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Giurisprudenza di merito - Bar frequentato da pregiudicati, questore può sospendere la licenza

(TAR Lombardia-Milano, sez. III, 11 febbraio 2011, n. 457)
 

E’ legittima la sospensione del locale pubblico frequentato da soggetti pregiudicati, in quanto situazione idonea a creare allarme sociale, indipendentemente dalla colpa del gestore. Lo ha stabilito il Tar Lombardia con la sentenza n. 457/2011, in quanto la frequentazione ambientale è da considerare come fonte di pericolo “concreto ed attuale” per la collettività.
Il caso vedeva un titolare di un bar milanese impugnare il provvedimento di sospensione della licenza per trenta giorni, emesso dal Questore, ai sensi dell’art. 100 del T.U.L.P.S., in quanto il locale in questione, nell’arco di tempo di due anni era stato teatro di una rissa, era risultato essere abitualmente frequentato da pregiudicati ed un cittadino extracomunitario era stato sorpreso in flagranza di spaccio di stupefacenti.
L’art. 100 del R.D. 1931 n. 773, al suo primo comma, prevede che “oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”.
Trattasi di potere ampiamente discrezionale, avente natura tipicamente preventiva e cautelare, a garanzia di interessi pubblici primari quali la sicurezza e l’ordine pubblico.
Secondo il giudice amministrativo la sospensione della licenza, frutto di una riconosciuta ampia discrezionalità in capo al Questore, risponde al duplice obiettivo di privare i pregiudicati di un abituale punto di aggregazione e di manifestare “lippis et tonsoribus” che il locale è sotto la stessa attenzione delle Forze dell’Ordine.
(Nota di Simone Marani)

 

T.A.R.
Lombardia - Milano
Sezione III
Sentenza 11 febbraio 2011, n. 457

N. 00457/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01986/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1986 del 2009, proposto da:
F. S., in proprio e in qualità di legale rappresentante e amministratore unico della società Venere s.r.l., rappresentato e difeso dagli avv.ti Emanuela Grillo e Guglielmo Panucci, domiciliato ex lege presso la Segreteria del Tribunale in Milano, via Corridoni n. 39;

contro

Ministero dell’Interno - Questura di Milano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui Uffici domicilia , in Milano via Freguglia n. 1;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

del decreto prot. n. Cat. 11A/DIV. P.A.S. datato 04.08.2009, con il quale il Questore di Milano ha disposto la sospensione per giorni 30 (trenta) della licenza per la conduzione dell’esercizio pubblico denominato “Hotel e Bar Corona”, sito a Locate di Triulzi (MI) in via Giardino n. 10/a e di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;

e per la condanna

delle amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni, in misura da quantificare in corso di causa.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2011 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Con il medesimo ricorso è stata proposta la domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno subito in conseguenza dell’esecuzione dell’atto impugnato.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno chiedendo il rigetto del ricorso avversario.

Le parti hanno prodotto memorie e documenti.

Con ordinanza n. 1090/09 depositata in data 11.09.2009 il Tribunale ha accolto in parte la domanda cautelare contenuta nel ricorso.

All’udienza del 03 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

 

1) Il ricorrente impugna il provvedimento con il quale il Questore della Provincia di Milano ha disposto la sospensione per trenta giorni, a decorrere dal giorno successivo alla data di notifica del decreto, avvenuta il 17.08.2009, della licenza per la conduzione dell’esercizio pubblico denominato “Hotel e Bar Corona”.

Il provvedimento specifica gli episodi posti a fondamento della determinazione assunta.

In particolare: a) il locale è già stato oggetto di analogo provvedimento di sospensione (decreto del 12.05.2007 presente in atto); b) in data 1.1.2009 vi è stato un intervento delle Forze dell’ordine presso “il bar” in questione a seguito di una rissa tra avventori; c) nei giorni 09.02.2009 e 20.03.2009 gli operanti riscontravano, in occasione di controlli presso il locale, la presenza di persone già segnalate per reati contro la persona (tra gli altri tentato omicidio) e in materia di stupefacenti (nelle relazioni allegate sono precisati i reati attribuiti alle persone controllate); d) nel corso di indagini svolte nel mese di maggio 2009 i Carabinieri del Comando Stazione di Pieve Emanuele hanno accertato che all’interno del locale veniva svolta attività di spaccio di stupefacenti e tale indagine ha condotto all’arresto di un cittadino extracomunitario, abituale frequentatore del locale.

2) Tanto premesso va rilevata l’infondatezza dei primi due motivi di impugnazione.

2.1) In relazione al primo motivo, è priva di pregio la censura con la quale si lamenta, in termini di violazione dell’art. 137 c.p.c., la mancata notificazione del provvedimento in copia non dichiarata conforme all’originale.

Sul punto è sufficiente evidenziare che nessuna norma impone che la comunicazione degli atti amministrativi debba essere effettuata nelle forme prescritte dal codice di procedura civile, essendo sufficiente che la comunicazione avvenga con modalità idonee a portare a conoscenza del destinatario la determinazione assunta dall’amministrazione e tale circostanza si è verificata nel caso di specie (cfr. tra le altre T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 04 maggio 2007, n. 3985).

