VINO E GIOVANI Martedì scorso vi avevo invitato a scrivere sul blog del sito “Vino e giovani” (http://www.vinoegiovani.it/blog/ ). Io e Roberto Argenta abbiamo cominciato subito ad inviare nostri contributi. I primi sono stati pubblicati, ora da due giorni tutto è bloccato, e un mio messaggio è “in attesa di moderazione”. Ipotizzo che li stiamo mettendo in difficoltà. Dateci una mano: se vi va, scrivete anche voi a questo blog il vostro punto di vista. Di seguito vi copio il testo del mio scritto (per ora) censurato. Alessandro Sbarbada
Cara Silvana, conosco bene il cosiddetto “paradosso francese”: è una vecchia bufala su cui per anni si è speculato per motivi commerciali. Poco a che fare con la scienza. Per approfondimenti http://www.albanesi.it/Dietologia/paradossofrancese.htm (l’esempio della erre moscia è illuminante, sembra incredibile ma è davvero così). Intanto sono passati gli anni, e i francesi hanno scoperto molte altre cose, ad esempio l’incidenza sul cancro già di dosi molto moderate di bevande alcoliche (http://www.universonline.it/_sessoesalute/salute/09_02_18_a.php ) (http://www.alcoholnet.net/Documenti%20Internazionali/cancro_l%27alcol_%C3%A8_pericoloso_anche_a_dosi_moderate.htm ). Sa cos’è la cosa bizzarra? Dello smentitissimo paradosso francese parlano ancora in molti, delle mai smentite ricerche su alcol e cancro non parla mai nessuno. Il motivo? Gli interessi commerciali vengono anteposti al benessere e alla salute dei cittadini. Così i produttori francesi preparano la controffensiva, finanziando loro stessi le “ricerche” a suon di milioni di euro (http://www.winenews.it/index.php?c=prima&dc=98&rubrica=&cerca=&action=detail&nid=2144 ). Queste ricerche finanziate dai produttori di vino “scopriranno” che il vino fa bene o che fa male? Il risultato è già scritto, ancora prima di cominciare a cercare. Grazie per la disponibilità ad un utile confronto. Alessandro Sbarbada
CORRIERE DEL TRENTINO Diecimila famiglie lottano con l’alcol Nei club per chi ha problemi l’età media è di 45 anni. Aumentano i minori TRENTO— Sono 10.000 le famiglie trentine con problemi d’alcol. A stabilirlo un’indagine del Centro Studi dell’Associazione provinciale dei club degli alcolisti in trattamento (Apcat). «Questo è l’unico centro in Italia in cui collaborano club e Azienda sanitaria» precisa Franco Baldo di Apcat. Tra gli obiettivi del Centro c’è la formazione continua degli operatori e l’aggiornamento: «Nessuna analisi psico-sociale — puntualizza Baldo — cerchiamo risposte concrete per affrontare il problema dell’alcol diffuso in tutta la provincia». Ed ora, l’obiettivo del Centro e dell’Apcat è coinvolgere i giovani per diffondere l’educazione peer to peer, il sostegno tra pari. L’ultima indagine Istat, a quattro mani con l’Istituto superiore di sanità, rivela che in Trentino aumentano i binge drinkers, vale a dire i consumatori che bevono almeno 6 bicchieri consecutivi. In più, in provincia di Trento si abbassa l’età media delle categorie a rischio: un quarto dei ragazzi tra gli 11 e i 18 anni beve. Il problema non è nuovo. Il Nordest è la zona in cui prevale il consumo d’alcol e, di conseguenza, è qui che si cerca di intervenire in modo più articolato. In Trentino il punto di riferimento per le problematiche collegate all’alcol è l’Associazione provinciale dei club degli alcolisti in trattamento (Apcat). L’onlus nasce nell’aprile 1986 per coordinare i 165 club presenti sull’intero territorio. In sostanza, ogni club segue in media sei famiglie, per un totale di mille nuclei. A mantenere costante l’aggiornamento dei facilitatori Apcat — chiamati tecnicamente «servitori» — c’è il Centro Studi, istituto nato nel 1988 e dal 2003 parte integrante dell’associazione. «Il Centro promuove la ricerca e lo studio nel campo sociale gestendo direttamente scuole di formazione; promuovendo attività di aggiornamento e di ricerca in collaborazione con l’Azienda sanitaria» spiega Franco Baldo, referente Apcat della Vallagarina per anni attivo nel Centro Studi. In sostanza, dal 1994 il Centro garantisce un’attività di collegamento all’interno