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Corte di Cassazione 09/06/2011

Giurisprudenza di legittimità - Trasferte senza auto aziendale? Il dipendente si può rifiutare

(Cass. Civ., sez. lavoro, 16 marzo 2011, n. 6148)

 

Il licenziamento, se motivato della mancata trasferta del lavoratore per mancanza dell’autovettura aziendale, è da ritenere illegittimo per difetto della sussistenza dell’ipotesi di insubordinazione o comunque di inottemperanza alle direttive aziendali. E’ quanto ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6148 del 16 marzo 2011, con la quale rigetta il ricorso della CNA, ovvero della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, avverso la pronuncia dei giudici di merito che avevano affermato l’illegittimità del licenziamento intimato ad un proprio dipendente.
Nella specie il lavoratore, alla stregua del contratto collettivo e di quello individuale, non aveva l’obbligo giuridico di mettere a disposizione un proprio autoveicolo per effettuare le trasferte. L’accordo provinciale del 18 aprile 2000, infatti, menzionava l’utilizzo del mezzo proprio, da parte del dipendente, non come un obbligo in capo a quest’ultimo, ma come una mera eventualità, la quale necessitava di un’autorizzazione aziendale.
Il giudice di legittimità ha evidenziato come l’Associazione Artigiani fosse un datore di lavoro non imprenditore, svolgente senza fine di lucro attività di natura sindacale e di rappresentanza di categoria, non soggetta, quindi, all’applicazione dell’art. 18 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), con la conseguenza che doveva ritenersi corretta la determinazione dei giudici territoriali, ai sensi dell’art. 8 della legge 604/1966, dell’indennità spettante al lavoratore in luogo della riassunzione.
( Nota di Simone Marani)

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 16 marzo 2011, n. 6148

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 14.6.2006, M.L. proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Grosseto - giudice del lavoro - del 28.2./8.3.2006, che aveva rigettato la sua domanda diretta a far accertare l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 8.8.2001 e a conseguire il risarcimento del danno che, a suo dire, egli aveva sofferto per protratte vessazioni sul luogo di lavoro.
In particolare, l’appellante, reiterando gli argomenti già allegati in primo grado, si doleva che il Tribunale non avesse adeguatamente valutato le prove offerte e (almeno in parte) acquisite al giudizio ed non avesse quindi ravvisato nella condotta aziendale e, in particolare, del direttore, dott. A.R., un atto ritorsivo nei suoi confronti.

Con memoria depositata il 31.10.2006, si costituiva la CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) - Associazione Artigiani di Grosseto - e resisteva al gravame sul rilievo che il licenziamento era stato intimato al M. quale reazione disciplinare alla sua manifesta insubordinazione, già attestata da precedenti sanzioni.

Con sentenza del 12-23 gennaio 2007, l’adita Corte di Appello di Firenze, in parziale accoglimento del gravame, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e condannava la CNA - Associazioni Artigiani di Grosseto al pagamento in favore del M. di una somma pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto, a norma della L. n. 604 del 1966, art. 8 oltre accessori, in considerazione della natura non imprenditoriale e sindacale della Confederazione. A sostegno della decisione osservava che l’intimato licenziamento, motivato dal fatto della mancata trasferta del M. a (OMISSIS), doveva giudicarsi palesemente illegittimo, per difetto della stessa sussistenza dell’ipotesi di insubordinazione o comunque di inottemperanza alle direttive aziendali, poichè la contestata insubordinazione era dipesa dall’assenza dell’autovettura aziendale, di cui, peraltro, il lavoratore aveva tempestivamente informato telefonicamente il direttore.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la C.N.A, con due motivi.

Resiste M.L. con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

 

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c).
Con il primo motivo di ricorso principale, la Confederazione, denunciando omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte di Firenze non avrebbe dedotto nulla in merito all’effettivo addebito contestato, consistente nel non avere il M. ottemperato ad un ordine aziendale con aperta insubordinazione e recidiva.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2104, 2106, 1460, 2969 e 2119 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che la Corte fiorentina avrebbe, in violazione della richiamata normativa e senza adeguata spiegazione, negato, nella specie, la sussistenza di insubordinazione, ritenendo che il comportamento del lavoratore (che aveva disatteso il comando di recarsi presso i luoghi comandati per la prestazione, nonostante il precedente analogo comportamento censurato dall’azienda) fosse giustificato dalla mancanza dell’auto aziendale, che doveva essere messa a disposizione del lavoratore stesso.

Il ricorso, pur valutato nella duplice articolazione, è infondato, avendo il Giudice a quo fornito ampia giustificazione della sua decisione, senza incorrere in alcuna delle lamentate violazioni.

Invero, la Corte territoriale, dopo avere rilevato che l’intera vicenda si inseriva nel quadro di un difficile rapporto personale tra il M. (dipendente di lunghissima anzianità) e il nuovo direttore A., ha osservato, con riferimento agli specifici aspetti riguardanti la controversia in esame, come fosse fuori discussione che, alla stregua del contratto collettivo e di quello individuale, il M. non avesse l’obbligo giuridico di mettere a disposizione un proprio autoveicolo per disbrigare le trasferte in questione; ulteriormente specificando che anche l’accordo provinciale 18.4.2000 - prodotto dalla società in primo grado - menzionava l’utilizzo del "mezzo proprio" da parte del dipendente, non come un obbligo di quest’ultimo, ma come mera eventualità abbisognevole dell’"autorizzazione aziendale".

