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Guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti: lo stato dell’arte

(Tribunale Bolzano, ufficio GIP, 2 marzo 2011, n. 105)
 

Foto Coraggio - archivio Asaps


La sentenza n. 105/11 del GIP presso il Tribunale di Bolzano consente di ricapitolare lo stato dell’arte in merito al reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti di cui all’art. 187 C.d.S..

Giurisprudenza di legittimità e di merito ha da tempo precisato quale sia l’elemento oggettivo del reato: “la condotta tipica del reato previsto dall’art. 187, commi primo e secondo, cod. strada non è quella di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato d’alterazione psico-fisica determinato da tale assunzione. Perché possa dunque affermarsi la responsabilità dell’agente non è sufficiente provare che, precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida, egli abbia assunto stupefacenti, ma altresì che egli guidava in stato d’alterazione causato da tale assunzione.” (Cassazione Penale, sez IV, 8 luglio 2008, n. 33312).

Il reato di cui all’art. 187 C.d.S. risulta pertanto integrato dalla concorrenza di due elementi, dei quali l’uno obiettivamente rilevabile (lo stato di alterazione), e per il quale possono valere indici sintomatici, l’altro, consistente nell’accertamento della presenza, nei liquidi fisiologici del conducente, di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope, a prescindere dalla quantità delle stesse, essendo rilevante non il dato quantitativo, ma gli effetti che l’assunzione di quelle sostanze può provocare in concreto nei singoli soggetti” (Tribunale Camerino, 28 aprile 2009; Arch. Giur. Circol e sinistri 2009, 9, 739).

Si può dunque stabile se un soggetto ha guidando sotto l’effetto di stupefacenti solo a seguito di due tipi di accertamenti:

    * il primo basato su indici sintomatici, che possono essere rilevati dagli accertatori (indici quali occhi rossi, problemi di reazione, lentezza di riflessi, sonnolenza ecc..);
    * il secondo basato su accertamenti scientifici effettuati su liquidi fisiologici del conducente.

Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 187 C.d.S., devono essere soddisfatte entrambe le condizioni. Sul punto è stata la stessa giurisprudenza di merito ha precisare come l’esito positivo di uno solo dei due accertamenti non sia sufficiente a provare la guida in stato di alterazione:

“Non è sufficiente il solo riscontro sintomatico effettuato dagli agenti accertatori in quanto “non è consentito desumere la sussistenza del reato di guida in stato di alterazione psicofisica, dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, sulla base dei soli dati sintomatici. Per l’accertamento del reato occorrono la presenza di un adeguato esame chimico su campioni di liquidi biologici con esito positivo nonché l’esecuzione di una visita medica che certifichi uno stato di alterazione psico-fisica riconducibile all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.” (Tribunale di Savona, sentenza 19 marzo-2 aprile 2009, n. 354)”.

Non è del resto sufficiente neppure il solo accertamento scientifico sui liquidi fisiologici del conducente poiché “la semplice presenza di tracce di cannabinoidi nelle urine del conducente di un’auto non può rappresentare, da sola, la prova dell’alterazione delle sue condizioni psicofisiche al momento dell’incidente, determinata da un’assunzione di sostanze stupefacenti in epoca tale da influire sul suo equilibrio fisico. Infatti, come è noto, le sostanze stupefacenti possono rimanere nelle urine del soggetto che le ha assunte, anche per alcuni giorni dopo l’assunzione e tale presenza, in sé e per sé considerata, non comporta automaticamente l’alterazione delle condizioni psicofisiche previste dall’art. 187 c. strad.” (Tribunale di Genova, 21 luglio 2009, n. 3327; in Guida al diritto 2009, 43, 63)[1].

Quanto all’accertamento sintomatico, nel caso in esame l’imputato si era sottopost alla visita neurologica presso il locale nosocomio, visita che accertava il suo perfetto stato psicofisico. Da ciò l’impossibilità di dare credito agli indizi rilevati dalla PG, anche se – lo si nota con rammarico - la sentenza di assoluzione è intervenuta comunque ai sensi dell’art. 530/2 c.p.p., a riprova della “affidabilità privilegiata” di cui godono sono solo i fatti riferiti dalla PG ma addirittura i loro giudizi (anche quando medici!).

