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Corte di Cassazione 21/02/2011

Giurisprudenza di legittimità - Nella guida occorre considerare anche le imprudenze degli altri

(Cass. Pen.,sez. IV, 24 novembre 2010, n. 41571)
 



Il conducente deve regolare la propria condotta stradale in modo che non costituisca pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose, dovendo prendere in considerazione anche l’eventuale comportamento irregolare degli altri utenti della strada. Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza 24 novembre 2010, n. 41571 con la quale si precisa, però, come sia altresì necessario che tale comportamento non assuma il carattere della imprevedibilità.
Applicando tale principio si è addivenuti alla condanna di una conducente la quale, nel momento in cui si immetteva, in una strada a traffico intenso, non aveva preso in considerazione la possibilità del sopraggiungere di altri utenti della strada, così occupando la sede stradale pur non avendo piena visibilità.
La norma comportamentale viene dettata proprio al fine di prevenire eventi antigiuridici, con la conseguenza che ad essa deve necessariamente adeguarsi il destinatario, indipendentemente dal fatto che anche l’altro conducente avesse tenuto una condotta irregolare.
La corretta applicazione di tale principio, secondo quelle che sono le parole del giudice nomofilattico avrebbe dovuto comportare che “l’imputata, una volta avviata la manovra di svolta, prima di immettersi nell’opposta semicarreggiata avrebbe dovuto arrestarsi prudenzialmente, mettendo in conto la possibilità che alcuno, pur con manovra imprudente, procedesse sorpassando le auto ferme. Tale genere di condotta, posta in essere dal conducente della moto, pur essendo censurabile, non è del tutto imprevedibile, considerato anche che la disciplina della circolazione stradale pone a carico dell’agente di mettere in conto l’eventualità di condotte inosservanti della disciplina della circolazione”.
(Nota di Simone Marani)

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 27 ottobre - 24 novembre 2010, n. 41571

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Pistoia ha assolto l’imputata G.F. dall’accusa di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale. La pronunzia è stata riformata dalla Corte di appello di Firenze, che ha invece affermato la penale responsabilità.

Secondo l’ipotesi accusatoria l’imputata, alla guida di un’auto, nell’immettersi in una strada statale, non dava la precedenza ai veicoli in transito, non si avvedeva del sopraggiungere a forte velocità di un ciclomotore in fase di sorpasso, impattava con tale motoveicolo sul quale viaggiava il giovane N.M. cui, nello scontro, cagionava lesioni letali.

Il Tribunale ha ricostruito la vicenda sulla base delle dichiarazioni di due testi presenti ai fatti, dei rilievi tecnici e delle valutazioni compiute dai consulenti del pubblico ministero e della difesa: l’imputata era ferma allo stop; si immise sulla strada statale per svoltare a sinistra; raggiunta all’incirca la linea di mezzeria della statale, mentre alcune auto erano ferme per consentire la manovra, veniva investita mentre procedeva alla velocità di circa 20 km orari, da un ciclomotore che in quel frangente stava superando, alla velocità di circa 80 km orari, le auto incolonnate. Lo stesso Tribunale ha rilevato che la velocità del ciclomotore era ben superiore al limite di 50 km orari vigente su quel tratto di strada e che il veicolo stava eseguendo una manovra di sorpasso espressamente vietata dalla segnaletica orizzontale, superando la linea di mezzeria e sorpassando in prossimità dell’incrocio auto ferme proprio per consentire all’auto dell’imputata la manovra di immissione. Il primo giudice, inoltre, valorizzando la tesi prospettata dal consulente tecnico della difesa ha ravvisato che, mentre il giovane motociclista poteva avvistare l’auto che si immetteva nell’incrocio dopo che le auto in transito si erano fermate, al contrario l’automobilista, coperta dalla stessa fila di auto, non poteva avvedersi della manovra irregolare ed imprevedibile del motociclista in fase di sorpasso, con la conseguenza che l’urto avrebbe potuto essere evitato solo se la donna non avesse neppure intrapreso la manovra.

La Corte d’appello ha confutato tale valutazione. Si è rilevato che dall’esame grafico dell’incidente e segnatamente dal punto d’urto emerge che la tesi del consulente della difesa non è attendibile.

Infatti, dallo stesso punto d’urto si ricava che l’automobilista avrebbe potuto arrestare la propria manovra nel momento in cui, affacciandosi oltre la fila di auto ferme ed avendo la piena visibilità della sede stradale, si avviava a completare l’immissione nella opposta semicarreggiata. L’imputata avrebbe potuto così lasciar passare il motociclista, che pure senza dubbio stava compiendo una avventata manovra di sorpasso in velocità di auto incolonnatesi nell’incrocio. In particolare il giudice dell’impugnazione ritiene che l’imputata, avendo la visuale in gran parte coperta; avrebbe dovuto operare una sosta prudenziale nel momento in cui acquisiva la piena visibilità dell’intera sede stradale che andava ad occupare; ed in quella situazione avrebbe ben potuto interrompere la propria manovra per lasciar passare il pur imprudente motociclista la cui posizione in quel momento era ben visibile ad una distanza ancora utile per una manovra d’emergenza.

