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Giurisprudenza di merito - Ordinanza che vieta l’accesso ai cani nelle isole pedonali del centro cittadino

(TAR Calabria Catanzaro, sez.I, 24 maggio, 2011, n. 778)

(omissis)

FATTO

Con ordinanza contingibile ed urgente di data 4 maggio 2009, prot. n. 2109, il Sindaco del Comune di Cosenza ha ordinato ai proprietari e ai detentori di cani a qualsiasi titolo di rispettare, dalla data di pubblicazione della ordinanza medesima, i seguenti divieti e prescrizioni:
“a) di vietare l’accesso ai cani anche se tenuti al guinzaglio nelle isole pedonali del centro cittadino interdette al normale traffico veicolare; b) di utilizzare obbligatoriamente idonea museruola o il guinzaglio per i cani quando si trovano in altro luogo aperto al pubblico; c) fermo restando il divieto di cui alla precedente lettera a), di impedire che l’animale sporchi con deiezioni e liquami organici l’area pubblica sulla quale si vengono a trovare, in modo da preservare lo stato di igiene e di decoro del luogo stesso. I proprietari dei cani o loro momentanei custodi o conduttori, che circolano con i propri animali su area pubblica, fermo restando il divieto di cui alla precedente lettera a), hanno l’obbligo di essere sempre forniti di strumenti idonei a raccogliere eventuali deiezioni prodotte dai loro animali avendo, gli stessi, l’obbligo di raccogliere tali deiezioni che dovranno essere conferite, tramite un contenitore chiuso, negli appositi cassonetti per la raccolta dei rifiuti solidi urbani. Gli idonei strumenti di raccolta dovranno essere mostrati a richiesta degli organi addetti alla vigilanza”.
Tale ordinanza è impugnata dall’Associazione A.N.P.A.N.A. (Associazione nazionale Protezione Animali Natura ed Ambiente) – ONLUS, la quale ne chiede l’annullamento, previa sospensione cautelare, denunciando il seguente vizio:” Eccesso di potere per falsa applicazione dell’art. 50 d.Lgs. n. 267 del 2000 ed illogicità manifesta, eccesso di potere per difetto di istruttoria, irragionevolezza amministrativa e violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità tra azione e reazione”.
Resiste in giudizio il Comune di Cosenza, il quale eccepisce la irricevibilità del ricorso per tardività, la inammissibilità dello stesso per carenza di legittimazione ad agire e di interesse in capo all’associazione ricorrente e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.
Con ordinanza n. 714 assunta alla Camera di Consiglio del 17 luglio 2009, è stata accolta la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
Con atto depositato in data 3 settembre 2009, sono intervenuti ad adiuvandum Tambato Fabio e il Comitato di Città 2000, i quali chiedono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, per violazione di legge, eccesso di potere e manifesta illogicità.
Con ulteriore intervento ad adiuvandum depositato in data 28 maggio 2010, si è costituita in giudizio l’Associazione CODICI, riconosciuta quale Associazione Nazionale di Promozione Sociale ai sensi della legge n. 383 del 2000, la quale chiede l’annullamento del provvedimento impugnato per eccesso di potere, difetto istruttorio, inosservanza del principio di adeguatezza e proporzionalità tra azione e reazione, violazione del disposto dell’art. 50, comma quinto e 54 comma secondo del D.Lgs. n. 267/2000, violazione degli artt. 2, 3, 16, 32, 97 della Costituzione.
Alla Pubblica Udienza del 21 aprile 2011, il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente è necessario esaminare le eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità del ricorso sollevate dal Comune resistente.
Il Comune sostiene, infatti, che il ricorso sia irricevibile in quanto notificato oltre la scadenza del termine decadenziale di 60 giorni.
L’eccezione non è fondata.
L’art. 21 della legge 6.12.1971 n. 1034 (applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis) stabilisce che il ricorso deve essere notificato entro il termine di 60 giorni da quello in cui l’interessato abbia ricevuta la notifica del provvedimento o ne abbia comunque avuta piena conoscenza o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento (inciso quest’ultimo aggiunto dall’art. 1 della legge n. 205 del 2000).
L’ordinanza impugnata di data 4 maggio 2009 è stata pubblicata all’Albo Pretorio a far data dal 5 maggio 2009 per 15 giorni consecutivi, e, quindi fino al giorno 19 maggio 2009 compreso, con la conseguenza che il termine per l’impugnazione decorre dal giorno successivo (scadenza della pubblicazione), cioè il 20 maggio 2009, e non, come sostenuto dal Comune resistente, dal primo giorno di pubblicazione.

