Cento anni di cinture di Michele Leoni* |
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Nonostante
fin dal 1903 fosse ben chiaro che erano uno strumento, appunto, di sicurezza,
per lunghi anni (di nuovo, decenni) si pensò che la soluzione migliore
per arginare il dilagante e montante fenomeno delle morti in macchina
(che cresceva in corrispondenza con il diffondersi delle automobili e
l’aumento della circolazione e del traffico) fosse migliorare le
serrature delle portiere, per evitare che chi occupava l’auto fosse
sbalzato fuori in caso di incidente. Ossia, era giusto e ottimale tenere
relativamente imprigionati conducenti e occupanti nell’abitacolo,
anche con la possibilità, lì dentro, che essi venissero
sbataccchiati da tutte le parti, si schiacciassero il costato, la faccia,
volassero sul vetro, s’infilzassero sul volante e altro. Forse era
una questione di preminenti ragioni industriali, i profitti delle industrie
costruttrici di portiere andavano privilegiati sui profitti di chi poteva
costruire cinture? Strano. Sono tecnologie che una medesima impresa del settore può coltivare parallelamente senza problema. Cattiva voglia nell’investire in ricerche sull’assetto e il funzionamento migliore delle cinture? Strano anche questo. Non sembra, quello delle cinture (fra l’altro, si ripete, già brevettate e quindi pronte per l’uso industriale) un terreno ove occorressero stanziamenti ciclopici. Qualche crash test, studi di ingegneria dinamica, e poi, che altro? Costo eccessivo di materiali? Non pare. Di sicuro, è più costoso progettare di convertire l’acqua in idrogeno su scala industriale. Mistero. Forse, si è trattato solo di ignoranza. Sta di fatto che per circa sessant’anni questo preziosissimo strumento salva-vita è rimasto nell’empireo delle idee “impossibili”. Ciò è ancora più inverosimile se si pensa che, dagli anni Sessanta in poi, le modifiche funzionali e tecnologiche che hanno caratterizzato l’evoluzione e la progressiva applicazione delle cinture di sicurezza sono state assai poche (sistemi di regolazione automatica, dotazione di pretensionatori, spie lampeggianti e sonore per avvertire che non sono state inserite), segno che, evidentemente, anche alle origini esse non erano un arnese così rudimentale, macchinoso o stravagante. Che le cinture di sicurezza, poi, siano così pregnanti e centrali nella prevenzione dei danni da incidente stradale, oggi, c’è una ovvia giurisprudenza che ce lo insegna. A cominciare da una lapidaria sentenza della Suprema Corte, laddove si è negato il riconoscimento del concorso di colpa a un soggetto imputato di omicidio colposo del proprio trasportato perché egli, conducente, non aveva insistito affinché il deceduto indossasse la cintura (e neppure ne aveva rifiutato il trasporto a seguito della sua renitenza a indossarle) (Cass. 9904/1996). E recentemente, i giudici di pace non sono stati da meno. Secondo la loro giurisprudenza, dichiaratamente, deve ritenersi concausa della determinazione del danno alla persona il mancato utilizzo della cintura di sicurezza (Giud. pace Bologna 6.12.1999, att. Vecchi). Non solo. Il concorso di colpa in caso di non uso della cintura è tranquillamente identificabile nella misura del trenta per cento per il passeggero (Giud. pace Catanzaro 4.10.2000, att. Scalzo). Insomma, è talmente scontato che la cintura salvi la vita e preservi dal danno (quanto meno, ulteriore), che in diritto addirittura si prescinde dalla prova rigorosa, se pure in via ipotetica sulla base di calcoli e nozioni di esperienza applicate, e si sentenzia tranquillamente sulla base di presunzioni. * G.I.P. presso I Tribunale di Forlì |