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Articoli 23/06/2011

Asaps 20 anni on the road: la lunga strada verso la sicurezza, tra indifferenza e interessi di parte

L’essenziale contributo alla professionalità e alla chiarezza di come stanno le cose su strada
di Lorenzo Borselli

 

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Il tavolo dei relatori


Per fare un uomo ci voglion vent’anni”. È la strofa di una canzone, dei Nomadi, alla quale ne seguiva un’altra, a chiusura del discorso: “per fare un bimbo un’ora d’amore”. E ancora: “per una vita migliaia di ore, per il dolore abbastanza un minuto”.
È in quel minuto l’eziologia della nostra esistenza.
Il minuto che rende tutto irreversibile e che sulla strada precede di pochi istanti lo stupore, la frenata, lo schianto e quello che ne consegue.
L’Asaps è questo.
È un’essenza, un’anima collettiva.
È un patto stretto tra un manipolo di persone, la sortita di un commando trasformatasi in avanzata e poi in conquista.
Le sue armi sono quelle di una comunicazione vincente, fin dal primo vagito forlivese, una rigida ripartizione dei comparti e una dirigenza appassionata e instancabile, che comincia a guardarsi attorno per passare il testimone ma che garantisce, dopo settemilatrecento giorni di vita (!!!), una continuità sostanzialmente senza uguali.
Non dimentichiamoci, però, il condottiero.
La parola, è vero, ha forti connotazioni militari, ma il ruolo di Giordano Biserni è questo.
Un leader vero: piglio di stratega condito di una sana e sanguigna vis romagnola.
La prova, schiacciante, è stata l’incredibile giornata di sabato 28 maggio, quando il gotha della comunicazione italiana legata a strade e motori è convenuto a Forlì per parlare appunto di sé stessa e per riconoscere al presidente Biserni un ruolo di indiscusso primato nella capacità di “trovare”, “trattare” e “dare” la notizia.
Dunque, di comunicare.

 

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La consegna della targa al fratello di Antonella Savi
l’infermiera di Tivoli

uccisa da un pirata sulla A24 mentre soccorreva
gli occupanti di un’auto coinvolta in un incidente

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La consegna della medaglia a Gabriella Vitali
moglie del Maresciallo Luigi d’Andrea ucciso
dalla banda Vallanzasca nel 1977

 

 

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La consegna della medaglia ai familiari di Vittorio Mirolla,
Consigliere Nazionale Asaps, scomparso lo scorso 9 maggio


La consegna della medaglia alla signora Loredana, mamma
di Stefano Biondi,
caduto in servizio il 20 aprile 2004

 

La consegna della medaglia a Patrizia Piovaccari, vedova di Pierluigi Giovagnoli,
investito in servizio da un ubriaco il 24 maggio 2003 a Imola

 

Sul palco dei relatori avevamo gente dello stampo di Mauro Tedeschini, ex direttore di Quattroruote e ora on the road su Isoradio, di Vincenzo Borgomeo, capo della pagina “Motori” di Repubblica, e di Nestore Morosini, ex redattore capo del Corriere della Sera e lanciatissimo sul web con una pagina dedicata di Virgilio.
E poi grandi comunicatori come Pierluigi Visci, direttore del Quotidiano Nazionale, di Franco Fregni, direttore della Voce di Romagna o di Maria Patrizia Lanzetti, direttore de Il Corriere di Romagna.
Da lontano, via Skype, è intervenuta anche Emanuela Falcetti, che di strada con noi ne ha fatta davvero parecchia. Una sorta di Musa radiofonica dell’Asaps attraverso gli interventi quasi quotidiani del presidente Biserni nelle sue trasmissioni di informazione e di sensibilizzazione. Un binomio forte fra due persone a cui non manca il coraggio.
Tutti sono partiti dall’assunto che senza qualcuno che le cose riesca a dirle, loro non potrebbero scrivere proprio nulla.
Ed ecco l’Asaps che oltre ad aver enormemente contribuito all’accrescimento culturale e professionale delle forze di polizia (tutte), ha assunto un ruolo di agenzia della sicurezza stradale, promuovendo innanzitutto la formazione di una mentalità del tutto sconosciuta, fino al 1991.
La storia del sodalizio è nota e ci sembra inutile ripeterla: significherebbe sbagliare, puntare sulla notizia meno adatta e trasformare questo pezzo in un articolo celebrativo e nulla più.
No!
A noi interessa qualcos’altro.
A noi interessa rivendicare il nostro ruolo: chiarire che se oggi si parla, ad esempio, di introdurre una quarta forma di omicidio stradale, è perché da anni lavoriamo a questo concetto.
Alla fine, poi, abbiamo incontrato le persone giuste, alcune unite dal destino stradale alla nostra battaglia, ma se non avessimo – ad esempio – coniato moltissimi strumenti semantici e se non ci fossimo schiariti le idee in anni di battaglie tutte combattute sul terreno accidentato (e pericoloso) della comunicazione, gli amici del’Associazione Lorenzo Guarnieri avrebbero avuto molte difficoltà in più.
Siamo stati sfidati a singolar tenzone da molti professionisti della critica “a prescindere”, siamo stati offesi e derisi.
Ma non abbiamo mai dovuto chiedere scusa, perché tutta la nostra ragione è lì: nei numeri che siamo riusciti a produrre, a cavare fuori dal deserto che si espande attorno a loro.
Li abbiamo disaggregati, riuniti, spulciati.
Il capire che a dirli così non serviva a nulla, perché non facevano impressione a nessuno, è stata una delle nostre intuizioni più fortunate.
Per attirare l’attenzione sui ciclisti abbiamo dovuto dire che ogni anno ne muoiono tanti quanti ne servono a rimpinguare due gruppi del Giro d’Italia;
per far capire la portata della guerra stradale, della sua incredibile cruenza, abbiamo dovuto sommare i bollettini del dopoguerra, uno per uno, e spiegare che città come Firenze sono state inghiottite dal nero del catrame, con 400.000 morti, senza lasciare nessuna apparente traccia;
abbiamo dovuto associare tranquilli weekend estivi alle sciagure dell’aria, abbiamo messo a nudo le lobbies, abbiamo spiegato che le statistiche ufficiali sono falsate dall’incapacità di raccogliere i dati (come nel caso delle ebbrezze, che in Italia, unico caso al mondo, contribuivano al 3% scarso della mortalità, contro il 30% dell’intero globo).
Abbiamo smascherato i falsi interessi e costretto i burattinai a muovere i fili con maggior attenzione.
Non abbiamo ancora abbattuto l’aereo che riporta a casa una certa anfora, con brindisi a base di liquori liquore, ma abbiamo minato le fondamenta di tante colossali menzogne pronte a scoppiare a loro volta, come subdole e micidiali mine antiuomo, all’inconsapevole passaggio di ogni utente della strada: bambino, anziano, uomo o donna.
Se per vent’anni vi pare poco, in un paese come il nostro, allora potete fare a meno di noi.
Ma, perdonate l’arroganza, non ci sembra sia così e per questo motivo resteremo saldi al nostro posto, finché potremo.

Giovedì, 23 Giugno 2011
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