Pertanto, decorrendo il termine per l’impugnazione dal 20 maggio 2009, l’ultimo giorno utile per la notifica del ricorso era il giorno sabato 18 luglio 2009, con conseguente proroga al successivo lunedì 20 luglio, ex art. 155, comma 5, c.p.c. (introdotto dalla legge n. 263/2005), trattandosi di atto notificato fuori dall’udienza, norma pacificamente applicabile anche al processo amministrativo (TAR Veneto, sez. I, 30 ottobre 2009, n. 2700).
Il ricorso, come confermato dallo stesso Comune resistente, risulta notificato in data 20 luglio 2009, quindi l’ultimo giorno utile.
Altrettanto infondata è l’eccezione relativa al difetto di legittimazione attiva e di interesse in capo all’Associazione ricorrente.
L’Associazione A.N.P.A.N.A. (Associazione nazionale Protezione Animali Natura ed Ambiente) – ONLUS è un’associazione individuata tra le associazioni di protezione ambientale ai sensi dell’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente con decreto dell’11 maggio 2004.
L’art. 1 dello Statuto dell’Associazione, dedicato agli scopi ed all’ordinamento della medesima, individua, alla lett. A), tra gli scopi dell’ente quello di “provvedere alla protezione dell’Ecosistema con particolare riguardo agli Animali, all’Ambiente, all’Ecologia e, di riflesso, a tutta la Natura, con l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale”.
Pertanto, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, che attribuiscono alle associazioni ambientalistiche riconosciute, in via generale, la legittimazione processuale per la tutela degli interessi di cui le stesse risultano portatrici, è fuori dubbio che l’Associazione ricorrente, che persegue finalità di tutela degli animali, della natura e dell’ambiente, sia legittimata ad introdurre il presente giudizio, in considerazione del fatto che, nella prospettazione offerta dalla ricorrente stessa, il provvedimento impugnato si pone come lesivo di quegli interessi (nel caso specifico, la libertà dei proprietari e possessori dei cani, sotto il profilo della fruibilità e godibilità del territorio comunale) dalla medesima associazione perseguiti e protetti.
L’eccepito difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente è, pertanto, insussistente.