Irrilevante è stata dunque l’analisi dei liquidi fisiologici avesse dato esito positivo, in quanto nelle urine del soggetto era stata riscontrata la presenza di sostanze stupefacenti.

Tuttavia, simile circostanza non è implicitamente foriera di uno stato di alterazione psicofisico tale da incidere sulle capacità di guida dell’imputato. Sul punto, d’altronde, la giurisprudenza ha chiarito come “l’accertamento della presenza nelle urine di metabolici di sostanza cannabinoidi, se certamente comprova una pregressa assunzione di detta sostanza, non è peraltro parimenti dimostrativa dell’attuale sussistenza - al momento detta guida - dello stato di alterazione in quanto può ritenersi alla stregua di fatto notorio che la presenza di metaboliti costituisce la fase successiva sia al momento dell’assunzione della sostanza, sia al periodo di efficacia del principio attivo, costituendo essa il momento in cui l’organismo umano espelle le "scorie" metaboliche conseguite all’assunzione della sostanza da parte del soggetto. L’attualità degli effetti di alterazione dati dal principio attivo assunto, dal punto di vista tossicologico, appare accertabile con sufficiente margine di certezza solo all’esito di un esame ematico. Ne’, all’evidenza, detto esame può essere utilmente svolto mediante ulteriori accertamenti, sicché la prova deve considerarsi definitivamente cristallizzata con gli anzidetti insuperabili limiti intrinseci.” (Tribunale di Ferrara, Sentenza 21 maggio 2009, dep. 25/05/2009, n. 751)[2].

Difatti, come rilevato anche da uno studio compiuto dalla Paramedical S.r.l.[3], l’accertamento compiuto sulle urine non è dirimente poiché decreta solo l’esito positivo o negativo dell’esame che viene stabilito in base al riscontro nei campioni prelevati di ng/nl di sostanza superiore a 50 (Positivo: >50 ng/ml; Negativo: <50 ng/ml) ed “essendo un test qualitativo”, “indica solo la presenza della droga o di un suo metabolita nelle urine e non indica o misura l’intossicazione”. Peraltro, scrivono gli esperti, “alcune sostanze e/o altri fattori, come errori tecnici e di procedura, possono interferire con il test falsandolo”.

Altresì, l’esito positivo del test sulle urine nulla prova in ordine all’alterazione psicofisica al momento dell’accertamento, anche in considerazione della lunga permanenza della sostanza all’interno nei referti biologici. Come riferito da numerosi specialisti (ex multis, Patrizia Maria Gatti, Bertol. E, Lodi F, Mari F, Marozzi E, Trattato di tossicologia forense 1994 Edizioni CEDAM Padova) le amfetamine sono ritrovabili nelle urine per 2-4 giorni, la cocaina è pure misurabile nelle urine per 2-4 giorni (sempre in forma di metaboliti vari), i cannabinoidi (hashish e marijuana) nelle urine per un periodo diverso e molto lungo che va dai 5 (consumo acuto) ai 36 (consumo cronico) giorni (in forma di erbe e semi essiccati possono essere inalate, fumate o anche mangiate in preparazioni di torte o dolci da forno), gli oppioidi (eroina , morfina, oppio - derivati) restano nelle urine per 1-2 giorni[4].

Pertanto, anche a fronte dell’esito positivo dell’esame delle urine, non può essere dimostrata l’alterazione psicofisica dell’imputato, giacché tale esito dimostra solamente che nei giorni precedenti (anche fino a 36) questi ha fatto uso di sostanze stupefacenti ma nulla prova in ordine allo stato di intossicazione del medesimo. La certezza in ordine a tale stato potrebbe essere suggellata solamente in ordine a specifici esami ematici che, nel caso de quo, tuttavia, non sono stati effettuati.