dei diversi programmi alcologici territoriali della provincia. Nel dettaglio, il Centro si occupa principalmente dei percorsi formativi e di pubblicare manuali in collaborazione con il Servizio di alcologia dell’Apss. «Evitiamo analisi sociologiche o strettamente psicologiche — spiega Franco Baldo —. Il Centro pubblica ricerche e consigli pratici per rispondere al problema che coinvolge 10.000 famiglie trentine». Negli ultimi mesi, crescono le iniziative che coinvolgono la nuova soglia a rischio: i minori. «L’età media nei club si è abbassata— osserva Baldo —. L’età di riferimento ora si attesta tra i 45-50 anni. Purtroppo, però, fatichiamo ancora ad attirare i giovanissimi». Una soluzione potrebbe arrivare dall’aiuto di giovani educatori, ragazzi formati che possano aiutare coetanei in difficoltà: «L’educazione peer to peer, tra pari, potrebbe essere una soluzione— propone —. Tra coetanei c’è più autorevolezza, più credibilità». A Rovereto si è già fatto un primo esperimento nei licei: «Nella settimana di sensibilizzazione alcuni ragazzi sono stati liberati dalle lezioni e si sono occupati di promuovere maggior attenzione alle problematiche relative al consumo d’alcol» spiega. La seconda sfida è raggiungere alcune zone grigie: «Il problema dell’alcol è stratificato in tutta la provincia — chiosa —, ma in val di Gresta e a Serrada di Folgaria non abbiamo nessun club».
CORRIERE DEL TRENTINO Sevignani: occorre vincere la reticenza La referente dell’Apcat: «Nel distretto di Trento molte persone con un alto livello culturale» TRENTO— Il nuovo codice della strada, le limitazioni alla vendita di alcolici ai minori. E le campagne di sensibilizzazione. I rischi derivati dall’eccessivo consumo d’alcol impegnano Stato, regioni e province. In Trentino la cassa di risonanza delle problematiche relative all’alcol è l’Apcat che conta 165 club locali e mille famiglie seguite. (*) «Quest’anno c’è un lieve calo dei club— racconta Fulvia Sevignani, referente Apcat —. In ogni modo, in Trentino è nata una collaborazione stretta fra le parti: una rete di sostegno con il Centro alcologico e la Provincia». I risultati sono positivi: l’80% delle famiglie risolve i propri problemi. Sevignani, quanti sono i club presenti in Trentino? «Nella nostra provincia sono presenti 165 club coordinati dall’Apcat, un numero dinamico come lo è la metodologia dei club stessi». Qual è l’attività dell’Apcat? «L’attività svolta dall’associazione è frutto di una collaborazione con le varie associazioni dei club alcolisti in trattamento (Acat) e i club, da cui provengono gli spunti su cui focalizzare l’attenzione, promuovendo convegni, seminari o come l’incontro annuale delle famiglie. Ognuno dei 165 club presenti sul territorio segue in media sei famiglie, per un totale di mille nuclei. Lo scorso anno i club erano 170». Dunque c’è un lieve calo dei club? «C’è un lieve calo, in perfetta sintonia con i dati a livello nazionale. A complicare l’attività dei club è l’aumento della reticenza, la vergogna. L’alcolismo è un gravissimo problema, che può essere risolto con il sostegno dei familiari. Il problema ora è convincerli a partecipare. In altri casi non c’è nemmeno una famiglia alle spalle. Un’altra aggravante è dovuta dalla difficoltà comunicative. Nel distretto di Trento troviamo diverse persone con un alto livello culturale, adulti che spesso si trovano a parlare del più e del meno e faticano a lasciarsi guidare». Dunque, le problematiche legate all’alcol interessano adulti istruiti? «Negli anni sono cambiate molte cose, è facile trovare nei club adulti con un livello alto d’istruzione. I risultati sono comunque positivi: l’80% delle famiglie seguite risolve i problemi». Quali sono i passi da seguire per avvicinarsi a un club? «L’attività Apcat prevede degli incontri aperti al pubblico, che noi chiamiamo di terzo modulo. Questo può essere un contatto. Prima di frequentare un club è importate un colloquio preliminare con il facilitatore del club: le persone che vogliono iniziare questo percorso devono conoscere quali sono le fasi, come si svolgono gli incontri».
