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Articoli 07/06/2004

Il Guardrail e la vita in sospeso

In arrivo la barriera salva motociclisti. Merito di tutti, forse anche nostro.

Il Guardrail e la vita in sospeso

In arrivo la barriera salva motociclisti.
Merito di tutti, forse anche nostro.

di Lorenzo Borselli*

Introduzione
Tempo addietro ne abbiamo già parlato[1] ed in una lunga inchiesta abbiamo fatto un lungo elenco di pericoli e tragedie che si rinnovano. Contromano e tunnel, corsia di emergenza, guardrail, new jersey e cavalcavia senza reti[2]. Ma anche dell’altro.
Questa esperienza da “ricercatori investigatori” ci ha consentito peraltro di formare il concetto di “morte inutile”, che spieghiamo come un teorema: è la perdita umana, del tutto evitabile, del protagonista di un evento, dal quale ne scaturisce un secondo, che ne causa la morte. Una morte evitabile con una precauzione, alla quale spesso viene dato un costo materiale senza considerare il prezzo pagato in termini di vita umana. Con questo bagaglio, in relazione ai sistemi di contenimento, abbiamo ritenuto opportuno tornare sugli argomenti, per vedere se qualcosa è nel frattempo cambiato. Di sicuro di morti ce ne sono stati ancora, ma si comincia a vedere una crescente presa di coscienza, soprattutto da parte dei motociclisti, categoria tra le più a rischio.

L’effetto devastante di una “lama” su un’autovettura


Infatti, visto il crescente tributo di sangue tra i centauri, le attenzioni di numerosi rappresentanti delle dueruote – confluiti in associazioni del tipo Pistalibera o Motociclisti Incolumi[3] - si sono indirizzate verso una maggiore educazione al rispetto delle regole stradali e nello studio di soluzioni di contenimento e dissipazione degli urti meno cruente in caso di impatto.
In effetti ciò che contiene l’impatto di un veicolo assai di rado mostra compatibilità con la sopravvivenza di un corpo umano lanciato, suo malgrado, alla medesima velocità. Ora è stato realizzato un guardrail per motociclisti e presto ne comincerà la sperimentazione. È come aver trovato un vaccino.
A tal proposito la redazione de Il Centauro vuole ringraziare l’Ingegner Luigi Cicinnati per l’indispensabile e preziosa opera di consulenza prestata.
* lborselli@inwind.it


Sicurezza stradale a 360°
L’aumento esponenziale del traffico ha innalzato spaventosamente la soglia di mortalità globale: negli Stati Uniti l’allarme era risuonato per la prima volta nel febbraio 1952, quando l’ennesimo sinistro stradale pareggiò il conto con i bollettini di guerra: 1.005.600 morti dai primi moti d’indipendenza del 1775 fino alla guerra di Corea allora in atto; lo stesso numero di americani che, dall’ottobre 1899 (quando il primo americano perse la vita a New York nel primo incidente stradale), erano morti in sinistri della circolazione[4]. Il clamore suscitato da quei numeri agghiaccianti originò una campagna mediatica senza precedenti e alla fine gli States ridussero di colpo la velocità. Chi sgarra col gas passa la notte in guardina; la stessa pena è prevista per chi alza il gomito, mentre chi uccide alla guida passa dai due ai cinque anni dietro le sbarre, passa ai servizi sociali, esce su cauzione o sulla parola. Tutti, alla fine, perdono la patente.
In Europa la cultura della sicurezza stradale è praticamente agli albori. Solo nell’ultimo ventennio, infatti, la Commissione Europea ha lavorato per arginare le cifre nere della mobilità europea. All’interno dei 15 paesi membri (ora diventati 25) vi sono 200 milioni di titolari di patente, sul totale di 375 milioni di cittadini; il parco veicolare del vecchio continente è costituito da 200 milioni di mezzi di trasporto: quindi, statisticamente, ogni patentato ha un veicolo su cui spostarsi sui 4 milioni di km di strade nel continente. Quelle strade in cui, ogni anno, muoiono 40mila persone in 1.300.000 incidenti, mentre 1.700.000 riportano lesioni, causando un danno patrimoniale al prodotto interno lordo dell’UE di 160 miliardi di euro[5]. È stata registrata una lieve inversione di tendenza, anche grazie a prese di posizioni durissime di stati come la Francia, che hanno introdotto il concetto di tolleranza zero. Loyola de Palacio, la donna che guida il “dicastero” europeo dei trasporti, ammette che “la situazione resta socialmente inaccettabile e difficilmente giustificabile per il cittadino”.
Dopo il Libro Bianco sulla politica europea dei trasporti[6], l’obiettivo è divenuto chiaro: dimezzare entro il 2010 il numero di morti. Eppure Bruxelles rileva spesso che una delle difficoltà maggiori arriva proprio da una forte riserva degli stati membri a compiere un’azione armonica a livello comunitario.
Spicca, nella fattispecie, la mancata decisione sul limite alcolemico minimo, in discussione da oltre un decennio.
Una delle priorità europee resta il censimento dei cosiddetti black points, i punti ad alto rischio, su cui dovranno concentrarsi gli sforzi per dar vita a nuovi progetti di infrastruttura, per ridurre le lesioni in caso di scontro[7].

