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Corte di Cassazione 12/04/2011

Giurisprudenza di legittimità - Danni da cani randagi: responsabilità dell’Ausl e legittimazione degli enti locali

(Cass. Civ., sez. III, 07 dicembre 2005, n. 27001)
 

Con la sentenza in rassegna è stato accolto il ricorso incidentale proposto dall’ente locale resistente, al fine di ottenere la declaratoria del difetto di legittimazione passiva del comune, in relazione al giudizio civile intrapreso dai genitori di una bambina, nei confronti della P.A. comunale, per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla minore, in conseguenza di una caduta occasionata dalla necessità di allontanarsi, in corsa, da alcuni cani randagi, e di sottrarsi all’aggressione degli stessi.

La peculiarità della fattispecie in via di fatto, ed il seguente ordine di ragioni appresso indica- to, rendono interessante la decisione, che:

1) ha affermato la responsabilità dell’AUSL anche con riferimento a quelle fattispecie in cui, ancorché non vi sia stata un’effettiva e diretta aggressione da parte del randagio (così si evince dalla motivazione della sentenza), i danni (nella specie, determinati dalla caduta della minore durante la corsa per sfuggire alla torma di randagi) sono stati occasionati, quale conseguenza diretta ed immediata, dell’azione compiuta dalla vittima a causa del timore di essere aggredita dall’animale;
2) si è discostata motivatamente dal precedente orientamento - sia pure con specifico riferimento a quanto stabilito dall’art.6 della legge Regione Puglia 3 aprile 1985 n.12 (… spetta ai servizi veterinari delle USL il recupero dei cani randagi… ) - secondo cui, nel caso di danni subiti da un cittadino, a seguito dell’aggressione di un randagio, deve ritenersi sussistente la responsabilità solidale dell’ente locale nel cui territorio si è verificato il fatto dannoso, e della AUSL competente (cfr. Cass. Civ., Sez.III, 20 luglio 2002 n.10638, Giudice di Pace di Pozzuoli, 28 giugno 2004, Giudice di Pace di Manduria, 22 ottobre 2003 n. 478; in Altalex); infatti, la Suprema Corte, nel caso esaminato, ha affermato, al contrario, da un lato, il difetto di legittimazione passiva degli locali rispetto a giudizi civili di risarcimento danni intrapresi per danni subiti da animali che vagano liberi, avendo perso, per i motivi più svariati, un originario detentore (c.d. animali di affezione abbandonati), e, dall’altro, l’esclusione della configurabilità della responsabilità dell’ente locale, ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza e controllo del fenomeno del randagismo, ovverosia per non aver eliminato, con opportuni provvedimenti e/o cautele, il potenziale pericolo rappresentato dai cani randagi;
3) in senso innovativo rispetto alla precedente decisione, ha affermato, al fine di motivare la sussistenza del difetto di legittimazione passiva dei comuni, che le AUSL - dotate, com’è noto, di autonomia amministrativa, con legittimazione sostanziale e processuale, nonché inserite nell’organizzazione sanitaria regionale e nazionale - devono essere considerate soggetti giuridici autonomi rispetto agli enti locali, con la conseguenza che, per un verso, non è legittimamente possibile far ricadere sull’ente locale il giudizio di imputazione dei danni subiti dal soggetto aggredito da un randagio, e, per altro verso, nei giudizi di risarcimento danni intrapresi nei confronti degli enti locali, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva degli stessi.

A conclusione, sotto il profilo sostanziale, può considerarsi che la pronuncia è condivisibile anche alla luce della considerazione delle oggettiva difficoltà concrete per gli enti locali - già istituzionalmente oberati di competenze - di controllare il complesso fenomeno del randagismo.

Sotto il profilo squisitamente giuridico, non può essere sottaciuto, al riguardo, che se non può essere revocato in dubbio che la responsabilità della Pubblica Amministrazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2043 c.c. (c.d. responsabilità aquiliana) è fondata sul principio del neminem laedere, allo stesso modo non può essere revocato in dubbio che, al fine di imputare alla P.A. l’antigiuridicità della relativa condotta, è necessaria la sussistenza, in capo alla P.A. medesima, del presupposto della colpa.

