Introduzione
Tempo addietro ne abbiamo già parlato[1] ed in una lunga inchiesta
abbiamo fatto un lungo elenco di pericoli e tragedie che si rinnovano.
Contromano e tunnel, corsia di emergenza, guardrail, new jersey e cavalcavia
senza reti[2]. Ma anche dell’altro.
Questa esperienza da “ricercatori investigatori” ci ha consentito
peraltro di formare il concetto di “morte inutile”, che spieghiamo
come un teorema: è la perdita umana, del tutto evitabile, del
protagonista di un evento, dal quale ne scaturisce un secondo, che ne
causa la morte. Una morte evitabile con una precauzione, alla quale
spesso viene dato un costo materiale senza considerare il prezzo pagato
in termini di vita umana. Con questo bagaglio, in relazione ai sistemi
di contenimento, abbiamo ritenuto opportuno tornare sugli argomenti,
per vedere se qualcosa è nel frattempo cambiato. Di sicuro di
morti ce ne sono stati ancora, ma si comincia a vedere una crescente
presa di coscienza, soprattutto da parte dei motociclisti, categoria
tra le più a rischio.
|
L’effetto
devastante di una “lama” su un’autovettura
|
Infatti, visto il crescente tributo di sangue tra i centauri, le attenzioni
di numerosi rappresentanti delle dueruote – confluiti in associazioni
del tipo Pistalibera o Motociclisti Incolumi[3] - si sono indirizzate
verso una maggiore educazione al rispetto delle regole stradali e nello
studio di soluzioni di contenimento e dissipazione degli urti meno cruente
in caso di impatto.
In effetti ciò che contiene l’impatto di un veicolo assai
di rado mostra compatibilità con la sopravvivenza di un corpo
umano lanciato, suo malgrado, alla medesima velocità. Ora è
stato realizzato un guardrail per motociclisti e presto ne comincerà
la sperimentazione. È come aver trovato un vaccino.
A tal proposito la redazione de Il Centauro vuole ringraziare l’Ingegner
Luigi Cicinnati per l’indispensabile e preziosa opera di consulenza
prestata.
* lborselli@inwind.it
|
Sicurezza stradale a 360°
L’aumento esponenziale del traffico ha innalzato spaventosamente
la soglia di mortalità globale: negli Stati Uniti l’allarme
era risuonato per la prima volta nel febbraio 1952, quando l’ennesimo
sinistro stradale pareggiò il conto con i bollettini di guerra:
1.005.600 morti dai primi moti d’indipendenza del 1775 fino alla
guerra di Corea allora in atto; lo stesso numero di americani che, dall’ottobre
1899 (quando il primo americano perse la vita a New York nel primo incidente
stradale), erano morti in sinistri della circolazione[4]. Il clamore
suscitato da quei numeri agghiaccianti originò una campagna mediatica
senza precedenti e alla fine gli States ridussero di colpo la velocità.
Chi sgarra col gas passa la notte in guardina; la stessa pena è
prevista per chi alza il gomito, mentre chi uccide alla guida passa
dai due ai cinque anni dietro le sbarre, passa ai servizi sociali, esce
su cauzione o sulla parola. Tutti, alla fine, perdono la patente.
In Europa la cultura della sicurezza stradale è praticamente
agli albori. Solo nell’ultimo ventennio, infatti, la Commissione
Europea ha lavorato per arginare le cifre nere della mobilità
europea. All’interno dei 15 paesi membri (ora diventati 25) vi
sono 200 milioni di titolari di patente, sul totale di 375 milioni di
cittadini; il parco veicolare del vecchio continente è costituito
da 200 milioni di mezzi di trasporto: quindi, statisticamente, ogni
patentato ha un veicolo su cui spostarsi sui 4 milioni di km di strade
nel continente. Quelle strade in cui, ogni anno, muoiono 40mila persone
in 1.300.000 incidenti, mentre 1.700.000 riportano lesioni, causando
un danno patrimoniale al prodotto interno lordo dell’UE di 160
miliardi di euro[5]. È stata registrata una lieve inversione
di tendenza, anche grazie a prese di posizioni durissime di stati come
la Francia, che hanno introdotto il concetto di tolleranza zero. Loyola
de Palacio, la donna che guida il “dicastero” europeo dei
trasporti, ammette che “la situazione resta socialmente inaccettabile
e difficilmente giustificabile per il cittadino”.