Crash test di un autoarticolato sul New Jersey


Le tipologie di barriere di contenimento
Ogni strada deve far parte, per essere omologata, di una delle 6 categorie previste dalla legge, secondo la larghezza della corsia, della carreggiata, dello spartitraffico e della velocità massima: si va dalla grande autostrada alla piccola arteria comunale o vicinale. Per alcune delle strade contemplate nelle categorie di cui si è appena parlato si rende necessaria l’installazione di barriere di contenimento (o di sicurezza), generalmente secondo vari profili in metallo o in cemento armato principalmente allo scopo di:
- contenere il/i veicolo/i sul piano viabile assorbendo le energie d’impatto ed evitando al/ai veicolo/i lo scavalcamento della barriera secondo parametri prefissati;
- fornire al/ai veicolo/i traiettorie di rinvio accettabili e compatibili con la larghezza delle corsie;
- ottenere per i passeggeri a bordo dei veicoli – specie per quelli strutturalmente più deboli – decelerazioni compatibili con le caratteristiche del corpo umano.
Le barriere, ovviamente non sono tutte uguali e si deve procedere alla loro scelta ed installazione tenendo conto di alcuni fattori variabili; in primis la destinazione d’uso che è diversa a seconda della parte di strada su cui posarle[8] e precisamente:
a) bordo laterale su piani viabili rilevati;
b) bordo laterale su piani viabili posati su manufatti sopraelevati (ponti e viadotti, muri di sostegno ed opere d’arte in genere);
c) spartitraffico rilevato;
d) punti singolari quali terminali, transizioni, attenuatori d’urto, etc. In secundis le barriere subiranno un’ulteriore selezione tenendo conto della tipologia di strada cui dovranno servire e del volume di traffico pesante che vi insiste secondo la classificazione del T.G.M. (Traffico Medio Giornaliero) di tipo I, II o III; ci si riferisce in questo caso alle autostrade o strade extraurbane principali, alle strade extraurbane secondarie ed urbane di scorrimento, alle strade urbane di quartiere e strade locali. Ad oggi sia le grandi arterie che quelle di minore rilevanza sono “protette” da barriere in cemento armato (profilo New Jersey) e/o in metallo (guardrail), ma entrambi i dispositivi sono concepiti e dimensionati per resistere all’urto di un veicolo assorbendo e dissipandone gradualmente l’energia e per evitarne l’accidentale scavalcamento, secondo una classificazione fissata dal Governo che tiene conto del livello di contenimento della barriera: minimo (N1), medio (N2), normale (H1), elevato (H2), elevatissimo (H3) e per tratti ad elevatissimo rischio (H4). In ordine all’attenuatore d’urto, sopra elencato al punto d), si tratta di un dispositivo monolitico espressamente progettato per aumentare la sicurezza solitamente in prossimità di svincoli, per separare due diverse correnti di traffico in movimento nello stesso senso: gli addetti ai lavori sono soliti riferirsi a questa struttura definendola cuspide.
È dal 1987 che in Italia vige l’obbligo di recintare la strada con manufatti in grado di contenere auto a 90 all’ora e camion a 60. La normativa “sarebbe” andata a regime nel 1992, quando il governo stabilì quali e quanti test avrebbero dovuto superare le barriere per essere omologate. Nel 2002 l’esecutivo è tornato sulla questione, obbligando i costruttori a sostenere i crashtest presso laboratori accreditati dal Ministero delle Infrastrutture.