Ne consegue che, condivisibilmente, la Suprema Corte, nella specie, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’ente locale, non essendo stata acclarato in giudizio, alcun fatto e/o comportamento colposo e/o illecito direttamente in capo all’ente locale.

D’altronde, è noto che il principio dell’alterum non laedere, non può essere interpretato come un obbligo, generale e senza condizioni, di attivarsi allo scopo di proteggere i diritti dei terzi eventualmente minacciati da un pericolo avente scaturigine da cause insorte all’esterno della sfera giuridica del soggetto al quale si vorrebbe ascrivere il fatto omissivo.

In vero, in tal caso è necessario porre a carico del soggetto un vero e proprio obbligo legale di impedire l’evento; che, allo stato, in relazione alla fattispecie esaminata dalla Corte di legittimità, non sussiste espressamente in capo agli enti locali.

Al fine di ritenere sussistente il suddetto obbligo - la cui violazione, ex art. 40 comma 2, c.p., “equivale” a cagionare l’evento - non basta richiamare il principio dell’alterum non laedere, ex art. 2043 c.c., quale obbligo di legge indeterminato - ma deve essere necessariamente sussistente il presupposto dell’esistenza di una norma di legge che preveda specificamente tale obbligo.

Giova rammentare, al riguardo, per quanto di interesse, che, in giurisprudenza (Cass., Sez. III penale, sent. 19 ottobre 2004 n. 40618) è stato affermato, tra l’altro, che secondo il principio di responsabilità penale personale, la condizione di "garante" rispetto a un bene da tutelare (nel caso concreto, la tutela dell’incolumità della collettività, sotto il profilo di evitare pericoli alla stessa dall’aggressione di cani randagi) presuppone in capo al soggetto il potere giuridico di impedire la lesione del bene, ovverosia quell’evento (reato) evocato dal capoverso dell’art. 40 c.p.. Quando questa norma precisa che "non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo" fonda la responsabilità penale dell’omittente non solo sull’obbligo, ma anche sul connesso potere giuridico di questi di impedire l’evento. Responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, anche quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui all’art. 27 Cost..

Da ultimo, non può certo negarsi che, in ogni caso, il fenomeno del randagismo è in continua crescita, e, paradossalmente, si connota come una delle tante essenze della modernità.

Sicché onde evitare eventi dannosi - talvolta con conseguenze veramente gravi - sarebbe auspicabile un intervento del legislatore al fine di individuare limpidamente, su tutto il territorio nazionale, il soggetto giuridico in capo al quale ritenere preesistente e sussistente l’obbligo legale di impedire l’evento dannoso, ed allo scopo di individuare e porre in essere coerente attività di prevenzione, caratterizzata da maggiore efficacia.

(Nota di Ottavio Carparelli)

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 7 dicembre 2005, n. 27001

(Pres. Preden, Est. Di Nanni - P.M. Sorrentino)

Giustizia civile - Responsabilità civile della P.A. - Risarcimento dei danni - Provocati ad un soggetto caduto per fuggire da alcuni cani randagi - Legittimazione passiva dell’ente locale nel cui territorio si è verificato l’evento dannoso - Non sussiste - Ragioni - Riferimento all’art.6, legge Regione Puglia n. 12/1985.

Va esclusa la legittimazione passiva di un ente locale, nel giudizio civile intrapreso da un soggetto nei confronti del comune, al fine di conseguire il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta determinata dalla necessità di fuggire da alcuni randagi e di sottrarsi all’aggressione degli stessi, atteso che, da un lato, con particolare riferimento alla Regione Puglia, l’art. 6 della legge n.12/1985 dispone testualmente che spetta ai servizi veterinari delle Usl il recupero dei cani randagi, e, dall’altro, le Ausl devono essere considerate soggetti dotati di autonomia giuridica rispetto allo stesso ente locale; ne discende che non può ricadere sul comune il giudizio di imputazione dei danni subiti da un soggetto in conseguenza dell’aggressione di cani randagi.

 cfr., in senso differente, CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE, Sentenza 20 luglio 2002 n.10638, con cui legittimamente un Comune viene condannato, in solido con la locale ASL, a risarcire i danni materiali e personali riportati da un cittadino aggredito da una torma di cani selvatici, ove risulti che non si è trattato di un episodio isolato, ma il ripetersi di una situazione di pericolo pubblico che abbia messo in allarme la comunità, tanto da essere riportata più volte dalla stampa.