Dopo il Libro Bianco sulla politica europea dei trasporti[6], l’obiettivo
è divenuto chiaro: dimezzare entro il 2010 il numero di morti.
Eppure Bruxelles rileva spesso che una delle difficoltà maggiori
arriva proprio da una forte riserva degli stati membri a compiere un’azione
armonica a livello comunitario.
Spicca, nella fattispecie, la mancata decisione sul limite alcolemico
minimo, in discussione da oltre un decennio.
Una delle priorità europee resta il censimento dei cosiddetti
black points, i punti ad alto rischio, su cui dovranno concentrarsi
gli sforzi per dar vita a nuovi progetti di infrastruttura, per ridurre
le lesioni in caso di scontro[7].
|
Crash
test di un autoarticolato sul New Jersey
|
Le tipologie di barriere di contenimento
Ogni strada deve far parte, per essere omologata, di una delle 6 categorie
previste dalla legge, secondo la larghezza della corsia, della carreggiata,
dello spartitraffico e della velocità massima: si va dalla grande
autostrada alla piccola arteria comunale o vicinale. Per alcune delle
strade contemplate nelle categorie di cui si è appena parlato
si rende necessaria l’installazione di barriere di contenimento
(o di sicurezza), generalmente secondo vari profili in metallo o in
cemento armato principalmente allo scopo di:
- contenere il/i veicolo/i sul piano viabile assorbendo le energie d’impatto
ed evitando al/ai veicolo/i lo scavalcamento della barriera secondo
parametri prefissati;
- fornire al/ai veicolo/i traiettorie di rinvio accettabili e compatibili
con la larghezza delle corsie;
- ottenere per i passeggeri a bordo dei veicoli – specie per quelli
strutturalmente più deboli – decelerazioni compatibili con
le caratteristiche del corpo umano.
Le barriere, ovviamente non sono tutte uguali e si deve procedere alla
loro scelta ed installazione tenendo conto di alcuni fattori variabili;
in primis la destinazione d’uso che è diversa a seconda
della parte di strada su cui posarle[8] e precisamente:
a) bordo laterale su piani viabili rilevati;
b) bordo laterale su piani viabili posati su manufatti sopraelevati
(ponti e viadotti, muri di sostegno ed opere d’arte in genere);
c) spartitraffico rilevato;
d) punti singolari quali terminali, transizioni, attenuatori d’urto,
etc. In secundis le barriere subiranno un’ulteriore selezione tenendo
conto della tipologia di strada cui dovranno servire e del volume di
traffico pesante che vi insiste secondo la classificazione del T.G.M.
(Traffico Medio Giornaliero) di tipo I, II o III; ci si riferisce in
questo caso alle autostrade o strade extraurbane principali, alle strade
extraurbane secondarie ed urbane di scorrimento, alle strade urbane
di quartiere e strade locali. Ad oggi sia le grandi arterie che quelle
di minore rilevanza sono “protette” da barriere in cemento
armato (profilo New Jersey) e/o in metallo (guardrail),
ma entrambi i dispositivi sono concepiti e dimensionati per resistere
all’urto di un veicolo assorbendo e dissipandone gradualmente l’energia
e per evitarne l’accidentale scavalcamento, secondo una classificazione
fissata dal Governo che tiene conto del livello di contenimento della
barriera: minimo (N1), medio (N2), normale (H1), elevato (H2), elevatissimo
(H3) e per tratti ad elevatissimo rischio (H4). In ordine all’attenuatore
d’urto, sopra elencato al punto d), si tratta di un dispositivo
monolitico espressamente progettato per aumentare la sicurezza solitamente
in prossimità di svincoli, per separare due diverse correnti
di traffico in movimento nello stesso senso: gli addetti ai lavori sono
soliti riferirsi a questa struttura definendola cuspide.