Passando al merito della vicenda, l’Associazione ricorrente censura il provvedimento impugnato –peraltro, con esclusivo riferimento alla lett.a) dell’art. 1 e cioè, al divieto di accesso ai cani nelle isole pedonali del centro cittadino – per violazione ed erronea applicazione degli artt. 50, comma 5, e 54 comma 4 del D.Lgs. 267/2000, non sussistendo i presupposti richiesti da detta normativa per esercitare il potere extra ordinem . Mancherebbe, infatti, sia la situazione di pericolo effettivo, che, oltre tutto, necessiterebbe di congrua motivazione del tutto assente nel caso in esame, sia una situazione eccezionale ed imprevedibile, che non potrebbe essere affrontata con i mezzi previsti in via ordinaria dall’ordinamento giuridico. Inoltre, la ricorrente eccepisce l’omessa idonea istruttoria volta a suffragare la decisione di adottare l&rsquo ;ordinanza impugnata, mancando qualunque accertamento sanitario teso a determinare l’effettiva pericolosità per la pubblica igiene. Infine, sarebbe violato il principio di adeguatezza e proporzionalità tra azione e reazione.
Analoghe censure, come ricordato in fatto, sono mosse dagli interventori ad adiuvandum .
Le censure formulate in ricorso sono fondate.
In via generale, giova ricordare che le ordinanze contingibili ed urgenti sono provvedimenti assunti, sulla base di una norma di legge, per fare fronte a situazioni di urgente necessità, che non potrebbero essere affrontate e risolte in maniera efficace con gli ordinari strumenti a disposizione della stessa Amministrazione. Tali provvedimenti costituiscono strumenti atipici per quanto attiene al contenuto, fissando la legge unicamente i presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza, ma non il contenuto della stessa. L’atipicità, infatti, è conseguenza della funzione dell’istituto, considerato che le situazioni di urgenza concretamente verificabili non sono prevedibili a priori e, quindi, non è possibile prevedere il contenuto che l’ordinanza dovrà avere per fronteggiare la situazione di urgenza.
Nel caso in esame, il Sindaco del Comune resistente ha assunto il provvedimento impugnato ai sensi degli artt. 50, comma 5 e 54, comma 4 del D.Lgs. n. 267/2000, i quali, rispettivamente, prevedono che, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, il Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, adotta le ordinanze contingibili ed urgenti e che lo stesso Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
Tali disposizioni di legge, pertanto, oltre a fondare l’esercitato potere di che trattasi, stabiliscono anche i presupposti in base ai quali è possibile adottare le predette ordinanze.
Dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che lo stesso è stato assunto per fare fronte all’abbandono sul suolo pubblico delle deiezioni canine e dei liquidi fisiologici, in conseguenza dell’evidente assenza del dovere civico di provvedere alla raccolta degli escrementi medesimi con mezzi adatti –come ripetutamente segnalato all’Amministrazione Comunale-, che possono comportare rischi per la salute della popolazione, già segnalati dalla letteratura scientifica, specie per i bambini.
Sulla base di tale presupposto, quindi, è stato disposto il divieto di accesso ai cani nelle isole pedonali del centro cittadino (art. 1, lett. a dell’ordinanza comunale contestata).
Da quanto appena esposto, risulta fondata, sotto un primo profilo, la censura mossa dall’Associazione ricorrente, laddove con l’adozione di uno strumento extra ordinem si è inteso fare fronte ad una problematica che poteva essere affrontata e risolta con gli ordinari strumenti a disposizione dell’Amministrazione (a titolo puramente esemplificativo Consiglio di Stato sez. IV, 24 marzo 2006, n. 1537; TAR Abruzzo, sez. I, 15 marzo 2011, n.134; TAR Campania, Napoli, sez. V, 29 dicembre 2010, n. 28169). Invero, la problematica dell’abbandono degli escrementi può essere correttamente affrontata e risolta garantendo una attenta e severa vigilanza degli obblighi che la stessa ordinanza impugnata impone ai proprietari di cani alla successiva lett. c), cioè l’obbligo per questi ultimi di raccogliere con strumenti idonei, di cui gli stessi devono essere muniti, le eventuali deiezioni degli animali, da conferire negli appositi cassonetti per la raccolta dei rifiuti, posizionati nel centro cittadino. Idoneo strumento per affrontare la problematica è costituito, altresì, dalla previsione di una congrua sanzione da comminare ai trasgressori dei suddetti obblighi.
L’impugnata ordinanza è, pertanto, illegittima, già sotto questo aspetto.