Crash test di un pullman su barriere di cemento


I GUARDRAIL

Sul finire degli anni ’70 gran parte delle barriere di contenimento erano costituite da muri, o da manufatti costituiti da colonne unite da una sorta di palizzate in ferro. L’incremento già esponenziale del traffico comportò una prima presa di coscienza circa la necessità di proteggere in maniera diversa e più efficace il piano viabile. Arrivò dunque il primo guardrail, una sorta di ringhiera elasto-plastica in materiale metallico – perlopiù acciaio o alluminio – installata inizialmente nei punti più pericolosi delle autostrade e lungo le banchine spartitraffico, allo scopo di impedire l’uscita di strada, di carreggiata o di corsia dei veicoli e minimizzare le conseguenze degli impatti. Si tratta di una striscia di lamiera ondulata a due curve (doppia onda), che negli ultimi anni è stata in parte sostituita con strisce di lamiere a tripla onda posate trasversalmente su paletti di ferro con sezione ad H. Se da una parte però tale sistema di protezione si è dimostrato assai efficace, per la sua alta capacità di contenimento degli impatti e di deformazione plastica, inglobando parzialmente la massa dell’oggetto che vi è andato ad urtare, dall’altra si sono verificate fattispecie di sinistro nei quali la lamiera ha causato danni gravissimi ed inaspettati. Tipico è l’ingresso della lama all’interno dell’abitacolo di un veicolo collidente che, a seguito dell’impatto, assume una curvatura tale che la lama taglia letteralmente il veicolo uccidendo chi si trovava nel raggio d’azione del dispositivo. Assai più frequente è purtroppo la casistica infortunistica a carico dei motociclisti.

Unsinistro mortale provocato dall’intrusione in abitacolo del guardrail


IL NEW JERSEY
Impattando con questa barriera gli effetti sono completamente diversi. Vediamo perché: è vero che una parete di cemento mostra una resistenza agli urti superiore, ma è altrettanto che non tutti sono d’accordo. Il primo progetto – risalente agli anni ’50 – si adatterebbe meglio a vetture che avessero le ruote all’interno della carrozzeria, e non a filo della stessa, come in realtà sono le auto oggi. Se infatti la carrozzeria di un veicolo fosse sporgente rispetto alla carreggiata (ingombro delle ruote), l’impatto contro una barriera trapezoidale in calcestruzzo assorbirebbe l’urto in maniera efficace, spostandosi a seguito dell’assorbimento dell’urto, con danni relativi e proporzionati alla velocità del corpo lanciato. Nel caso dei veicoli prodotti oggi invece, i pneumatici si trovano solitamente al filo della carrozzeria. In caso di urto con il new jersey, quando l’angolo di impatto non fosse frontale, si verifica che i pneumatici salgono sullo scalino alla base del manufatto e si arrampicano verso l’alto, subendo una impennata e finendo con il proiettare in aria la macchina. Molti salti di carreggiata si verificano proprio in questi casi limite. Studi condotti hanno evidenziato che in caso di urto contro il new jersey da parte di un utilitaria, alla velocità di 100 km/h, il manichino – noto nel settore con il nome di dummy – subisce un forte impatto con la testa dovuto al repentino spostamento verso la portiera. Ma, dato ancor più significativo, è che la vettura subisce una serie di capottamenti devastanti, dovuti appunto all’impennarsi del veicolo sulla base del manufatto ed alla sua proiezione verso l’alto.