È dal 1987 che in Italia vige l’obbligo di recintare
la strada con manufatti in grado di contenere auto a 90 all’ora
e camion a 60. La normativa “sarebbe” andata a regime nel
1992, quando il governo stabilì quali e quanti test avrebbero
dovuto superare le barriere per essere omologate. Nel 2002 l’esecutivo
è tornato sulla questione, obbligando i costruttori a sostenere
i crashtest presso laboratori accreditati dal Ministero delle Infrastrutture.
|
Crash
test di un pullman su barriere di cemento
|
I GUARDRAIL
Sul finire degli anni ’70 gran parte delle barriere di contenimento
erano costituite da muri, o da manufatti costituiti da colonne unite
da una sorta di palizzate in ferro. L’incremento già esponenziale
del traffico comportò una prima presa di coscienza circa la necessità
di proteggere in maniera diversa e più efficace il piano viabile.
Arrivò dunque il primo guardrail, una sorta di ringhiera elasto-plastica
in materiale metallico – perlopiù acciaio o alluminio –
installata inizialmente nei punti più pericolosi delle autostrade
e lungo le banchine spartitraffico, allo scopo di impedire l’uscita
di strada, di carreggiata o di corsia dei veicoli e minimizzare le conseguenze
degli impatti. Si tratta di una striscia di lamiera ondulata a due curve
(doppia onda), che negli ultimi anni è stata in parte sostituita
con strisce di lamiere a tripla onda posate trasversalmente su paletti
di ferro con sezione ad H. Se da una parte però tale sistema
di protezione si è dimostrato assai efficace, per la sua alta
capacità di contenimento degli impatti e di deformazione plastica,
inglobando parzialmente la massa dell’oggetto che vi è andato
ad urtare, dall’altra si sono verificate fattispecie di sinistro
nei quali la lamiera ha causato danni gravissimi ed inaspettati. Tipico
è l’ingresso della lama all’interno dell’abitacolo
di un veicolo collidente che, a seguito dell’impatto, assume una
curvatura tale che la lama taglia letteralmente il veicolo uccidendo
chi si trovava nel raggio d’azione del dispositivo. Assai più
frequente è purtroppo la casistica infortunistica a carico dei
motociclisti.
|
Unsinistro
mortale provocato dall’intrusione in abitacolo del guardrail
|
IL NEW JERSEY
Impattando con questa barriera gli effetti sono completamente diversi.
Vediamo perché: è vero che una parete di cemento mostra
una resistenza agli urti superiore, ma è altrettanto che non
tutti sono d’accordo. Il primo progetto – risalente agli
anni ’50 – si adatterebbe meglio a vetture che avessero le
ruote all’interno della carrozzeria, e non a filo della stessa,
come in realtà sono le auto oggi. Se infatti la carrozzeria di
un veicolo fosse sporgente rispetto alla carreggiata (ingombro delle
ruote), l’impatto contro una barriera trapezoidale in calcestruzzo
assorbirebbe l’urto in maniera efficace, spostandosi a seguito
dell’assorbimento dell’urto, con danni relativi e proporzionati
alla velocità del corpo lanciato. Nel caso dei veicoli prodotti
oggi invece, i pneumatici si trovano solitamente al filo della carrozzeria.
In caso di urto con il new jersey, quando l’angolo di impatto non
fosse frontale, si verifica che i pneumatici salgono sullo scalino alla
base del manufatto e si arrampicano verso l’alto, subendo una impennata
e finendo con il proiettare in aria la macchina. Molti salti di carreggiata
si verificano proprio in questi casi limite. Studi condotti hanno evidenziato
che in caso di urto contro il new jersey da parte di un utilitaria,
alla velocità di 100 km/h, il manichino – noto nel settore
con il nome di dummy – subisce un forte impatto con la testa dovuto
al repentino spostamento verso la portiera. Ma, dato ancor più
significativo, è che la vettura subisce una serie di capottamenti
devastanti, dovuti appunto all’impennarsi del veicolo sulla base
del manufatto ed alla sua proiezione verso l’alto.