(*) Nota: più che “seguite”, le famiglie dei Club sono protagoniste del loro percorso di cambiamento.
IL MESSAGGERO VENETO Neanche un bicchiere di vino a chi guida CORMONS. Scintille in consiglio comunale per l’ordine del giorno pur se è stato ritirato sulla cultura enoica: il relatore sarebbe dovuto essere Mauro Drius, consigliere comunale del gruppo Terra cormonese-Pdl nonché viticoltore. Il documento sarà discusso nella prossima seduta, nell’attesa di giungere a un testo condiviso da maggioranza e opposizione. Il punto più controverso, sul quale più di qualche consigliere comunale storce il naso, è la proposta d’innalzare il tasso alcolemico consentito da 0,5 a 0,8 per chi ha più di 29 anni. La posizione più rigida è del consigliere comunale d’opposizione Renzo Coceancig, che si è scontrato nelle assise civiche con Drius: «Chi guida non beve ha esordito l’esponente di Sinistra, ambiente e libertà . Se si dovesse seguire questa logica diventerebbero davvero risibili e superflui i messaggi sul numero di bicchieri compatibili con la guida. Opinioni fuorvianti e farcite da falsi luoghi comuni: uno o due bicchieri fanno bene alla salute e non provocano alcuna alterazione psicofisica per la guida. Falsità che spingono gli automobilisti a costruirsi un etilometro mentale, consolatorio e ingannevole, perché ogni guidatore che beve si alza da solo l’asticella del limite massimo di alcol. Sarà impopolare dirlo a Cormòns, non piacerà certamente a tutti. Affinché gli italiani si convincano a mettersi al volante senz’aver bevuto neppure un goccio di alcol c’è una strada da seguire: un impegno educativo forte e deciso e un percorso formativo continuo. Partendo dalle giovani generazioni, attraverso gli insegnamenti in famiglia e sui banchi di scuola». Coceancig ha proseguito evidenziando come la maggior parte degli incidenti avvenga con livelli alcolici del guidatore che rientrano nella fascia bassa: «È vero: chi beve due bicchieri di vino quasi mai viene classificato come ubriaco; tuttavia, l’incremento del rischio d’incorrere in un incidente nasce già con il primo bicchiere ha aggiunto l’esponente dell’opposizione . Gli effetti negativi dell’alcol sulle capacità di guida si riscontrano già a 0,2 grammi per litro di sangue, cioè meno della metà di quanto consentito attualmente». «A questo livello già si fa fatica a discriminare fra due stimolazioni contemporanee, mentre vengono maggiormente avvertiti gli effetti della stanchezza. Finché si metteranno limiti di tolleranza legale si faranno sempre calcoli e proiezioni di quanto si possa bere per guidare. Se il limite, invece, fosse posto a zero non avrebbe più senso fare calcoli: non si berrebbe e basta. Chi guida non deve assumere niente che alteri i parametri psicofisici. I problemi della crisi del vino non sono certamente causati dai controlli con l’etilometro come sostiene il consigliere Drius». (*)
(*) Nota: fa davvero piacere trovare un esponente politico preparato sulla materia di cui parla e coraggioso nel sostenere una posizione “scomoda”. Da questa rassegna va il nostro plauso a Renzo Coceancig, e un sostegno alla sua nobile battaglia.
