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Corte di Cassazione 31/12/2010

Giurisprudenza di legittimità - Mandato di arresto europeo: quando il processo italiano blocca la consegna

(Cass. Pen., sez. VI, n. 41370 del 23 novembre 2010)

Il mandato d’arresto europeo non può essere eseguito quando nei confronti della persona ricercata dall’autorità giudiziaria estera sia in corso un procedimento penale in Italia per lo stesso fatto.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 23 novembre 2010, n. 41370 con la quale ha annullato con rinvio la decisione della Corte di Appello di Torino che aveva disposto la consegna di un cittadino bulgaro in seguito ad emissione di mandato di arresto europeo (MAE).

In particolare, nella decisione in esame, la Corte di Cassazione assume che, risultando probabile che i fatti posti a base del MAE siano stati commessi parzialmente in Italia, ove, comunque, risulta già azionato il relativo procedimento penale, vi sarebbe stata erronea applicazione dell’art. 24, L. 69/2005 da parte della Corte di Appello; a mente di tale norma, infatti, sarebbe stato necessario valutare l’opportunità di disporre il rinvio della consegna al fine di consentire all’autorità giudiziaria italiana di sottoporre il condannato al procedimento penale già pendente.

Inoltre, si aggiunge, posta la parziale coincidenza tra i fatti, viene in causa anche il disposto di cui all’art. 18 della legge suindicata che prevede la possibilità di opporre il rifiuto alla consegna.
In generale, infatti, le ipotesi legislative in cui è possibile opporre il rifiuto alla consegna sono quelle previste dall’art. 18, L. 69/2005; e, nel caso specifico, la Cassazione ritiene necessario valutare la possibile ricorrenza di uno dei seguenti casi elencati nel suindicato articolo: lett.o) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia, esclusa l’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo concerna l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell’Unione europea; lett. p ) se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio.
A conferma della complessità della questione, ricordiamo la copiosa giurisprudenza richiamata in seno alla stessa decisione della Corte di Cassazione; e, relativamente alle questioni di giurisdizione, anche la importante Sentenza n. 40287 del 28 ottobre 2008, a mente della quale, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, che se pur privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile collegando la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero.
Entrambe le ipotesi contemplate dalla L. n. 69 del 2005, lett. o) e p) , presentano una comune ratio, individuabile nell’obiettivo di evitare, in area comunitaria, duplicazioni di procedimenti e di giudicati nei confronti di cittadini europei.

A ben vedere, però, le due ipotesi qui esaminate muovono da presupposti strutturali e procedimentali diversi e non del tutto omologabili, come ci accingiamo a dimostrare.

Il giudicato penale estero è preso direttamente in considerazione dal disposto della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera o), in relazione al quale assume cogenza il divieto di bis in idem sancito dall’art. 54 della convenzione di Schengen. L’art. 54 della convenzione di Schengen, in particolare, recita: "Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita".
La L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. o) implica, pertanto, una disamina della effettiva identicità del fatto costituente reato, cosa che richiede una piena e simmetrica specularità tra la fattispecie criminosa oggetto di un eventuale procedimento penale nazionale (italiano) e la fattispecie criminosa oggetto di un mandato di arresto europeo. In particolare, i due fatti, pur se diversamente qualificati per nomen iuris nell’uno e nell’altro ordinamento, dovranno registrare piena equivalenza e uniformità di tipizzazione normativa sotto l’aspetto strutturale degli elementi tipici antigiuridici penalmente sanzionati (condotta materiale, commissiva od omissiva, ed atteggiarsi dell’elemento soggettivo del reato), dell’evento del reato e della relazione di causalità materiale e giuridica tra condotta ed evento.
Per converso, come già opportunamente espresso dalla giurisprudenza precedente in tema di mandato di arresto europeo, nel caso di rifiuto della consegna previsto dalla lettera p) dell’art. 18, L. n. 69 del 2005 (reato commesso in tutto od in parte nello Stato), l’esistenza di una sentenza definitiva di condanna, per la cui esecuzione è stato emesso il mandato d’arresto europeo, non spiega alcuna incidenza - a differenza dell’ipotesi prevista dalla precedente lett. o)- in quanto il legislatore ha privilegiato le esigenze della giurisdizione nazionale ed il principio di territorialità.

In ultimo, si evidenzia come i riferimenti dell’ultima parte della disposizione dettata dall’art. 18, lettera p) (…se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio) sono coerenti con gli illustrati principi applicativi, limitandosi il legislatore- per completezza logica e sistematica - ad estendere il divieto (rifiuto obbligatorio) di consegna a reati improcedibili secondo la legge italiana; attiene, anch’esso, a ben vedere, alle manifestazioni ed applicazioni del criterio di territorialità adottato nell’ordinamento penale italiano (secondo il principio di c.d. ubiquità) ai fini della determinazione del locus commissi delicti (art. 6 c.p., comma 2).
Per completezza di informazioni, si segnala che, con la decisione quadro 2009/316/GAI, il Consiglio dell’Unione Europea ha istituito il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari ( ECRIS – European Criminal Record Information System) che permetterà lo scambio sistematico di informazioni estratte dalle singole banche dati fra le autorità competenti degli Stati membri.

Sulla base di tale decisione, ciascuno Stato membro dovrà avviare il sistema del Casellario Giudiziario Europeo, allo scopo di garantire un sistema informatizzato di scambio di informazioni sulle condanne attraverso l’istituzione di una banca dati comune.
In particolare, ogni Casellario nazionale riceverà le comunicazioni relative alle decisioni di condanna a carico dei propri cittadini e le inserirà in tale banca dati; ciò consentirà all’autorità giudiziaria procedente, con l’interrogazione del solo Casellario di nazionalità, di ottenere informazioni circa i precedenti penali di un determinato soggetto in ordine a tutti i Paesi collegati; allo stesso modo, per conoscere le sentenze eventualmente emesse dagli altri Stati membri nei confronti di un cittadino italiano, interrogando il Casellario centrale si otterrà in allegato un’informativa circa le condanne emesse in tutti i Paesi europei.
Tale sistema nasce nell’ambito di un processo di collaborazione tra il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri per fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza pur in uno spazio comune di libertà, sicurezza, giustizia.

 

da Altalex, 20 dicembre 2010. Nota di Nadia Laface

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 16-23 novembre 2010, n. 41370

Massima e testo integrale

 

Venerdì, 31 Dicembre 2010
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