Tale comportamento della donna era dovuto, considerato l’obbligo di fermata all’incrocio e l’obbligo di prudenza che si estende fino al dovere di prevedere anche comportamenti anomali di altri conducenti.

Una situazione del genere avrebbe imposto di non immettersi sulla statale alla cieca, ma di fermarsi nel punto in cui poteva acquisire l’intero campo visivo su entrambe le corsie. Tale prudenziale fermata non è stata compiuta, come riferito dalla teste P. che ha dato conto di un iniziale controllo da parte dell’imputata prima di intraprendere la manovra di immissione nella statale, ma non di una successiva fase di controllo nel momento dell’immissione nell’opposta semicarreggiata. Anzi, verosimilmente, secondo la Corte d’appello, la donna si era affrettata a compiere la manovra per arrecare il minor intralcio possibile agli automobilisti incolonnatisi per consentirne l’attraversamento. In conclusione, sebbene la colpa sia attribuibile prevalentemente al motociclista anche l’imputata non è immune da censure penalmente rilevanti.

2. Ricorre per cassazione l’imputata deducendo diversi motivi.

2.1 Con il primo motivo si prospetta mancanza e comunque illogicità della motivazione. Il primo giudice ha compiuto una analitica valutazione di tutti gli aspetti della vicenda. Al contrario, la Corte d’appello ha confutato le conclusioni raggiunte dal Tribunale senza minimamente spiegarne le ragioni. Essa richiama un solo elemento oggettivo costituito dal punto d’urto; trascurando che si tratta di un isolato dato statico, mentre la ricostruzione dinamica degli accadimenti è stata compiuta dal consulente della difesa considerando la dinamica dei due veicoli coinvolti ed una serie di dati ulteriori, quali la velocità, la traiettoria dei veicoli, le condizioni del luogo. La Corte di merito avrebbe ben potuto dissentire dalla prima ricostruzione degli accadimenti ma non avrebbe dovuto trascurare di utilizzare tutti i rilevanti elementi di giudizio desumibili dalle acquisizioni processuali. Una specifica valutazione delle condizioni spazio-temporali sarebbe stata necessaria al fine di verificare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento che costituiscono elementi per la valutazione della colpa in tutte le situazioni in cui si sia in presenza di norme cautelari elastiche, che cioè impongono un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. 2.2 Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’art. 43 c.p..

Il primo giudice ha argomentatamente ritenuto la imprevedibilità dell’evento nel caso di specie, a causa delle plurime, macroscopiche infrazioni commesse dalla vittima. La pluralità e gravità delle infrazioni dell’altro conducente può ben indurre a rendere imprevedibile una condotta così estrema, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. 2.3 Con l’ultimo motivo si censura la determinazione della pena. La Corte è partita da una pena base di nove mesi di reclusione e la ha ridotta di un terzo per effetto di attenuanti generiche prevalenti rispetto all’aggravante. Orbene tale pena base superiore al minimo edittale di sei mesi di reclusione e priva di giustificazione in considerazione della incensuratezza e dell’avvenuto risarcimento del danno.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 La pronunzia reca appropriata motivazione, immune da vizi logico- giuridici e non è quindi sindacabile nella presente sede di legittimità. Essa, infatti, con l’argomentazione che si è sopra sunteggiata, ha ricostruito i momenti cruciali della vicenda, ponendo in luce che l’imputata, una volta avviata la manovra di svolta, prima di immettersi nell’opposta semicarreggiata avrebbe dovuto arrestarsi prudenzialmente, mettendo in conto la possibilità che alcuno, pur con manovra imprudente, procedesse sorpassando le auto ferme. Tale genere di condotta, posta in essere dal conducente della moto, pur essendo censurabile, non è del tutto imprevedibile, considerato anche che la disciplina della circolazione stradale pone a carico dell’agente di mettere in conto l’eventualità di condotte inosservanti della disciplina della circolazione.

3.2 Quanto alla pena la Corte, evocati i noti criteri di legge, è partita da una pena base ben prossima al minimo, l’ha ridotta per attenuanti generiche e l’ha sostituita con la corrispondente sanzione pecuniaria. Si è quindi in presenza di ponderata valutazione di merito, sottratta al sindacato di legittimità.

Il ricorso deve essere quindi rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

da Altalex

 

 

Lunedì, 21 Febbraio 2011
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