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Corte di Cassazione 29/04/2011

Giurisprudenza di legittimità - Vittima di un incidente deve lasciare l’Università: sì al danno non patrimoniale

(Cass. civ., sez. III, del 06 aprile 2011 n. 7868)

Se la vittima di un incidente è costretto ad abbandonare l’Università gli deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. E’ quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 2011, n. 7868 accogliendo le doglianze di un cittadino abruzzese travolto sulla statale Adriatica da un autotreno che proveniva dalla direzione opposta e poi sparito nel nulla.

Con la sentenza di oggi, innanzitutto, la Cassazione precisa che in presenza di una perizia che accerti una determinata percentuale di invalidità, il giudice può sì discostarsene, riducendola, come nella fattispecie, passando dal 44%, indicato nella Ctu al 35%, ma è sempre necessario che venagano motivate le ragioni con riguardo alla specificità del caso concreto.

Nella quantificazione del danno biologico, morale e patrimoniale, secondo il giudice nomofilattico, occorre considerare il fatto che a causa del lungo periodo di invalidità temporanea (oltre un anno), il ricorrente aveva dovuto interrompere gli studi universitari di giurisprudenza che portava avanti come studente-lavoratore, perdendo la possibilità di laurearsi, con tutto quello che da ciò consegue in termini di perdita di opportunità di maggiori gratificazioni personali e anche di maggiori guadagni futuri.

Nella liquidazione dei danni biologici e patrimoniali il giudice territoriale non ha valutato le specificità del caso concreto che imponeva di tenere nella dovuta considerazione le opportunità di guadagno e di lavoro, oltre alle maggior gratificazioni personali e sociali, che la vittima del sinistro avrebbe ottenuto se avesse potuto proseguire negli studi.

(Altalex, 28 aprile 2011. Nota di Simone Marani)


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 6 aprile 2011, n. 7868

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 81, depositata il 18 febbraio 2.008, la Corte di appello di L’Aquila ha incrementato di Euro 35.567,73 la somma di L. 153.425.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, liquidata dal Tribunale di Lanciano in favore di S.G. ed a carico della s.p.a. SAI, quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, in risarcimento dei danni conseguiti ad un sinistro stradale occorso il ****.

In quella occasione l’automobile condotta dal S. lungo la strada statale ****, uscendo da una curva destrorsa era stata agganciata e travolta dal rimorchio di un autotreno che proveniva dalla direzione opposta, il cui conducente e proprietario sono rimasti sconosciuti.

Il S. - che ha subito lesioni personali a seguito dell’incidente - propone otto motivi di ricorso per cassazione contro la sentenza di appello.

Resiste la SAI con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo e il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, comma 2, e art. 19, lett. a); violazione delle norme contenute nel D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 - T.U. leggi sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, ed omessa motivazione, nella parte in cui la sentenza di appello ha quantificato la percentuale di invalidità permanente residuata all’infortunato nel 35 % del totale, sebbene la CTU esperita nel corso del giudizio abbia accertato che - applicando i parametri indicati dalle disposizioni e dalle tabelle contenute nel D.P.R. n. 1124 del 1965 cit. - detta percentuale ammonta al 44%, e che l’invalidità può essere quantificata nel 35%, applicando "i criteri ordinari".

Rileva il ricorrente che la L. n. 990 cit., art. 21, impone di determinare il danno da inabilità permanente in base ai criteri di cui al citato D.P.R. n. 1124, nei casi previsti dalla L. n. 990, art. 19, lett. a), qual è quello in esame, e che la Corte di appello ha adottato la valutazione inferiore senza alcuna motivazione.

2.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, sono fondati nei termini che seguono.

Va premesso che il richiamo della L. n. 990 del 1969, art. 21, comma 2, ai criteri di liquidazione del danno da inabilità permanente di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nei casi di cui all’art. 19, lett. a), della Legge stessa, sta ad indicare il limite massimo entro il quale l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada può essere chiamata a rispondere; non il limite minimo, come presuppone il ricorrente, allorchè qualifica come violazione di legge la minor valutazione adottata dalla sentenza impugnata.

Trattasi infatti di norma che - (anche) a tutela del Fondo di garanzia - tende ad assicurare ai danneggiati dai sinistri della circolazione stradale provocati da soggetti sconosciuti una protezione minima, entro limiti ritenuti compatibili, con le esigenze di economicità di gestione del Fondo.

La sentenza impugnata non è perciò censurabile per il solo fatto di avere determinato la percentuale di inabilità permanente ad un livello inferiore, ma per avere essa disatteso la valutazione legale senza alcuna motivazione.

La Corte di appello ha liquidato il danno da inabilità permanente nella percentuale del 35% senza spendere una parola di motivazione su che cosa si debba, intendere per "valutazione in base ai criteri ordinari" e sulle ragioni per cui tale percentuale debba essere ritenuta meglio corrispondente alla realtà rispetto a quella del 44%, determinata dallo stesso CTU in applicazione dei principi di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965.

Tali principi rappresentano pur sempre quelli che la L. n. 990 del 1969, art. 21, ritiene idonei ad esprimere la corretta quantificazione dell’invalidità permanente, agli effetti del risarcimento da parte del Fondo di garanzia.

La circostanza che la suddetta valutazione sia vincolante solo quanto al limite massimo non esclude che il giudice che se ne voglia discostare sia tenuto a motivare la sua decisione, indicando specificamente le ragioni della sua scelta.