Parimenti, è infondata la contestazione con la quale si lamenta che l’amministrazione non avrebbe esattamente individuato la licenza da sospendere, per non avere distinto tra attività ricettiva e attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Invero, il decreto impugnato individua esattamente il locale oggetto del provvedimento la cui denominazione è proprio “Hotel e Bar Corona”; inoltre, l’atto valorizza, ai fini della sospensione, degli episodi che si sono verificati all’interno del bar e ciò emerge non solo dal contenuto del provvedimento – secondo quando già evidenziato al punto 1 della motivazione – ma anche dagli atti istruttori in esso indicati.

E ancora, il provvedimento già nel preambolo prende in considerazione la “licenza” per la conduzione dell’esercizio e nel contesto motivazionale considera che “il locale” è già stato oggetto di un provvedimento di sospensione, senza fare riferimento all’attività ricettiva svolta nell’albergo

Del resto, come anticipato, il decreto richiama in relazione al locale colpito dalla sospensione un precedente analogo provvedimento sempre relativo al solo bar.

Non va poi dimenticato che l’amministrazione, con atto del 21.08.2009 – che non dispone oggettivamente alcuna revoca parziale dell’atto impugnato, contrariamente a quanto asserito nel ricorso – ha specificato che la sospensione riguarda la sola attività di somministrazione e non quella recettiva.

Ne deriva che dal contenuto del provvedimento impugnato, dalle fattispecie in esso concretamente valorizzate, dal contenuto degli atti istruttori, dal riferimento all’oggetto di un precedente provvedimento di sospensione e alla luce della precisazione effettuata dall’amministrazione pochi giorni dopo la notificazione del provvedimento gravato, emerge che la sospensione impugnata ha ad oggetto la sola licenza di somministrazione e non quella relativa all’attività ricettiva, con conseguente infondatezza della censura in esame.

2.2) Parimenti è infondato il secondo dei motivi proposti, con il quale si lamenta il difetto di motivazione per insussistenza dei presupposti fondanti la determinazione assunta.

L’amministrazione ha esercitato il potere previsto dall’art. 100 del R.D. 1931 n. 773, il cui primo comma prevede che “oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”.

Il potere in questione, ampiamente discrezionale, ha natura tipicamente preventiva e cautelare, a garanzia di interessi pubblici primari quali la sicurezza e l’ordine pubblico; ne discende che la sospensione della licenza deve ritenersi legittimamente adottata in tutti i casi in cui, a prescindere dalla colpa del titolare dell’esercizio, ricorra una situazione tale da configurare una fonte di pericolo concreto ed attuale per la collettività (cfr. C.d.S, sez. VI, 06 aprile 2007, n. 1563; C.d.S., sez. VI, 21 maggio 2007, n. 2534; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 04 aprile 2007, n. 1387; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 06 aprile 2009, n. 3150).

In altre parole, la sospensione della licenza di esercizio, prevista dalla anzidetta norma, risponde alla finalità di produrre un effetto dissuasivo sui soggetti ritenuti pericolosi, i quali, da un lato, sono privati di un luogo di abituale aggregazione, dall’altro, sono resi avvertiti della circostanza che la loro presenza in detto luogo è oggetto di attenzione da parte delle autorità preposte, indipendentemente dalla responsabilità dell’esercente (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 05 febbraio 2010, n. 278).

Nel caso di specie, il provvedimento di sospensione è adeguatamente motivato con riguardo ai presupposti che ne giustificano l’adozione, tenuto conto delle circostanze accertate dai controlli di polizia eseguiti presso l’esercizio in questione.

In particolare, in occasione di ripetuti sopralluoghi eseguiti dalle Forze dell’ordine, si è potuto accertare, in primo luogo, che il locale è abitualmente frequentato da persone pregiudicate; ciò emerge non solo dai controlli eseguiti nei giorni 09.02.2009 e 20.03.2009, ma anche dalla circostanza che, nonostante la precedente sospensione del 2007 – giustificata da analoghe vicende – il locale abbia continuato ad essere un luogo di ritrovo di pregiudicati.

Del pari, è significativa dell’esistenza dei presupposti per la sospensione la circostanza che le Forze dell’ordine in data 1.1.2009 siano intervenuti presso il bar per sedare una rissa, avvenuta – come emerge dalla documentazione in atti – nel porticato allestito con tavolini per gli avventori e non in una zona esterna al locale, come adombrato nel ricorso.

Infine, la circostanza che le indagini di polizia, dettagliatamente descritte negli atti istruttori, abbiano evidenziato, in modo del tutto verosimile, che il bar è luogo di spaccio di sostanze stupefacenti costituisce un ulteriore elemento che rende indubitabile la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 100 del T.U.L.P.S., mentre resta del tutto irrilevante il fatto che un cittadino extracomunitario sia stato tratto in arresto per detenzione illecita di stupefacenti al di fuori del locale.

