(ASAPS) MADAGASCAR – L’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha riconosciuto da tempo la sicurezza stradale come
un problema di salute mondiale: del resto, a livello mondiale,
gli incidenti sono la prima causa di morte accidentale e la stretta
correlazione che c’è tra le lesioni riportate sulla
strada e il disagio delle nuove generazioni è sempre più
stretto. Così stretto, che proprio l’OMS ha stimato
che entro il 2020 la sinistrosità stradale sarà
la terza causa di morte assoluta. Checché se ne dica, infatti,
secondo le stime universali oggetto di studio in seno all’Organizzazione,
si ritiene che entro quella data questa fattispecie di mortalità
aumenterà fino al 60%. Certo, in Europa e nel mondo cosiddetto
occidentale, nonostante una certa difformità di strategia,
esiste indiscutibilmente una presa di coscienza, ma il cosiddetto
Terzo Mondo sta arrivando oggi alla motorizzazione di massa. Così,
nel quadro di una visione complessiva del fenomeno, la nostra
redazione “esteri” sta raccogliendo da tempo le notizie
che arrivano proprio da quei paesi, nei quali abbiamo stabilito
alcuni contatti e con i quali – lo si legge ogni giorno soprattutto
sul sito – intratteniamo ormai fitte corrispondenze. Il Madagscar
è uno di questi paesi, uno di quelli che nonostante la
massiccia pendolarità turistica di questi ultimi anni,
mantiene un reddito procapite bassissimo, pari a circa 230 dollari
americani all’anno (!), e con il 70% della popolazione complessiva,
stimata in 16 milioni di abitanti, che vivono al di sotto della
soglia di povertà assoluta. Ciò è anche dovuto
al fatto che il paese stenta a riprendersi dalla disastrosa crisi
politica che lo ha investito, come un monsone, nel 2002, e che
ha di fatto paralizzato totalmente ogni attività per un
semestre. La moneta locale ha subito una svalutazione del 100%,
il tasso d’inflazione galoppa abbondantemente sopra il 30
e interessa ogni prodotto considerato di prima necessità.
È ovvio, che in un contesto sociale di questo tipo, la
sicurezza stradale appare solo l’ultimo dei problemi, e in
alcune regioni nemmeno viene presa in considerazione l’ipotesi
di attuare contromisure. I mezzi di contrasto, infatti, riflettono
la povertà del paese, e quel poco che c’è lo
si deve a qualche lungimirante funzionario che si è formato
all’estero. A questo si aggiunga che ci sono regioni ad elevata
motorizzazione che cominciano a misurarsi su un reticolo viario
più organizzato, ed altre nelle quali una strada bianca
resta l’unico collegamento disponibile. In Madagascar, ad
occuparsi del problema sulla strada è la Gendarmeria Nazionale,
che ha fatto un primo inedito bilancio della carneficina in occasione
della giornata mondiale della Salute, proprio in questi giorni.
Titolo della giornata, “l’incidente stradale non è
una fatalità”: i dati disponibili sono quelli del
2003, che parlano di 1.853 incidenti stradali rilevati, che hanno
prodotto 694 vittime e 3.387 feriti. Tanti o pochi? Se si considera
che solo una minima parte degli incidenti viene rilevata come
tale ed inserita in una statistica, perlopiù riferita ai
centri urbani dell’Isola Grande, è possibile parlare
di carneficina, tanto che il nuovo governo, da poco entrato in
carica, ha inserito la questione nel proprio programma, pensando
in maniera più lungimirante anche al miglioramento delle
infrastrutture, ai servizi sanitari d‘urgenza ed ai trasporti
pubblici. Anche perché il numero di persone sopravvissute
a sinistri, ma rimaste totalmente invalide è altissimo.
L’associazione Handicap International ha impiantato fin dal
1997, nei comuni di Antananarivo, Toamasina, Toliara et Mahajanga,
programmi per aiutare gli invalidi e per “massificare”
il problema. (ASAPS).
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