LA PROVINCIA DI COMO l’altra faccia della tragedia Laurea in psicologia ed educatrice Ora rischia grosso L’investitrice è attiva nel sostegno ai piccoli disabili L’accusa: omicidio colposo aggravato dall’abuso d’alcol L’estate di Loredana era iniziata come meglio non poteva. La gioia per la laurea in psicologia, cercata, voluta e conquistata. All’università di Padova i suoi sforzi avevano dato finalmente i loro frutti e la 42enne nata a Losanna e residente a Ponte Chiasso era finalmente diventata "dottoressa". Una manciata di mesi dopo quell’estate da ricordare per sempre si è però trasformata in una stagione da dimenticare alla svelta. Forse la peggiore della sua vita. Si chiama Loredana Savoldelli, la donna che martedì sera guidava la Citroen C1 contro la quale è finito lo scooter di Davide Auguadro. Un incidente la cui dinamica sembra essere un mistero. La procura, sicuramente, nelle prossime settimane affiderà a un esperto una consulenza cinematica per tentare di ricostruire cosa sia accaduto con esattezza, lungo la strettissima e maledetta via San Giacomo. Una cosa, però, appare certa, stando agli atti della polizia locale: la 42enne di Ponte Chiasso era al volante della sua auto a dispetto di un tasso alcolemico di quasi quattro volte oltre il consentito. Un dato sufficiente, questo, per far scattare la denuncia per omicidio colposo aggravato dall’abuso di alcol. Un reato che, codice penale alla mano, sulla carta prevede pene severissime: dai tre ai dieci anni di reclusione. Scesa dalla sua C1, martedì sera, Loredana Savoldelli ha detto, sconvolta, a uno dei primi ad accorrere sul luogo dell’incidente: «Non so cosa sia successo. Me lo sono trovato davanti». Il punto d’impatto è avvenuto sulla corsia - se di corsie si può parlare, nell’angusta via San Giacomo - sinistra rispetto alla direzione di marcia di Davide "Dido" Auguadro. È come se il ragazzo, all’improvviso, avesse sterzato dall’altra parte della strada finendo contro l’auto. La C1, dal canto suo - almeno stando ai segni di gesso tracciati dai vigili - era in diagonale sulla strada. Due le ipotesi: o Davide ha perso il controllo del motorino, magari per una sconnessione dell’asfalto, finendo dalla parte opposta, oppure ha tentato di sterzare vedendo l’auto della 42enne psicologa di Ponte Chiasso venirgli addosso, in mezzo alla strada. Il problema è che nessuno ha visto nulla e i soli dati su cui ora la procura è costretta a lavorare sono: il punto dell’impatto, che sembrerebbe dar torto a Davide, il tasso alcolemico di 2,32 (il limite è 0,5) dell’automobilista, che sembra dar torto a Loredana Savoldelli, e i ricordi sulla dinamica dello scontro della donna che era al volante della Citroen. Ecco come la 42enne si presenta su internet: «Laureata in psicologia del lavoro e delle organizzazioni con tesi di ricerca sulla "Percezione degli adolescenti italiani riguardo ai loro pari immigrati", sono interessata a tutte le culture e a lavorare nell’ambito interculturale». Un interesse che l’ha spinta a lavorare come educatrice infantile «con sostegno all’handicap minorile nelle scuole». Un impegno nobile. Una passione e un attaccamento alla vita e agli altri. Tutto stravolto. Tutto ribaltato in un maledetto, folle istante: quello nel quale Loredana Savoldelli ha deciso di avviare il motore dell’auto, nonostante avesse bevuto troppo per essere in condizioni di guidare.IL GAZZETTINO (Padova) L’avviso Aps, i viaggiatori: «Vergogna»E’ polemica sul comunicato per avvertire gli autisti dei controlli anti-alcol. Il Pdl: «Allibiti, un atto grave». Ivo Rossi difende l’azienda È polemica sul caso del volantino di Aps per informare i propri autisti dei possibili controlli anti-alcol da parte dei carabinieri. Infuriati i viaggiatori: «Vergogna, in questo modo non siamo tutelati». Insorge anche il centrodestra. «Davanti a un fatto come questo resto allibito», sottolinea Avruscio del Pdl. E a lui si uniscono Salmaso e Venuleo della Lega Nord. E mentre il vicensindaco difende