I fatti valorizzati dall’amministrazione palesano che il locale è una fonte di turbamento per l’ordine pubblico e per la sicurezza dei cittadini e giustificano il provvedimento adottato dal Questore, che risponde all’esclusiva finalità di attuare misure di prevenzione in relazione alla possibilità di pericoli che possano minacciare i beni tutelati dalla legislazione di pubblica sicurezza, dovendosi ritenere pienamente riscontrata la fattispecie normativa relativa all’essere il locale in oggetto "abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose" ovvero che "comunque, costituisca un pericolo per la moralità pubblica".

Insomma, l’esercizio pubblico, per la tipologia dei suoi frequentatori e per la natura delle vicende di rilevanza penale in esso verificatesi, è idoneo a determinare allarme sociale e comunque a costituire motivo di turbamento al normale svolgimento della vita collettiva.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame.

2.3) Parimenti, è infondato il quarto dei motivi proposti.

In primo luogo, non è condivisibile la censura con la quale si lamenta l’irragionevolezza dei tempi di esecuzione del provvedimento impugnato.

Sul punto è sufficiente rilevare che il provvedimento di cui si tratta ha natura cautelare e mira a preservare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, pregiudicati in modo attuale dalle frequentazioni e dalle vicende di carattere anche penalmente rilevante che si sono verificate nel locale.

Pertanto, è del tutto ragionevole che l’esecuzione della sospensione avvenga in un tempo immediatamente successivo alla notifica dell’atto ed, in particolare, in considerazione della gravità delle vicende verificatesi, a partire dal giorno successivo a quello della comunicazione dell’atto.

Del resto, l’apposizione all’esterno del locale di un cartello che ne indica la chiusura su disposizione dell’Autorità, senza precisarne la durata, non costituisce un’irragionevole modalità esecutiva dell’atto, atteso che il periodo di sospensione risulta dall’atto medesimo, fermo restando che quello contestato è un adempimento successivo al perfezionamento del provvedimento e, pertanto, non incide sulla legittimità del provvedimento medesimo.

Parimenti – alla luce degli approfondimenti propri della fase di decisione del merito della causa – va rilevata l’infondatezza anche della censura relativa alla mancata esplicitazione nel contesto dell’atto impugnato delle ragioni giustificative della sospensione per un periodo superiore a 15 giorni.

Sicuramente, l’art. 9, comma 3, della legge della legge 1991 n. 287 dispone che “La sospensione del titolo autorizzatorio prevista dall’articolo 100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 , non può avere durata superiore a quindici giorni; è fatta salva la facoltà di disporre la sospensione per una durata maggiore, quando sia necessario per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica specificamente motivate”.

Nondimeno, va osservato che, in relazione alle peculiarità dei fatti valorizzati dall’amministrazione nel singolo caso, l’adempimento di tale obbligo motivazionale non impone necessariamente l’articolazione nel contesto dell’atto di una specifica argomentazione sul punto, potendo essere sufficiente la valorizzazione di taluni profili già considerati in sede di accertamento dell’esistenza dei presupposti di cui all’art. 100 del T.U.L.P.S..

Tale circostanza sussiste nel caso di specie.

Invero, il provvedimento considera che è proprio la natura dei fatti verificatisi in concreto a giustificare la durata della sospensione disposta a tutela degli interessi primari sottesi alla determinazione assunta e tale valutazione è del tutto coerente e proporzionata alla natura e alla gravità dei fatti accertati.

In particolare, la circostanza che il locale, nonostante la precedente sospensione del 2007, da un lato, continui ad essere punto di incontro di soggetti pregiudicati, anche per gravi reati contro la persona, dall’altro, sia stato teatro di una rissa, con armi da fuoco e minacce di morte e, infine, sia diventato - sulla base degli accertamenti documentati dall’amministrazione - luogo di spaccio di sostanze stupefacenti, evidenzia che la precedente sospensione non è bastata a soddisfare le esigenze di prevenzione che connotano la misura in questione.

In altre parole, il locale di cui si tratta, non solo continua ad essere un punto di aggregazione di soggetti pericolosi, ma è anche diventato luogo di commissione di reati a base violenta, nonché inerenti allo spaccio di stupefacenti, così palesando che, a prescindere dalla colpa del titolare, l’esercizio è sempre più fonte di pericolo concreto ed attuale per la collettività.

A fronte di tale dato oggettivo e della gravità dei fatti accertati dall’amministrazione, risulta del tutto proporzionata e adeguatamente motivata l’applicazione della sospensione per un termine di 30 giorni, al fine di evitare che l’esercizio continui ad essere "abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose" e “costituisca un pericolo per la moralità pubblica".

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame.

3) E’ priva di fondamento la domanda risarcitoria presentata con il ricorso, atteso che la legittimità dell’atto impugnato, in considerazione dell’infondatezza delle censure articolate nel ricorso, esclude la sussistenza di un fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c..

4) In definitiva il ricorso è infondato e deve essere respinto.

La natura delle questioni di fatto e di diritto sottese al riscorso proposto consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando respinge il ricorso.

Compensa interamente tra le parti le spese della lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Referendario
Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore

da Altalex

 

 

 

Venerdì, 01 Aprile 2011
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