemeriti o di
fruitori del servizio ratione officii: donde l’impossibilità
di considerare il diritto alla salute (o quello al lavoro) come valore
fondamentale alla cui salvaguardia correlare – per di più
attraverso un nesso di astratta “indispensabilità” –
la concessione della provvidenza. Per un altro verso, è del pari
evidente l’impossibilità di individuare nel trasporto regionale
un servizio destinato ad integrare – sempre e comunque – quel
“nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione
come ambito inviolabile della dignità umana”, di cui innanzi
si è detto, posto che è la natura stessa del servizio ad
evocare il soddisfacimento di una gamma indefinita (ed indefinibile) di
esigenze di spostamento.
La provvidenza a favore degli invalidi, dunque, non si giustifica in funzione
dei singoli “bisogni” di locomozione (fra i quali ben possono
annoverarsi – ma non necessariamente e non soltanto – quelli
connessi alla salute o al lavoro). Essa rinviene la propria ragion d’essere
in una logica di solidarietà sociale, nella ragionevole presupposizione
delle condizioni di difficoltà in cui versano i residenti che,
per essere totalmente invalidi, vedono grandemente compromessa, se non
totalmente eliminata, la propria capacità di guadagno.
5.2. – Se la previsione di tariffe gratuite o agevolate per gli invalidi
risponde a finalità sociali e si inquadra nel novero delle disposizioni
per così dire “facoltative”, non essendo destinata, in
sé, a soddisfare diritti fondamentali, ne deriva – ha sottolineato
la Regione – la legittimità di scelte intese a bilanciare
la massima fruibilità del beneficio con la limitatezza delle risorse
finanziarie, per far fronte al consistente maggior onere che dal beneficio
in questione deriva per l’ente regionale. D’altra parte, se
un tale bilanciamento è imposto anche «in relazione alle
risorse organizzative e finanziarie, restando salvo, in ogni caso, quel
nucleo irriducibile del diritto alla salute» di cui si è
già fatto cenno (v., fra le tante, la sentenza n. 509 del 2000),
tanto più tale ponderazione si impone – sottolinea la Regione
– «se lo scopo è quello di contenere l’esborso
economico per prestazioni aggiuntive che costano».
L’assunto della Regione, corretto in linea di principio, risulta
tuttavia del tutto eccentrico rispetto alla previsione oggetto di censura.
La circostanza che la Regione abbia nella specie introdotto un regime
di favore senz’altro eccedente i limiti dell’“essenziale”,
sia sul versante del diritto alla salute, sia su quello delle prestazioni
concernenti “i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale”, non esclude affatto che le scelte
connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari – necessariamente
da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie
– debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio
di ragionevolezza; al legislatore (statale o regionale che sia) è
consentito, infatti, introdurre regimi differenziati, circa il trattamento
da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa”
normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria.
La disposizione in discussione si pone in contrasto con il principio sancito
dall’art. 3 della Carta fondamentale, perché il relativo scrutinio
va circoscritto all’interno della specifica previsione, in virtù
della quale la circolazione gratuita viene assicurata non a tutti gli
invalidi residenti in Lombardia che abbiano un grado di invalidità
pari al 100%, ma soltanto a quelli, fra essi, che godano della cittadinanza
italiana. Il requisito della cittadinanza non può assumersi –
come deduce la Regione – quale «criterio preliminare di accesso»
al beneficio, e senza che lo stesso sia stato «pensato in riferimento
ad una specifica categoria di soggetti»; esso, infatti, si atteggia
– nella disposizione – come uno specifico presupposto che condiziona
l’ammissione al regime di favor, non diversamente dagli altri specifici
requisiti che valgono ad identificare le singole categorie privilegiate.
Né può dirsi, come ritiene la Regione, che il requisito
della cittadinanza possa legittimamente concorrere a selezionare i fruitori
della provvidenza in ragione delle esigenze finanziarie, al pari di quello
della residenza, dal momento che – mentre la residenza, rispetto
ad una provvidenza regionale, appare un criterio non irragionevole per
l’attribuzione del beneficio – a conclusioni diverse deve pervenirsi
per la cittadinanza, che pertanto si presenta come condizione ulteriore,
ultronea ed incoerente, agli effetti di un ipotetico regime differenziato
rispetto ad una misura sociale che vede negli invalidi al 100% la categoria
dei beneficiari.
Distinguere, ai fini della applicabilità della misura in questione,
cittadini italiani da cittadini di paesi stranieri – comunitari o
extracomunitari – ovvero apolidi, finisce dunque per introdurre nel
tessuto normativo elementi di distinzione del tutto arbitrari, non essendovi
alcuna ragionevole correlabilità tra quella condizione positiva
di ammissibilità al beneficio (la cittadinanza italiana, appunto)
e gli altri peculiari requisiti (invalidità al 100% e residenza)
che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio e la funzione.
D’altra parte, e come rilevano le parti private, l’art. 41 del
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero)
espressamente sancisce il principio secondo il quale «gli stranieri
titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata
non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta
di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini
italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni,
anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste [...]
per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli
indigenti».
Questa disposizione – al pari delle altre contenute nel medesimo
testo unico – costituisce, a norma dell’art. 1, comma 4, del
medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998, principio fondamentale “ai
sensi dell’art. 117 della Costituzione” (ovviamente nel testo
allora vigente) “nelle materie di competenza legislativa delle regioni”,
fra le quali rientra quella del trasporto regionale. Un principio, dunque,
il quale – al di là del diverso risalto che ad esso può
annettersi nel quadro della nuova distribuzione della potestà legislativa
tra Stato e Regioni – ben può essere richiamato come necessario
paradigma sulla cui falsariga calibrare l’odierno scrutinio di ragionevolezza;
e ciò in quanto, proprio avuto riguardo al rilievo generale che
quel principio continua a svolgere nel sistema, qualsiasi scelta del legislatore
regionale che introducesse rispetto ad esso regimi derogatori – come
senz’altro è avvenuto nella disposizione oggetto di impugnativa
– dovrebbe permettere di rinvenire nella stessa struttura normativa
una specifica, trasparente e razionale “causa giustificatrice”,
idonea a “spiegare”, sul piano costituzionale, le “ragioni”
poste a base della deroga. A conclusioni analoghe può altresì
giungersi con riferimento agli artt. 2 e 3, comma 4, della legge 5 febbraio
1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate), che – nell’ambito
dei principî fondamentali e per quanto attiene alle prestazioni
in tema di handicap – equiparano ai cittadini gli stranieri e gli
apolidi residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio
nazionale.
Non essendo, quindi, enucleabile dalla norma impugnata altra ratio che
non sia quella di introdurre una preclusione destinata a scriminare, dal
novero dei fruitori della provvidenza sociale, gli stranieri in quanto
tali, ne deriva la illegittimità costituzionale in parte qua della
norma stessa, per violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Restano assorbiti gli ulteriori profili dedotti dal giudice rimettente.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2,
della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi
per lo sviluppo del trasporto pubblico regionale e locale), come modificato
dall’art. 5, comma 7, della legge della Regione Lombardia 9 dicembre
2003, n. 25 (Interventi in materia di trasporto pubblico locale e di viabilità),
nella parte in cui non include gli stranieri residenti nella Regione Lombardia
fra gli aventi il diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto
pubblico di linea riconosciuto alle persone totalmente invalide per cause
civili.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 28 novembre 2005.
Annibale
MARINI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata
in Cancelleria il 2 dicembre 2005
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