l’azienda, il presidente di Aps ringraziare il carabiniere che li ha avvertiti. Protestano anche gli autisti: «Non fateci passare per dei criminali».ASAPS.IT Dal Blog di Elena Valdini sulla pagina web de Il Fatto Quotidiano L’incoerenza del nuovo Codice della strada Da quest’estate abbiamo un nuovo Codice della strada, un provvedimento che contiene modifiche importanti, come l’azzeramento del valore alcolemico per i neopatentati e per i professionisti della guida, come camionisti, tassisti e conducenti di pullman. Peccato però che, sempre parlando di alcol, lo stop alla vendita di alcolici nei locali (questa volta però tutti, non solo quelli di “pubblico intrattenimento e spettacolo”) sia passato dalle 2 alle 3 del mattino. Non basta: il divieto va in vacanza due notti l’anno, quelle di Ferragosto e Capodanno. Domanda: perché allora non anche per Carnevale? Almeno avremmo capito, o sperato, che si trattava di uno scherzo. A me non piace fare del sarcasmo quando si parla di questo tema, però davvero non capisco…: a voi non sembra un controsenso? In che maniera queste due notti possono essere diverse dalle altre? Ci vedo una mancanza di coerenza. Ma sono pronta a essere smentita dai fatti, anzi: ne sarei contenta. C’è poi un comma (il 2 quinquies dell’art.54 della legge 120/2010) “che liberalizza in pratica gli Happy Hour sulle spiagge, tutti i santi giorni, dalle 17 alle 20” come scrive Giordano Biserni sul sito dell’Asaps. Riporto parte del suo articolo: “Insomma si potrà celebrare il rito delle “Ore felici” sulle spiagge senza che i sindaci possano seriamente intervenire con divieti e opportune limitazioni. Di più, la nuova norma si premura anche di specificare che ‘Per lo svolgimento delle forme di intrattenimento di cui al presente comma non si applica l’articolo 80 del citato testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931′. Insomma il Testo Unico delle Leggi di PS stia alla larga. Per carità qui nessuno vuole fare il fustigatore dei (liberi) costumi. Lo sappiamo, in spiaggia non si guida. Ma subito dopo sì. E comunque diciamolo chi voleva bere alcolici li beveva poi comunque. Quindi non cambierà molto, forse. Magari l’Happy Hour induce più in tentazione… Ma è quello che molti vogliono no? Alla fine – lo sappiamo – i problemi seri, visto che in pochi scivoleranno dal pedalò affogandosi nell’acqua (sarebbe il colmo), li vedremo comunque tutti sulla strada. Il guaio è che in questo caso ci andranno di mezzo anche quelli che dell’Happy Hour non gliene frega niente, che magari alloggiano alla pensione Giannina a 1 stella e mezza, con acqua naturale ai pasti”. Alla voce velocità invece la novità è questa: diminuiscono i punti prelevati per chi supera i limiti di velocità, da 5 a 3. Multa invariata: 155 euro. Questo per chi supera di oltre 10 fino a 40 km il limite. Per chi lo supera invece da 40 a 60 km, la sanzione aumenta da 370 a 500 euro, ma i punti prelevati scendono da 10 a 6. Per chi infine lo supera di 60 km, i punti prelevati restano 10 e la multa sale da 500 a 779 euro. Il fatto è che la violazione più frequente è la prima, quella (ex) da – 5 punti, oggi – 3. Tradotto in chilometri orari, significa che chi viaggia fino a 95 in centro abitato, a 136 su statali e provinciali (dove il limite è 90), e fino a 178 in autostrada rischia di vedersi tolti dalla patente 3 punti e di pagare 155 euro di multa. Il problema è che ormai tutti sappiamo (o dovremmo sapere) che la velocità è la principale causa di scontri stradali e che l’alcol pesa per il 30-40% negli scontri stradali gravi. Infine, chi magari si vedrà ritirata la patente per gravi violazioni, potrà provare a richiedere al prefetto (entro il quinto giorno dal ritiro) il permesso di guidare tre ore al giorno per motivi lavorativi o per particolari problemi di carattere sociale. Una sorta di sospensione della sospensione, introdotta da un emendamento chiamato “emendamento grappino”. E penso che a questo punto non ci sia bisogno di aggiungere altro.