FUORI
LEGGE
|
90%
|
la
percentuale di guardrail fuori norma sulle strade
provinciali
|
60-70%
|
la
percentuale di guardrail fuori norma sulle strade
regionali
|
LE
NORME
|
1987:
un decreto ministeriale stabilisce che i guardrail devono superare
prove di sicurezza delle case produttrici
|
1992:
vengono messe a punto norme europee che stabiliscono le modalità
tecniche per effettuare i crash test
|
2002:
é stabilito
che i crash test devono essere effettuate da organismi certificati
dal Ministero delle Infrastrutture
|
Nel caso di urto contro il guardrail costituito da lamiera a tre onde,
invece, l’impatto viene assorbito egregiamente dalla struttura
e quindi contenuto. La prima ragione di questa differenza di comportamento
è ovviamente dovuta alle capacità di assorbimento da attribuire
al tipo di materiale (metallo o calcestruzzo), ma è significativo
anche il fatto che le barriere in metallo non hanno una base costituita
da scalino su cui il pneumatico possa arrampicarsi e provocare la proiezione
in alto. L’evoluzione del guardrail ha consentito di mettere a
punto un sistema in grado di garantire ancora maggiori assorbimenti
in caso di impatto. L’ultima generazione è infatti dotata
di bande metalliche semoventi, trattenute da bulloni posti su una guida
lunga alcuni centimetri in grado di trattenerle in caso di spostamenti
verso l’alto. Ciò al fine proprio di evitare movimenti diversi
da quelli inevitabili in caso di impatto, come il capottamento o la
proiezione successiva all’indietro o in avanti data dalla conseguente
accelerazione, lungo la direttrice di marcia del traffico, e quindi
di tornare pericolosamente verso il centro del piano viabile o addirittura
verso il senso opposto di marcia[9]. Vi sono comunque alcune società
impegnate nella costruzione di barriere di sicurezza a profilo New Jersey
che vantano il dato – significativo – di un notevole calo
di salti di carreggiata a seguito dell’installazione, in autostrada,
dei manufatti di tale tipologia. È indiscutibile che i profili
installati, soprattutto sulle autostrade sopraelevate, abbiano ridotto
le fuoriuscite dalla carreggiata aumentando la sicurezza generale della
strada, ma è altrettanto innegabile che è in atto una
concorrenza spietata tra i produttori di barriere in cemento e quelle
in acciaio, a suon di dati e crash test. Si pensi che quelli “del
cemento” riportano i risultati di alcune giornate presso il centro
prove di Autostrade per l’Italia di Anagni, dalle quali si desumerebbe
che gli impatti contro i guardrail in acciaio causerebbero lesioni gravissime
alla testa dei conducenti, ovviamente rappresentati da manichini strumentati,
i quali avrebbero sfondato il finestrino e impattato con il capo contro
la barriera, cosa che non sarebbe invece successa con impatti diretti
ai new jersey, sbarramento che, grazie alla propria geometria ed al
cinematismo di funzionamento, consentirebbe al veicolo di sollevarsi
ed essere rinviato, consentendo al manichino di evitare impatti con
le barriere[10].
|
Prove
di laboratorio della nuova barriera per motociclisti effettuata
con manichino antropometrico
|
Le modalità di omologazione delle barriere
L’omologazione di una barriera di contenimento comincia ovviamente
con la presentazione di un progetto, solitamente costituito da:
- una relazione sulle caratteristiche geometriche e dei materiali del
manufatto, compresa la sintesi delle risultanze delle prove sperimentali;
- documentazione grafica completa del manufatto;
- rapporti di prova rilasciati da un centro qualificato per l’esecuzione
di prove di impatto “al vero”;
- certificato di qualità aziendale della società richiedente
l’omologazione;
- documentazione filmata delle prove.
L’insieme di questi atti concorre a portare all’attenzione
della commissione la validità del progetto realizzato, che ovviamente
fornirà il proprio assenso a seconda del comportamento del dispositivo
in caso di urto di veicoli.
Il principio in base al quale un manufatto viene omologato rispetto
ad un altro, ovviamente, è desunto del Decreto Ministeriale 18
Febbraio 1992, n. 223 e successive modificazioni ed integrazioni, oltre
che dalle norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade,
le quali prevedono che un dispositivo di ritenuta (la barriera di contenimento,
appunto) sia elemento tendente ad evitare la fuoriuscita dei veicoli
dalla carreggiata o comunque a ridurne le conseguenze dannose, restando
contenuti nel margine destro della piattaforma o nello spartitraffico,
qualora le carreggiate siano separate. La garanzia che un prodotto del
genere deve fornire è che un veicolo collidente con il dispositivo
stesso non fuoriesca dalla carreggiata o non invada quelle opposta (salto
di carreggiata o di corsia, effetto di ritenuta), ma possa essere mantenuto
sulla propria direttrice di marcia con una traiettoria il più
innocua possibile (effetto di controllo della traiettoria).