Ha puntualizzato ancora la Corte di merito che la situazione venutasi a creare sembrava risentire di questo equivoco di fondo, dopo che il M. - come attestato dalle prove testimoniali assunte - aveva, fin dal dicembre 2000, segnalato chiaramente di non poter mettere a disposizione un proprio veicolo.

Ha poi dato atto come fosse certo che al M. venne data la direttiva di servirsi di una delle due automobili aziendali esistenti (una "Fiat Brava" o una "Fiat Punto") e che, al riguardo, lo stesso direttore A., con lettera dell’(OMISSIS), aveva espresso la propria disponibilità, "nel caso di plurime prenotazioni dei due veicoli aziendali", di favorire il M. nei giorni in cui doveva recarsi nella zona Sud della provincia grossetana; tant’è che, con comunicazione quasi coeva, l’ A. fissava i giorni "di martedì e venerdì di ogni settimana" per il presenziamento del M. nelle zone di (OMISSIS), Manciano (OMISSIS)2.4.2001 (OMISSIS)24.7.2001 (OMISSIS) - dovesse giudicarsi palesemente illegittimo, per difetto della stessa sussistenza dell’ipotesi di insubordinazione o comunque di inottemperanza alle direttive aziendali; e, per converso, che scorretta e contraria a buona fede dovesse considerarsi l’insistenza con la quale CNA rimproverava al M. di non "aver prenotato" l’uso del veicolo aziendale per i giorni del martedì e del venerdì (che notoriamente erano quelli in cui egli era comandato in trasferta in base a comunicazioni scritte già trasmesse agli uffici amministrativi). Pertanto, la CNA grossetana avrebbe dovuto accogliere le giustificazioni del dipendente, il quale aveva spiegato come, alle ore 8.30 della mattina in questione, egli aveva constatato l’assenza dell’autovettura aziendale ed aveva subito informato della situazione, per telefono, il direttore.

Così motivando, la Corte di merito ha dato adeguato riscontro alle osservazioni della società, reiterate in questa sede, sotto forma di censure - senza incorrere nei denunciati vizi ed adottando una motivazione giuridicamente corretta.

Il ricorso principale va, quindi, rigettato.

Va rigettato anche il ricorso incidentale con cui il M., denunciando omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte territoriale non abbia disposto la rinnovazione dell’istruttoria diretta a dimostrare la nullità del licenziamento in oggetto, in quanto discriminatorio e ritorsivo, con conseguente condanna dell’Associazione alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 come modificato dalla L. n. 108 del 1990, nonchè a quello connesso ai danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla grave patologia psico-fisica derivante dal licenziamento e dalla illegittima condotta imputabile al datore di lavoro.

Giova osservare che la Corte fiorentina, dopo avere accertato, sulla base dello Statuto prodotto in atti e delle allegazioni dell’appellata non contestate, che l’Associazione Artigiani di Grosseto in oggetto era datore di lavoro non imprenditore, svolgente, senza fine di lucro, attività di natura sindacale e di rappresentanza di categoria, e, pertanto, non soggetta all’applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 secondo la previsione della L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 4 bensì alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 ha determinato, avuto riguardo alle modalità della vicenda sopra illustrata e, in particolare, alla lunga anzianità di servizio del lavoratore, in complessive sei mensilità della retribuzione globale di fatto la indennità spettante al M. in luogo della riassunzione, oltre interessi e rivalutazione, accogliendo l’appello nei suddetti limiti.

Ha correttamente precisato che l’indennità di cui al citato art. 8 ricomprendeva ogni aspetto risarcitorio derivante di per sè dalla illegittimità del recesso.

Ha poi soggiunto che l’approfondita valutazione delle prove testimoniali e documentali acquisite non faceva emergere, nel caso concreto, un’ipotesi di licenziamento discriminatorio, e tantomeno un caso di cd. mobbing, secondo l’accezione di quest’ultimo concetto recepita dalla giurisprudenza di legittimità, quale violazione dell’art. 2087 c.c. realizzata con "un’aggressione alla sfera psichica del lavoratore" a mezzo di deliberati atti vessatori protratti e reiterati nel tempo (v. Cass. sez. lav. n. 6326/2005, 5491/2000, 143/2000).


Ha ancora osservato che dall’anamnesi raccolta dal dott. F. R., consulente medico di parte, risultava la presenza nel M. di un disagio iniziato già alla metà degli anni Novanta, in coincidenza con "un profondo cambiamento di CNA a livello nazionale, con modifiche anche statutarie che riguardavano "anche il ruolo dei funzionari" e con la scomparsa di uno "spirito partecipativo" che aveva caratterizzato i primi anni del suo ingresso nell’associazione.

Ha quindi coerentemente ritenuto che i disagi del M., in massima parte, sembrano ascrivibili per lo più aspetti di carattere generale scaturiti da mutamenti che avevano interessato, nel tempo, una gran numero di ambienti di lavoro.

Trattasi di valutazioni di merito, congruamente motivate, non suscettibili, in quanto tali, di fondate censure in questa sede e, pertanto, inammissibile va dichiarato il ricorso incidentale.


L’esito del presente giudizio induce a compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa le spese.

da Altalex

Giovedì, 09 Giugno 2011
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