ENOTIME.IT MAL DI TESTA DA ALCOL: TUTTA COLPA DEL DNA! Due geni mutati rendono più sensibili al bere, favorendo emicrania o cefalea: studio del Centro Cefalee Università di Torino Per alcuni, alcol è sinonimo di mal di testa. Qualunque liquore bevano, anche in minime quantità, sono subito vittima di emicrania o cefalea a grappolo. Tale fenomeno è dovuta a due varianti del DNA. Lo afferma uno studio guidato dal dottor Lorenzo Pinessi (direttore del Centro Cefalee dell’Università di Torino) e pubblicato qualche tempo fa dalla rivista "Headache". La squadra del dottor Pinessi è partita da un dato di fatto organico: l’alcol è una sostanza tossica che, dopo l’ingestione, deve essere rapidamente metabolizzata per evitare danni all’organismo. A tale scopo, il corpo umano utilizza l’alcol deidrogenasi e l’aldeide deidrogenasi, 2 enzimi contenuti nel fegato. Inoltre, l’ispirazione è arrivata da una ricerca, contemporanea alla loro. Quest’ultima, ad opera dell’Università di Madrid, ha dimostrato che coloro che riferivano attacchi emicranici correlati all’uso di bevande alcoliche avevano una particolare variante del gene che codifica per l’alcol deidrogenasi 2 (ADH2) Basandosi su questo, Pinessi ed i suoi compagni hanno lavorato con 110 volontari, tutti affetti da cefalea a grappolo, malattia caratterizzata da fasi attive (il grappolo, in cui il paziente ha numerosissime crisi di cefalea) alternate a fasi di remissione. Gli studiosi hanno così scoperto che nella fase-grappolo l’assunzione anche di modeste quantità di alcol è in grado di scatenare violentissime crisi di cefalea, ma nella fase di remissione il fenomeno scompare. Spiega il dottor Pinessi: "Studiando l’alcol deidrogenasi 4 (ADH4), un altro dei geni che regolano il metabolismo dell’alcol, ho identificato una variante genica che si associa in modo significativo alla cefalea a grappolo. I portatori di questa variante genica hanno un rischio significativamente superiore di sviluppare la malattia". Elisabetta FezziTRENTINO «La Vis non era più cantina sociale» Dellai: si è snaturata con scelte sbagliate, serve il legame col territorio TRENTO. Il commissariamento non è stato deciso per avvicinare Cavit o allontanare Mezzacorona, ma «per far trovare a La Vis la strada giusta». Lo garantisce il governatore Lorenzo Dellai che sottolinea anche alcuni errori commessi dalla cantina («è uscita dalla dimensione di cantina sociale») e traccia un progetto per il settore vino trentino («plurale e capace di far emergere la vocazione di ognuno»). Chiede che tutti spingano dalla stessa parte per uscire dal tunnel e assicura che la Provincia «non è un bancomat, ma ha il dovere di aiutare chi è in difficoltà». Presidente Dellai, il commissariamento della cantina La Vis è stato definito dal presidente della cooperazione Schelfi «una sconfitta del sistema cooperativo». È d’accordo? Il presidente Schelfi ha ragione perché, se si è arrivati a questa soluzione “estrema”, c’è stato inevitabilmente qualcosa che non ha funzionato. Credo sia necessario un miglioramento ed un rafforzamento del sistema di monitoraggio e di controllo per prevenire queste situazioni. In ogni caso, non è certamente fallita la filosofia del sistema cooperativo: un settore sano e importante per il Trentino. Durante la crisi la Provincia è stata chiamata ad aiutare molte aziende, ora ha dovuto lanciare questa scialuppa di salvataggio anche ad una realtà cooperativa. Non c’è il rischio di un eccesso di assistenzialismo? Guardi, la Provincia ha per legge il compito di vigilanza e tutela delle realtà cooperative ed in questa veste è intervenuta con il commissariamento di La Vis. In ogni caso, è nostro dovere aiutare la società in generale