Una situazione che il legislatore ha preferito evitare è ovviamente
il cedimento della barriera a seguito dell’impatto da parte del
veicolo collidente, che consentirebbe a quest’ultimo di lasciare
la propria carreggiata invadendo quella opposta o finendo fuori strada,
con le conseguenze che tutti possiamo immaginare e che noi della Stradale
abbiamo più volte constatato di persona. Altra situazione da
evitare, e che la barriera dovrebbe garantire, è il rientro sulla
propria carreggiata da parte del veicolo collidente con angoli di traiettoria
tali da interferire con la progressione di marcia di veicoli sopraggiungenti,
ai quali deve essere lasciato il tempo (e la possibilità) di
modificare il proprio moto senza trovare lo spazio antistante occupato
dal veicolo in svio. Detto questo bisogna aggiungere che uno dei parametri
necessari perché una barriera venga omologata è la sua
capacità di funzionamento senza imprimere sugli occupanti dei
veicoli collidenti decelerazioni incompatibili con la resistenza del
corpo umano, dal punto di vista delle lesioni o ferimenti. Notevole,
direte voi; ma ci siamo chiesti se le barriere attualmente in servizio
sulle nostre strade siano effettivamente corrispondenti a tali caratteristiche.
Non siamo ingegneri, ma l’impressione è davvero negativa.
La normativa italiana riprende una disposizione europea, la EN1317
del 1992. Il fatto è che si tratta di un precetto privo di sanzione:
un vuoto legislativo incredibile, che di fatto legittima chi –
e sono tanti – non si mette in regola. Secondo fonti accreditate,
il 90% della rete stradale provinciale è da considerare, sul
fronte delle barriere, non in regola, mentre il 65% circa della rete
regionale è nelle stesse condizioni. Da notare, anche la mancanza
di legge sul fronte della riqualificazione e della manutenzione: non
c’è alcuna norma, infatti, che obblighi l’ente proprietario
della strada a cambiare la barriera dopo un certo numero di anni: questo
spiega il perché di tanta ruggine sui rail.
Altre interessanti considerazioni possono riguardare i casi in cui –
nelle collisioni tra auto omologate e barriere anch’esse omologate
dai rispettivi Ministeri – si verificano situazioni drammatiche
(ad esempio: la lama della barriera penetra nell’abitacolo del
veicolo). Quali ulteriori precauzioni possono essere adottate per le
auto? Quali per le barriere? Le auto, per essere omologate, sostengono
test di impatto in condizioni di urto obliquo? E’ auspicabile che
tali controlli vengano effettuati?
L’attuale quadro normativo italiano relativo ai dispositivi di
sicurezza stradale prevede che debba essere verificato il comportamento
delle barriere nel caso di impatto di motociclisti? E quello europeo?
Il caso dei motociclisti
Vi siete mai chiesti, se non andate in moto, cosa potrebbe accadere
se un motociclista finisse contro una qualsiasi delle barriere attualmente
in servizio? Noi, che lavoriamo in strada e che assistiamo a scempi
di ogni genere, avevamo lanciato un grido di allarme, condiviso dall’associazione
Motociclisti Incolumi. Con loro ha ripreso progettazione e sperimentazione
di un nuovo tipo di barriera che ha già preso forma e che nasce
con uno spirito diverso. Fino ad oggi infatti il pensiero principale
del progettista restava la traiettoria del veicolo assunta dopo l’impatto
e le conseguenze sugli occupanti, come abbiamo ripetuto poche righe
indietro.
Le ricerche sono partite dal caso – frequente – di un corpo
espulso dall’abitacolo di un veicolo – perché privo
di cintura di sicurezza o motociclista – subendo così accelerazioni
e traiettorie che lo lanciano con angoli pazzeschi contro le barriere
di contenimento o contro altri ostacoli dei quali sono piene le nostre
strade.