Sentenza n. 27001 / 2005

R.G.N. 4225 / 02

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    * Dott. Roberto PREDEN - Presidente -
    * Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Rel. Consigliere -
    * Dott. Mario FANTACCHIOTTI - Consigliere -
    * Dott. Maurizio MASSERA - Consigliere -
    * Dott. Alberto TALEVI - Consigliere -

 

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

Sul ricorso proposto da:

C. MAURIZIO, S. ELISABETTA, Selettivamente domiciliati in ROMA VIALE TIZIANO 80, presso lo studio dell’avvocato EVARISTO PETROCCHI, difeso dall’avvocato GIOVANNI CAPRIOLI, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

COMUNE DI ARNESANO;

- intimato -

e sul 2° ricorso n° 05768/02 proposto da:

COMUNE DI ARNESANO, in persona del Sindaco pro tempore, rag. Luigi Petrelli, selettivamente domiciliato in ROMA VIA LAURA MANTEGAZZA N.24, presso il cav. LUIGI GARDIN, difeso dall’avvocato CALOGERO VANCHERI, giusta delega in atti;

• controricorrente e ricorrente incidentale -

nonché contro

C. MAURIZIO, S. ELISABETTA;

intimati –

avverso la sentenza n.384 / 01 della Corte d’Appello di LECCE, prima sezione civile, emessa il 28/03/01, depositata il 25/06/01, R.G. 180/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/05 dal Consigliere Dott. Luigi Francesco DI NANNI;

udito l’Avvocato Calogero VANCHERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Federico SORRENTINO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso incidentale e l’assorbimento del ricorso principale. 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Maurizio C. ed Elisabetta S., genitori della minore Anna, con atto di citazione del 9 settembre 1996, hanno convenuto in giudizio davanti al pretore di Lecce il Comune di Arnesano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati dalla figlia, caduta il precedente giorno 19 aprile mentre correva per fuggire da alcuni cani randagi.

Il Comune si è costituito nel giudizio ed ha eccepito di non essere passivamente legittimato, svolgendo altre difese nel merito.

2. Il pretore ha accolto la domanda ed ha condannato il Comune al risarcimento dei danni, determinati in oltre lire 24 milioni.

3. La decisione è stata impugnata dal Comune, il quale, per quanto interessa, si è doluto dei seguenti errori della sentenza di primo grado: a) non avere ritenuto che la legittimazione passiva apparteneva alla Regione Puglia, alla quale è devoluta la prevenzione del randagismo, o allo Stato, b) non avere considerato la mancanza di un obbligo giuridico del Comune nel senso ipotizzato dagli attori.

4.La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 25 giugno 2001, ha riformato quella di primo grado, rigettando la domanda degli attori.

Queste le ragioni della decisione.

Nella fattispecie non si applicava la legge n.142 del 1990, perché essa conferisce al sindaco un potere di vigilanza limitato alla sicurezza ed all’ordine pubblico e non alla tutela igienico sanitario degli animali. Questa, secondo la legge 3 aprile 1985 n.12 della Regione Puglia, è esercitata dal sindaco attraverso i servizi delle unità sanitarie locali, che debbono provvedere anche al recupero dei cani randagi. Pertanto, gli eventi dannosi prodotti dai cani randagi possono essere addebitati ai comuni. L’istruttoria compiuta, nondimeno, non aveva fato emergere né che al Comune fosse stata tempestivamente segnalata la presenza di cani randagi nei pressi dell’abitazione della minore, né che questa caduta perché aggredita dai cani.