(Nota di Nicola Canestrini e Lara Battisti)


[1] Tesi ribadita anche da una sentenza di merito più recente che conferma come “La guida in stato di alterazione psico-fisica dovuta all’uso di sostanze stupefacenti non può essere contestata quando, pur se la positività alla sostanza stupefacente (nella specie: cocaina) è accertata attraverso il prelievo del liquido biologico, il fermato non presenta segni ulteriori di una condizione rapportabile agli effetti dell’assunzione di stupefacenti da cui discende l’impossibilità di collocare tali effetti al momento in cui lo stesso era alla guida.” (Tribunale La Spezia 24 febbraio 2010, n. 220, Redazione Giuffrè 2010).

[2] E ancora “la riduzione della capacità di guida, costituente il fatto illecito che il legislatore intende sanzionare mediante gli art. 186 e 187 c. strad., non può essere desunta sulla sola base dei risultati degli esami urinari; invero, come espresso dalla stessa scienza farmacologica, al di là di un problema di falsi positivi che può presentare un esame di tal genere, potendo anche lo stato di stress psico-fisico del soggetto portare all’alterazione dei valori a causa di tossine che entrano in circolazione, in ogni caso la positività urinaria alle sostanze stupefacenti non permette di documentare l’attualità dell’uso delle stesse e, conseguentemente, un’alterazione psicofisica da loro assunzione da cui scaturisca la riduzione della prestazione alla guida; tali tipi di indagine, infatti, poiché effettuabili in tempi brevi, sono da considerarsi unicamente alla stregua di "rilevatori preliminari" i cui risultati, di conseguenza, per fondare un giudizio di colpevolezza, devono essere confermati da ulteriori e diversi accertamenti.” (Tribunale Bologna 7 gennaio 2010, n. 26, Guida al diritto 2010, 14, 80).

[3] Bibliografia di riferimento dello studio: 1. baselt, R.C. Disposition of Toxic Drugs and Chemicals in Man, Davis, Biomedical Communication, 1982; 2. Urine testing for Drugs of Abuse, National Institute on Drug Abuse (NIDA), Research, Monograph 73, 1986.; 3. Fed. Register, Department of Health and Human Services, Mandatory Guidelines for FederalWorkplace Drug Testing Programs, 53, 69, 11970-11979, 1988; 4. McBay, A.J. Clin. Chem. 33, 33B-40B, 1987; 5. The Pharmacological Basis of Therapeutics, Gilman, A.G. Goodman, L. S. and Gilman A. eds. MacMillan Publishing, New York, NY, 1980.

[4] Ed ancora: Estratto da Panoramica sulla canapa e i suoi derivati, stato al 4.10.05)Giovan Maria Zanini, farmacista cantonale del Cantone Ticino, Svizzera Il THC e i suoi metaboliti vengono eliminati per il 65% attraverso le feci e per il 20% attraverso l’urina. La scomparsa dal plasma è multifasica. L’80-90% del quantitativo totale di THC viene eliminato entro 5 giorni. L’emivita terminale però è molto grande, corrispondendo a circa 7 giorni. Ne consegue che i campioni biologici permangono positivi molto a lungo: con metodi analitici molto sensibili, nelle urine si possono trovare metaboliti del THC fino a 2-3 mesi dopo l’interruzione del consumo. Va osservato che l’emivita è soggetta a forti variazioni individuali. Inoltre dipende dalla regolarità del consumo: a seguito di un’induzione degli enzimi epatici, tende a diminuire nei forti consumatori. Esiste un importante circolo enteroepatico. La frazione di THC eliminato senza essere metabolizzato è inferiore al 5%. Nell’urina se ne ritrovano solo delle tracce, verosimilmente a causa dell’elevato riassorbimento tubulare.


Tribunale di Bolzano
Ufficio del GIP
Sentenza 15 febbraio - 2 marzo 2011

Leggi la sentenza

 

da altalex
 




Giurisprudenza di merito

Giovedì, 15 Dicembre 2011
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