Esempio: se una moto viaggia a 60 all’ora e il corpo del conducente,
o del passeggero (e quindi di entrambi), l’abbandona dopo un urto,
la velocità con cui colliderebbe contro un ostacolo fisso come
il piantone di un guardrail, contro un muro in cemento (anche new jersey),
alberi o altro costituirebbe una situazione incompatibile con la vita.
Queste, lasciatecelo dire, sono morti inutili, spesso avvenute in urti
banali – a bassa velocità – contro oggetti fissi, nei
quali la forma dell’ostacolo o la sua posizione sulla piattaforma
hanno inciso sulla perdita della vita più della velocità.
Le lesioni più comuni sono di carattere amputativo: decapitazione,
perdita di arti, o sfracellamento contro strutture inidonee alla ricezione
di urti da parte di corpi umani, rimbalzati dopo la prima collisione
con angoli tali da restare al centro della carreggiata – e quindi
soggetti ad investimento – o sottoposti a decelerazioni troppo
rapide per essere sopportate.
I dati ISTAT del 2001 relativi alla sinistrosità per i motoveicoli
ed elaborati da Asaps lasciano d’altronde spazio a poche interpretazioni.
Se da un lato infatti si è assistito ad un calo di mortalità
del 22,19% tra i centauri soli a bordo, passati così da 568 a
442 (-126), fra i motociclisti con passeggero si assiste ad una esplosione
dei numeri con una mortalità che è passata da 175 a 444,
+269 (+153,71%). Il rapporto con i feriti è invece negativo sia
per i motocicli a solo, 24.687 rispetto ai 20.435 del 2000, +4.252 (+20,8%),
che per i motociclisti con passeggero, fra i quali i feriti sono passati
da 6.514 a 12.821, +6.307 (+96,82%).
Con un parco veicoli di circa 3 milioni e cinquecentomila mezzi, i motociclisti
rappresentano appena l’8% del parco veicolare nazionale costituito da
44 milioni di veicoli, ma pagano un prezzo nella mortalità da
incidente stradale di oltre il 13% e dell’11,2% fra i feriti.
C’è da considerare poi la ridotta percorrenza chilometrica
delle dueruote per il fermo invernale, dalla quale si evince che l’incidentalità
primaverile ed estiva fra i veicoli motorizzati a 2 ruote, compresi
i ciclomotoristi, nei fine settimana raggiunge percentuali di oltre
il 50% della sinistrosità grave totale.
Il vaccino contro l’ecatombe
La soluzione dunque c’è, ma quando sarà adottata?
Eppure, per una volta, potremmo essere i primi, perché tutto
nasce in Italia, dalla progettazione alla pressofusione degli acciai
necessari, come ben spiegato al convegno dei Motociclisti Incolumi di
Parma (memorial Gianluca Ferrari), al quale siamo stati invitati come
relatori. Qui è stato presentato un prototipo, pensato per abbattere
la mortalità (e non solo) dei centauri collidenti contro le barriere
tradizionali: oggi finirci contro significa morire od uscirne terribilmente
mutilati. Il rischio centuplica se pensiamo a tutto quello che c’è
ai bordi della strada: paletti di sostegno o ceppi chilometrici, pali
di semafori o cuspidi ed ogni altro tipo di ostacolo fisso presente
sulle nostre strade.
Il prototipo, testato, è costituito da un fascione in metallo
elastico, poggiato su un guardrail più o meno tradizionale, che
non consente al malcapitato motociclista di finire la sua corsa, e quindi
la vita, su un paletto di sostegno o sul rasoio affilato della lama.
Dummy, un manichino antropometrico equipaggiato come un provetto motociclista,
lo ha provato: si è fatto lanciare a 60 chilometri orari contro
la barriera, con un angolo di incidenza sull’impatto di 30 gradi.
Alla fine, se ci fosse stato un uomo, si sarebbe fratturato solo una
clavicola, riportando un livello di “injury” compreso tra
119 e 209: si muore solo superando il valore di 1000. La nuova barriera
regge però anche gli impatti con i veicoli, mostrando di poter
tenere in strada veicoli tra i 900 e 1500 chili lanciati a 110 chilometri
all’ora. Un bel passo in avanti davvero.