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Corte di Cassazione 25/01/2011

Giurisprudenza di legittimità - Risarcimento dei danni cagionati da veicolo non identificato - prova del fatto - comportamento della vittima

(Cass. Civ., sez.III, 14 gennaio 2011, n. 745)
 

(omissis)
Con citazione innanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere dell’aprile 1998 F. I. conveniva in giudizio la società A.G. spa, nella qualità di impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada (FGVS) per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti per le lesioni riportate nel sinistro stradale verificatosi il 7 novembre 1996.
Esponeva che, mentre camminava in Marcianise sulla via XXIV Maggio, era stato investito da un’autovettura, che, dopo l’impatto, si era allontanata e gli aveva così impedito di identificare sia il veicolo investitore che il suo guidatore.
La convenuta società di assicurazione contrastava la domanda e ne chiedeva il rigetto.
All’esito dell’espletata prova orale, il tribunale rigettava la domanda e la decisione, sul gravame del soccombente, era confermata dalla sentenza pubblicata il 13 settembre 2005 della Corte d’appello di Napoli, che condannava F. I. alle spese del grado capovolta.

Ai fini che ancora interessano i giudici dell’appello – premesso che in caso di investimento da parte di un veicolo rimasto sconosciuto la responsabilità del Fondo deve essere esclusa qualora la mancata identificazione del mezzo  investitore sia da attribuire a dolo o colpa del danneggiato – ritenevano che dall’espletata prova orale erano emerse le seguenti circostanze:
- dopo l’impatto l’autovettura dell’investitore si era fermata accanto al pedone e da essa erano discesi  sia il guidatore che un passeggero;
- costoro non si erano subito allontanati, ma avevano sostato accanto a F. I. per un po’ di tempo, sino a quanto erano sopraggiunte altre due persone;
- queste avevano constatato che l’infortunato era perfettamente cosciente, tanto che esse erano state da lui riconosciute;
- i due testi sopravvenuti sul posto avevano ricevuto dai due passeggeri dell’autovettura investitrice l’assicurazione che era stato già richiesto l’intervento urgente di un’ambulanza.
La Corte partenopea, sulla scorta dei suddetti fatti, considerava che l’infortunato aveva avuto a disposizione tutto il tempo necessario per identificare il mezzo investitore e che lo stesso “se pure sofferente non richiese ai suoi conoscenti di annotare almeno il numero di targa del veicolo che lo aveva investito”, per cui confermava la conclusione cui era giunto in primo grado il tribunale di attribuire la mancata identificazione del mezzo alla esclusiva condotta negligente di F. I.
Il giudice di merito, inoltre, sottolineando la sussistenza di una “evidente discrepanza” tra le dichiarazioni rese da F. I. ai Carabinieri e quanto riferito dai due testimoni suoi conoscenti, aggiungeva che la circostanza “induce a nutrire dubbi sulla stessa effettiva presenza dei due testimoni sul luogo del fatto e sulla attendibilità delle loro affermazioni, con la conseguenza che deve ritenersi privo di qualsiasi prova l’asserito investimento ad opera di un veicolo non identificato”.
Per la cassazione della sentenza F. I. ha proposto ricorso affidato a due mezzi.
Ha resistito con controricorso la società G. A. spa, nella indicata qualità, la quale ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo d’impugnazione – denunciando la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 19 lett. a) della legge n. 990 del 1969 nonché il vizio di motivazione sul punto – il ricorrente deduce che non sussiste un obbligo di particolar diligenza in capo al soggetto danneggiato per l’individuazione del veicolo investitore e che il giudice del gravame, in relazione alle fornite prove, aveva omesso di valutare se, per la precaria sua situazione fisica e psichica per quanto gli era accaduto, ad esso ricorrente potesse addebitarsi a colpa il non avere identificato l’autovettura investitrice, tenuto conto della normale esigibilità di tale onere e del fatto.
Con il secondo motivo d’impugnazione il ricorrente, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deduce il vizio in iudicando e in decidendum della sentenza d’appello nella parte in cui essa, dopo aver dato per certo che l’incidente si era verificato, pone in dubbio l’effettiva presenza sul posto dei testimoni escussi e da ciò desume che non sarebbe stata data la dimostrazione che vi sia stato realmente il preteso investimento del pedone ad opera di un veicolo non identificato.
Le censure, che vanno esaminate congiuntamente in logica connessione, sono fondate.