nei momenti di difficoltà. Cittadini, imprese, cooperative. L’importante è che questi interventi non riducano la capacità di reazione dei singoli e che non sia vista nella logica-bancomat di prelevare dei soldi per qualsiasi cosa. La Provincia interviene sulla base di progetti di rilancio per un Trentino più competitivo. Il rilancio di La Vis è un tassello importante per tutto il settore vitivinicolo trentino. Secondo lei come mai si è arrivati a questo punto? Su cosa bisogna puntare per uscire dal tunnel? Credo si debba stare attenti al modello vitivinicolo che si vuole perseguire in Trentino. È indispensabile puntare su un modello plurale nel quale ogni realtà scelga la propria vocazione. Il piano affidato a San Michele ci aiuterà anche in questa direzione. Nello specifico del caso-La Vis, che errori sono stati fatti? La Vis forse ha costruito un’immagine del futuro che non era quella giusta. Ha puntato su scelte che l’hanno portata fuori dalla dimensione di cantina sociale legata al territorio e alla qualità. Probabilmente si è snaturata investendo fuori provincia e anche su realtà industriali come Casa Girelli. Ora, quale sarà il futuro di La Vis? Il commissario ed il suo vice stanno già lavorando e sapranno prendere le decisioni corrette. L’importante è che tutti operino nella stessa direzione e che anche i soci possano essere più sereni. Servono energie perché la strada è in salita, ma insieme si può arrivare in cima. Infine, c’è chi ha letto il commissariamento come una mossa per mettere fuori gioco Mezzacorona e far tornare Cavit. È così? Smentisco categoricamente. Il commissariamento non ha queste finalità: era un atto dovuto di fronte ad una situazione finanziaria grave. Inoltre, non capisco questo tifo calcistico per una parte piuttosto che per l’altra. Non c’è ostilità verso qualcuno. L’importante è che si prenda la strada giusta per La Vis e sarà la cooperativa a deciderla in base ad un progetto industriale, non certo la Provincia.TRENTINO Vignaioli all’attacco di Schelfi Balter: «La cooperazione trentina è piena di debiti e ha fatto troppe scelte sbagliate e incomprensibili» CARLO BRIDI TRENTO. Chi si aspettava che nell’incontro stampa convocato a quel “Grado 12” che aveva fatto da megafono a Peter Dipoli per attaccare la viticoltura trentina e la cooperazione in particolare, è rimasto deluso. L’attacco frontale di Nicola Balter, presidente trentino dei vignaioli, circondato dal suo direttivo, è stato nei confronti della cooperazione trentina, «piena di debiti, che fa scelte incomprensibili come per le funivie di Folgarida Marilleva: da vent’anni ha completamente sbagliato la politica vitivinicola». Poi ha snocciolato dei dati: «Il Trentino ha un potenziale produttivo di 110 milioni di bottiglie e ne vende 250 milioni, con il risultato che quando andiamo fuori dal Trentino ci accusano di essere degli imbottigliatori». Cosa fare? Secondo il presidente dei vignaioli «innanzitutto è urgente un forte ricambio dei vertici della cooperazione che non ha dimostrato di saper gestire né il passato né il presente. Bene ha fatto Dellai ad affidare all’Istituto agrario di San Michele lo studio di un progetto complessivo». Altra ricetta di Balter: andare nella direzione opposta a quella che sta emergendo per La Vis, che era una delle cantine che meglio valorizzavano il prodotto, anziché pensare di portarla con Mezzacorona che così disporrebbe del 70% del vino trentino che porterebbe all’omologazione, aggiunge il vice presidente dei vignaioli Cesconi, «ma prendere l’esempio dall’Alto Adige e creare tante piccole realtà. La Vis rimanga da sola, separandosi sia da Cembra che dal comparto mele e ricominci a valorizzare il proprio prodotto