5. Maurizio C. ed Elisabbetta Sorzo hanno proposto ricorso per cassazione.

Resiste con controricorso il Comune di Arnesano, che ha proposto anche ricorso incidentale.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale e quello incidentale hanno dato luogo a procedimenti diversi, che debbono essere riuniti, perché riguardano impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

2. Nell’ordine logico deve essere esaminato per primo il ricorso incidentale del Comune di Arnesano che pone la questione preliminarmente di merito, rilevabile d’ufficio, della legittimazione passiva del Comune: Cass. 6 agosto 2004, n.15161.

2.1. La Corte di appello di Lecce, in punto di legittimazione passiva, ha rigettato l’eccezione di carenza della legittimazione, svolgendo queste considerazioni.

L’art. 6 della legge della Regione Puglia 3 aprile 1985 n.12 dispone che il recupero dei cani randagi spetta ai servizi sanitari delle unità sanitarie locali, le quali sono organi che esercitano funzioni proprie dei Comuni. Pertanto a carico del Comune di Arnesano esisteva un vero e proprio obbligo giuridico di vigilare sul fenomeno del randagismo e di intervenire tramite le unità sanitarie locali.

Con i motivi del ricorso incidentale il Comune sostiene in contrario: a) che le unità sanitarie locali e le aziende sanitarie locali non sono organi dei Comuni, ma sono soggetti giuridici dotati di autonomia personalità giuridica e di autonomia patrimoniale; b) che l’art. 6 della legge della Regione Puglia n.12 del 1985 dispone che spetta ai servizi veterinari delle usl il recupero dei cani randagi.

I motivi sono fondati.

2.2. In questo giudizio non può essere contestato che la vigilanza sui cani randagi spettava alle unità sanitarie locali e, per esse, alla aziende sanitarie locali succedute per legge alle prime. Lo dispone l’art. 6 della legge della Regione Puglia n.12 del 1985, secondo la quale spetta ai servizi veterinari delle USL il recupero dei cani randagi.

Il problema da risolvere, piuttosto, è quello della posizione delle unità sanitarie locali o delle aziende sanitarie locali verso i Comuni.

2.3. Dopo la soppressione delle USL, operata dal d.lgs n.502 del 1992, istitutivo delle AUSL, i soggetti obbligati ad assumere a proprio carico i debiti degli organismi soppressi mediante apposite gestioni a stralcio (di pertinenza delle Regioni anche dopo la trasformazione in gestioni liquidatorie affidate ai direttori generali delle nuove aziende) sono le stesse Regioni: articoli 6, primo comma, della legge n.724 del 1994 e 2, quattordicesimo comma, della legge n.549 del 1985.

Prima di queste trasformazioni, le unità sanitarie locali erano costituite come organi d’ufficio del comune ed erano munite di autonoma soggettività nella gestione del servizio presidi ed istituti sanitari.

2.4 Da questa premessa si ricava che, con riferimento all’oggetto di questo giudizio, la locale azienda sanitaria, succeduta alla usl, doveva essere considerata soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Arnesano, sul quale, quindi, non poteva ricadere il giudizio di imputazione dei danni subiti della minore Anna C..

3. Le conclusioni raggiunte non consentono l’esame del ricorso principale proposto da Maurizio C. ed Elisabetta S., i quali, con i tre motivi del ricorso, hanno addebitato alla sentenza impugnata i seguenti errori: a) omessa valutazione dei risultati dell’istruttoria compiuta sulla causale del danno; b) omessa e contraddittoria motivazione sul punto del mancato riconoscimento di un danno superiore a quello liquidato nella sentenza di primo grado.

4. Le spese di questo giudizio possono essere interamente compensate, ricorrendo giustificati motivi.

 

p.q.m.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito l’esame del ricorso principale. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il giorno 14 ottobre 2005.

Il Presidente


Depositato in cancelleria il 7 dicembre 2005.

da Altalex

 

 

 

Martedì, 12 Aprile 2011
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