FUORI LEGGE
90%
la percentuale di guardrail fuori norma sulle strade provinciali
60-70%
la percentuale di guardrail fuori norma sulle strade regionali
LE NORME
1987: un decreto ministeriale stabilisce che i guardrail devono superare prove di sicurezza delle case produttrici
1992: vengono messe a punto norme europee che stabiliscono le modalità tecniche per effettuare i crash test
2002: é stabilito che i crash test devono essere effettuate da organismi certificati dal Ministero delle Infrastrutture


Nel caso di urto contro il guardrail costituito da lamiera a tre onde, invece, l’impatto viene assorbito egregiamente dalla struttura e quindi contenuto. La prima ragione di questa differenza di comportamento è ovviamente dovuta alle capacità di assorbimento da attribuire al tipo di materiale (metallo o calcestruzzo), ma è significativo anche il fatto che le barriere in metallo non hanno una base costituita da scalino su cui il pneumatico possa arrampicarsi e provocare la proiezione in alto. L’evoluzione del guardrail ha consentito di mettere a punto un sistema in grado di garantire ancora maggiori assorbimenti in caso di impatto. L’ultima generazione è infatti dotata di bande metalliche semoventi, trattenute da bulloni posti su una guida lunga alcuni centimetri in grado di trattenerle in caso di spostamenti verso l’alto. Ciò al fine proprio di evitare movimenti diversi da quelli inevitabili in caso di impatto, come il capottamento o la proiezione successiva all’indietro o in avanti data dalla conseguente accelerazione, lungo la direttrice di marcia del traffico, e quindi di tornare pericolosamente verso il centro del piano viabile o addirittura verso il senso opposto di marcia[9]. Vi sono comunque alcune società impegnate nella costruzione di barriere di sicurezza a profilo New Jersey che vantano il dato – significativo – di un notevole calo di salti di carreggiata a seguito dell’installazione, in autostrada, dei manufatti di tale tipologia. È indiscutibile che i profili installati, soprattutto sulle autostrade sopraelevate, abbiano ridotto le fuoriuscite dalla carreggiata aumentando la sicurezza generale della strada, ma è altrettanto innegabile che è in atto una concorrenza spietata tra i produttori di barriere in cemento e quelle in acciaio, a suon di dati e crash test. Si pensi che quelli “del cemento” riportano i risultati di alcune giornate presso il centro prove di Autostrade per l’Italia di Anagni, dalle quali si desumerebbe che gli impatti contro i guardrail in acciaio causerebbero lesioni gravissime alla testa dei conducenti, ovviamente rappresentati da manichini strumentati, i quali avrebbero sfondato il finestrino e impattato con il capo contro la barriera, cosa che non sarebbe invece successa con impatti diretti ai new jersey, sbarramento che, grazie alla propria geometria ed al cinematismo di funzionamento, consentirebbe al veicolo di sollevarsi ed essere rinviato, consentendo al manichino di evitare impatti con le barriere[10].

Prove di laboratorio della nuova barriera per motociclisti effettuata con manichino antropometrico


Le modalità di omologazione delle barriere
L’omologazione di una barriera di contenimento comincia ovviamente con la presentazione di un progetto, solitamente costituito da:
- una relazione sulle caratteristiche geometriche e dei materiali del manufatto, compresa la sintesi delle risultanze delle prove sperimentali;