L’obbligo della motivazione specifica ricorre peraltro in ogni caso in cui il giudice si trovi a dover scegliere fra diversi indici di valutazione del danno, indicati in sede di consulenza tecnica o comunque applicabili al caso, e la scelta deve essere motivata con riferimento alle specificità del caso concreto.

Tale riferimento nella specie è del tutto mancato, pur essendo le lesioni subite dal danneggiato - che hanno residuato anche difficoltà nella deambulazione oggettivamente di grave entità. 3.- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, nella parte in cui la Corte di appello - dopo avere premesso che il valore del punto di invalidità deve essere determinato in una somma variabile fra Euro 1.300,00 ed Euro 6.000,00, e che la scelta fra i due estremi deve variare in relazione alla gravità delle lesioni e all’età dell’infortunato - ha determinato detto valore in un importo vicino al minimo, senza effettuare alcuna correlazione con i suddetti criteri.

3.1.- Il motivo è fondato.

La motivazione risulta oggettivamente illogica e contraddittoria nella parte in cui, dopo avere premesso che "......Questa Corte......per le lesioni più gravi è solita riconoscere una somma compresa tra i 1.300 ed i 6.000 Euro a punto percentuale di invalidità. All’interno di questa fascia di oscillazione il risarcimento sarà poi tanto più elevato quanto più gravi siano i postumi e quanto più giovane l’età del danneggiato.....", ha poi confermato il valore del punto determinato dal Tribunale in Euro 1.291,14, in considerazione del fatto che detto valore era stato rivalutato fino a raggiungere l’importo di Euro 1.610,71.

La Corte ha cioè ritenuto corretta l’applicazione del valore minimo del punto di invalidità che essa è solita determinare (se non anche un valore inferiore, considerato che esso includeva la rivalutazione monetaria), sebbene i criteri di valutazione da essa stessa indicati rendessero logicamente attendibile una valutazione superiore.

La percentuale di invalidità era infatti elevata (35%, anche adottando il restrittivo criterio di valutazione a cui la Corte si è uniformata), e l’età dell’infortunato (38 anni) corrispondeva a quella di persona nel pieno delle forze ed ancora entro la prima metà della vita, stando agli indici medi di sopravvivenza della popolazione.

La valutazione risulta perciò intrinsecamente contraddittoria e inidonea a giustificare la decisione.

A maggior ragione la questione dovrà essere riesaminata in sede di rinvio, a fronte dell’accoglimento dei primi due motivi circa la quantificazione della percentuale di inabilità permanente.

4.- Con il quarto e il quinto motivo il ricorrente denuncia violazioni di legge (artt. 1223, 1226, 2043 e 2056 c.c.) e vizi di motivazione nella quantificazione dei danni biologici, morali e patrimoniali da lui subiti, sul rilievo che la Corte di appello non ha tenuto conto del fatto che, a causa del lungo periodo di invalidità temporanea (protrattosi per oltre un anno), egli ha dovuto interrompere gli studi universitari di giurisprudenza, che stava seguendo come studente-lavoratore, perdendo la possibilità di laurearsi: possibilità che gli avrebbe dato opportunità di maggiori gratificazioni personali e di maggiori guadagni futuri.

4.1.- I motivi sono fondati.

La sentenza appellata non ha preso affatto in esame la domanda di cui sopra, omettendo così di adeguare la liquidazione dei danni biologici e patrimoniali alle peculiarità del caso concreto, che imponevano di tenere conto delle opportunità di guadagno e di lavoro, oltre che di maggiori gratificazioni personali e sociali, che il ricorrente avrebbe potuto conseguire con la prosecuzione degli studi.

Ben avrebbe potute la Corte di appello ritenere la domanda non sufficientemente provata nei suoi presupposti, o non fondata. Ma avrebbe dovuto prenderla in esame e motivarne il rigetto, trattandosi di domanda che appare oggettivamente attendibile e relativa a circostanze rilevanti al fine della liquidazione dei danni.

5.- Il sesto ed il settimo motivo, con cui si lamenta violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., nonchè vizi di motivazione, quanto alla liquidazione dei danni morali, sono inammissibili perchè generici.

La Corte di appello non ha espressamente deciso sul punto, limitandosi a confermare la valutazione dei giudice di primo grado.

Il ricorrente avrebbe dovuto quindi riportare nel ricorso la motivazione del Tribunale e le argomentazioni da lui addotte nell’atto di appello per dimostrarne l’inconferenza e l’inattendibilità.

Egli si è limitato, al contrario, a chiedere il riesame del merito della decisione sul punto: riesame inammissibile sia in sè considerato, sia e particolarmente allorchè si tratti di valutazione equitativa, in relazione alla quale le censure di vizio di motivazione debbono essere particolarmente puntuali.

6.- L’ottavo motivo, con cui il ricorrente lamenta l’omesso esame della sua domanda di rimborso delle spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, risulta assorbito, dovendo l’intero capo attinente alla liquidazione delle spese processuali essere riesaminato dal giudice di rinvio, a seguito dell’accoglimento dei primi cinque motivi di ricorso.

7.- La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello dell’Aquila, in diversa composizione, affinchè proceda alla liquidazione delle voci di danno oggetto di annullamento, uniformandosi ai principi sopra elencati e con congrua e logica motivazione.

8.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie i primi cinque motivi di ricorso.

Rigetta il sesto e il settimo motivo e dichiara assorbito l’ottavo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello dell’Aquila, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

da altalex.com
© asaps.it
Venerdì, 29 Aprile 2011
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