partendo dal territorio». E la polemica con Bolzano? Non solo i vignaioli trentini non si dissociano da Dipoli come hanno fatto tutte le altre realtà dell’Alto Adige ma afferma Balter, «non c’era nulla di offensivo nelle affermazioni di Dipoli, che noi non condividiamo, ma che consideriamo legittime». Poi l’invito che con i tempi che corrono è più che altro una provocazione: «creiamo un marchio unico per il vino del Trentino Alto Adige, sta nella natura e nella storia». Riprendendo la situazione generale del settore cantine sociali in Trentino, Balter tenta un’analisi: «Da quello che leggiamo sembra che si sia più preoccupati di acquisizioni e cessioni che di una politica di rilancio del comparto a livello provinciale. Poi, non capiamo perché si parli solo della LaVis, e non si parli di Nomi, di Avio, ma anche Mori avrà qualche grosso problema perché pare stia investendo cifre intorno ai 20 milioni di euro. Noi siamo preoccupati, non solo dei redditi dei nostri associati ma di quello di tutti i viticoltori trentini che per decenni sono stati abituati a guardare solamente al prezzo liquidato». E le indicazioni dei vignaioli? Ok all’intervento pubblico, ma attenzione a come si dà: «Non possiamo permettere che serva per ingrandire ulteriormente chi è già grande; proponiamo, in linea con l’assessore Mellarini, una rivisitazione dei disciplinari e degli aspetti agronomici; la scelta di vitigni adatti per il Trentino; il vino va legato al territorio e per far questo, se non possiamo vietare che venga commercializzato il vino che viene da fuori provincia, questo deve uscire dalle cantine con un logo diverso. Dobbiamo puntare infine al rafforzamento del marchio trentino per arrivare al marchio regionale». Come si vede molte cose già dette e condivisibili, c’è da sperare ora che il gruppo di lavoro di San Michele le sappia tradurre in un piano operativo prima che sia troppo tardi, e senza prime donne.IL GAZZETTINO (Rovigo) L’ORDINANZA Niente alcol per le partite nella zona del Gabrielli Niente alcol durante le partite di calcio allo stadio Gabrielli, che siano di campionato, di coppa o anche semplici amichevoli. Come succede per disposizione nazionale in tutti i luoghi dove si disputano incontri di calcio. Questo il contenuto dell’ordinanza emanata ieri dal sindaco Fausto Merchiori a pochi giorni dall’inizio della stagione calcistica, su sollecitazione del questore. «È una prassi che portiamo avanti ogni anno - afferma il primo cittadino - che serve a tutelare la sicurezza pubblica. In caso di partite importanti con pubblico pagante è normale vietare il consumo di bevande alcoliche per evitare problemi». L’ordinanza prescrive il divieto di somministrazione e la vendita anche per asporto di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione (compresa anche la birra, dunque) nella fascia oraria tra le due ore prima e le due dopo l’incontro di calcio, in tutti gli esercizi commerciali e punti di ristoro (anche quello all’interno dello stadio) entro 400 metri dall’impianto sportivo. Una norma rispettata a Rovigo anche in passato con serietà e disciplina, ma che nulla può di fronte a bevitori incalliti che si "riforniscono" lontano dagli stadi. IL MESSAGGERO VENETO bere consapevole: etilometro in due sagre IL GAZZETTINO (Venezia) Ubriaca e violenta spezza un polso a un agente LA NUOVA SARDEGNA a mores una festa solo analcolica IL GAZZETTINO (Rovigo) Piccola Oktoberfest per ricordare due ragazzi scomparsi IL GIORNALE DI VICENZA "Grapperie aperte" torna il 10 ottobre IL PICCOLO DI TRIESTE progetto del comune contro alcolismo e tossicodipendenze IL GIORNO (Como) Festa della birra musica e moto Rassegna stampa del 5 settembre 2010 BELLUNOPRESS |