A giustificazione del rigetto della domanda la Corte di merito assume due distinte rationes decidendi.
La prima è quella secondo cui una diversa condotta di maggiore diligenza da parte dell’infortunato avrebbe certamente consentito di identificare l’autovettura investitrice, onde, non avendo F. I.  assolto a tale suo onere, il fatto costitutivo della sua pretesa, quanto all’elemento relativo all’avvenuto sinistro da parte di veicolo “rimasto sconosciuto”, non poteva ritenersi dimostrato.
Il secondo argomento, in base al quale il giudice del merito pure ha ritenuto di non potere accogliere l’istanza risarcitoria siccome proposta, è quello per cui il dubbio sulla effettiva presenza sul posto dei due testimoni induceva a ritenere i testi inattendibili e, perciò, neppure dimostrato l’asserito investimento ad opera di veicolo non identificato.
Questo giudice di legittimità ha già stabilito (…) che in caso di azione diretta proposta, ai sensi dell’art. 19 lett. a) della legge n. 990 del 1969, nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per il risarcimento dei danni cagionati da veicolo non identificato  ma per il quale vi è obbligo di assicurazione, la prova può essere fornita dal danneggiato anche sulla base di mere “tracce ambientali” o di “dichiarazioni orali”, non essendo alla vittima richiesto di mantenere un comportamento di non comune diligenza ovvero di complessa ed onerosa attuazione, avuto riguardo alle sue condizioni psicofisiche ed alle circostanze del caso concreto.
E’ stato anche precisato che la norma citata prevede una situazione di mero fatto implicante l’esistenza del sinistro come fatto storico e che, al fine di evitare frodi assicurative, viene richiesta anche la verifica delle condizioni psicofisiche del danneggiato e la prova della compatibilità tra le lesioni e la dinamica dell’incidente,  senza che risulti tuttavia consentito pervenire a configurare a carico dello stesso danneggiato un obbligo di collaborazione “eccessivo” rispetto alle sue “risorse”, che finisca con il trasformarlo “in un investigatore privato o necessariamente in un querelante”.
Orbene, in applicazione delle suddette regole di diritto, risulta chiaro che delle due adottate rationes decidendi è inconciliabile l’affermata contestualità, evidente essendo o che l’investimento da parte di ignoti non si è affatto verificato, come sembra potersi evincere dal secondo argomento della sentenza impugnata, per cui, in tal caso, altro non doveva venire all’esame del giudicate quanto a pretesa condotta negligente dell’infortunato; ovvero che l’investimento ad opera di ignoti sia realmente accaduto, come ammette in modo tutt’altro che implicito il giudice del gravame, che, su tale presupposto, ritiene di dovere anche esaminare se poteva, nella specie, essere esigibile una condotta dell’infortunato improntata a collaborazione doverosa e compatibile alle sue condizioni fisiche e psichiche.
Per tale rilevata intrinseca contraddittorietà della motivazione la denunciata sentenza deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla medesima Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che, deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione e che, per il caso di ritenuta sussistenza dell’investimento ad opera di ignoti, valuterà anche circa l’esigibilità di una diversa condotta di collaborazione dell’infortunato in applicazione della seguente regola di diritto:
“ In caso di azione diretta proposta, ai sensi dell’art. 19 lett. a) della legge n. 990 del 1969, nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per il risarcimento dei danni cagionati da veicolo non identificato, la prova del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria, quanto all’avvenuto evento ad opera di ignoti, non richiede da parte della vittima un comportamento di non comune diligenza ovvero di complessa ed onerosa attuazione diretto all’identificazione del responsabile, dovendosi al riguardo valutare la esigibilità di un idoneo suo comportamento avuto riguardo alle sue condizioni psicofisiche ed alle circostanze del caso concreto”.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
(omissis)


da Polnews

 

Martedì, 25 Gennaio 2011
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