Peraltro, il provvedimento impugnato è, altresì, illegittimo sotto il connesso profilo della violazione del principio di proporzionalità, come evidenziato dalla ricorrente.
L’art 1 della legge n. 241/1990 (come modificata dalla legge n. 15/2005 e, successivamente, dalla legge n. 69/2009) prevede che tutta l’azione amministrativa sia retta, tra gli altri, anche dai principi dell’ordinamento comunitario e il principio di proporzionalità rappresenta proprio uno dei principi di matrice comunitaria. Tale principio impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i cittadini incisi dal provvedimento, onde evitare agli stessi inutili sacrifici.
Nel caso in esame, la scelta di vietare l’ingresso ai cani –e, conseguentemente, ai padroni o detentori degli stessi – nelle isole pedonali, risulta del tutto irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, rispetto al fine perseguito, rappresentato, a ben vedere, dalla necessità di vigilare sul rispetto di regole di civiltà imposte ai cittadini. Inoltre, proprio il provvedimento impugnato afferma che la problematica che si è inteso –illegittimamente –risolvere consegue a comportamenti scorretti da parte dei proprietari o detentori di cani, per “l’evidente assenza del dovere civico di provvedere alla raccolta degli escrementi con mezzi adatti allo smaltimento”, dovere civico che rientra nei compiti ed obiettivi che un’Amministrazione Comunale dovrebbero perseguire ed incentivare, anche attrave rso l’irrogazione di sanzioni nei confronti di chi dimostra insensibilità verso quel preciso dovere. Oltre tutto, la stessa ordinanza ricorda che già con provvedimento di data 3 marzo 2009 del Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche sociali, è stato previsto, tra l’altro, l’obbligo a chiunque conduca il cane in ambito urbano di raccoglierne le feci e avere con se strumenti idonei alla raccolta delle stesse, con la conseguenza, quindi, che tale corretto comportamento –espressione di un dovere civico - deve essere fatto rispettare anche dall’Amministrazione Comunale. Ancora, come evidenziato dall’interventore ad adiuvandum Associazione Codici, il Comune resistente si è dotato di un regolamento comunale per la tutela degli animali, approvato con deliberazione n. 29 del 30.6.2003, il cui art. 14, comma primo, fa obbligo a proprietari e detentori di cani di evitare che gli stessi sporchino il suolo pubblico, pre vedendo sanzioni in caso di violazione di detto obbligo. L’esistenza di tale disposizione dimostra ad un tempo, da un lato, la violazione della disciplina generale delle ordinanze contingibili ed urgenti che non consente il ricorso a tali atipici provvedimenti ove sia possibile utilizzare gli strumenti ordinari a disposizione dell’Amministrazione procedente, quali le norme del regolamento in questione – strumenti ordinari di cui, nel caso di specie, l’Amministrazione ha deciso di dotarsi approvando il regolamento stesso - e, dall’altro, la violazione del principio di proporzionalità, laddove si è deciso di non utilizzare il mezzo meno gravoso (la norma regolamentare) a carico dei cittadini, ma, al contrario, quello che maggiormente incide sulla libertà degli stessi, imponendo sacrifici inutili e maggiori rispetto agli scopi perseguiti.
Anche per tali distinte ragioni, il provvedimento impugnato è illegittimo.
Risulta, altresì, fondata la dedotta violazione degli artt. 50, comma 5 e 54, comma 4 del D.Lgs. 267/2000.
Premesso che il provvedimento impugnato, pur richiamando entrambe le norme citate, pare fare diretta applicazione del solo art. 50, comma 5, considerato che nella motivazione dello stesso è operato un -del tutto lacunoso ed insufficiente, per come si dirà in seguito – riferimento a possibili rischi per la salute della popolazione, si rileva come il presupposto richiesto dalla disposizione in esame sia del tutto insussistente.
La norma in questione, infatti, consente il ricorso allo strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente in caso “di emergenze sanitarie o di igiene pubblica” , situazioni che, evidentemente, devono essere accertate tramite apposita attività istruttoria e devono essere rappresentate nel provvedimento medesimo attraverso una idonea e puntuale motivazione.
E’ del tutto evidente, al contrario, il totale deficit motivazionale ed istruttorio che inficia l’ordinanza impugnata, laddove non può costituire il dedotto “rischio per la salute della popolazione”, di per sé solo, sufficiente giustificazione per fornire supporto alla misura interdittiva disposta con l’ordinanza stessa. Tale locuzione, infatti, si risolve in una sterile “formula di stile”, in mancanza di una pregressa attività istruttoria, che consenta una puntuale indicazione dei pericoli gravi e concreti che costituirebbero una imminente minaccia per la popolazione, tali da giustificare l’assunzione della misura extra ordinem.
Il provvedimento in questione, quindi, risulta del tutto sprovvisto di idonea motivazione che sia in grado di sorreggere il provvedimento stesso.
Anche sotto tale distinto motivo, pertanto, il provvedimento impugnato, nella parte in cui dispone il divieto di accesso ai cani nelle isole pedonali del centro cittadino, è illegittimo.
In conclusione, il ricorso è fondato e, pertanto, l’ordinanza comunale impugnata è illegittima e deve essere annullata nella parte in cui dispone il divieto di accesso ai cani anche se tenuti al guinzaglio nelle isole pedonali del centro cittadino interdette al normale traffico veicolare.
Sussistono giustificate ragioni per compensare tra tutte le parti le spese del presente giudizio

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
(omissis)

 

 

da Polnews

 

Venerdì, 10 Giugno 2011
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