- documentazione grafica completa del manufatto;
- rapporti di prova rilasciati da un centro qualificato per l’esecuzione di prove di impatto “al vero”;
- certificato di qualità aziendale della società richiedente l’omologazione;
- documentazione filmata delle prove.
L’insieme di questi atti concorre a portare all’attenzione della commissione la validità del progetto realizzato, che ovviamente fornirà il proprio assenso a seconda del comportamento del dispositivo in caso di urto di veicoli.
Il principio in base al quale un manufatto viene omologato rispetto ad un altro, ovviamente, è desunto del Decreto Ministeriale 18 Febbraio 1992, n. 223 e successive modificazioni ed integrazioni, oltre che dalle norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade, le quali prevedono che un dispositivo di ritenuta (la barriera di contenimento, appunto) sia elemento tendente ad evitare la fuoriuscita dei veicoli dalla carreggiata o comunque a ridurne le conseguenze dannose, restando contenuti nel margine destro della piattaforma o nello spartitraffico, qualora le carreggiate siano separate. La garanzia che un prodotto del genere deve fornire è che un veicolo collidente con il dispositivo stesso non fuoriesca dalla carreggiata o non invada quelle opposta (salto di carreggiata o di corsia, effetto di ritenuta), ma possa essere mantenuto sulla propria direttrice di marcia con una traiettoria il più innocua possibile (effetto di controllo della traiettoria).
Una situazione che il legislatore ha preferito evitare è ovviamente il cedimento della barriera a seguito dell’impatto da parte del veicolo collidente, che consentirebbe a quest’ultimo di lasciare la propria carreggiata invadendo quella opposta o finendo fuori strada, con le conseguenze che tutti possiamo immaginare e che noi della Stradale abbiamo più volte constatato di persona. Altra situazione da evitare, e che la barriera dovrebbe garantire, è il rientro sulla propria carreggiata da parte del veicolo collidente con angoli di traiettoria tali da interferire con la progressione di marcia di veicoli sopraggiungenti, ai quali deve essere lasciato il tempo (e la possibilità) di modificare il proprio moto senza trovare lo spazio antistante occupato dal veicolo in svio. Detto questo bisogna aggiungere che uno dei parametri necessari perché una barriera venga omologata è la sua capacità di funzionamento senza imprimere sugli occupanti dei veicoli collidenti decelerazioni incompatibili con la resistenza del corpo umano, dal punto di vista delle lesioni o ferimenti. Notevole, direte voi; ma ci siamo chiesti se le barriere attualmente in servizio sulle nostre strade siano effettivamente corrispondenti a tali caratteristiche. Non siamo ingegneri, ma l’impressione è davvero negativa.
La normativa italiana riprende una disposizione europea, la EN1317 del 1992. Il fatto è che si tratta di un precetto privo di sanzione: un vuoto legislativo incredibile, che di fatto legittima chi – e sono tanti – non si mette in regola. Secondo fonti accreditate, il 90% della rete stradale provinciale è da considerare, sul fronte delle barriere, non in regola, mentre il 65% circa della rete regionale è nelle stesse condizioni. Da notare, anche la mancanza di legge sul fronte della riqualificazione e della manutenzione: non c’è alcuna norma, infatti, che obblighi l’ente proprietario della strada a cambiare la barriera dopo un certo numero di anni: questo spiega il perché di tanta ruggine sui rail.
Altre interessanti considerazioni possono riguardare i casi in cui – nelle collisioni tra auto omologate e barriere anch’esse omologate dai rispettivi Ministeri – si verificano situazioni drammatiche (ad esempio: la lama della barriera penetra nell’abitacolo del veicolo). Quali ulteriori precauzioni possono essere adottate per le auto? Quali per le barriere? Le auto, per essere omologate, sostengono test di impatto in condizioni di urto obliquo? E’ auspicabile che tali controlli vengano effettuati?
L’attuale quadro normativo italiano relativo ai dispositivi di sicurezza stradale prevede che debba essere verificato il comportamento delle barriere nel caso di impatto di motociclisti? E quello europeo?


Il caso dei motociclisti

Vi siete mai chiesti, se non andate in moto, cosa potrebbe accadere se un motociclista finisse contro una qualsiasi delle barriere attualmente in servizio? Noi, che lavoriamo in strada e che assistiamo a scempi di ogni genere, avevamo lanciato un grido di allarme, condiviso dall’associazione Motociclisti Incolumi. Con loro ha ripreso progettazione e sperimentazione di un nuovo tipo di barriera che ha già preso forma e che nasce con uno spirito diverso. Fino ad oggi infatti il pensiero principale del progettista restava la traiettoria del veicolo assunta dopo l’impatto e le conseguenze sugli occupanti, come abbiamo ripetuto poche righe indietro.
Le ricerche sono partite dal caso – frequente – di un corpo espulso dall’abitacolo di un veicolo – perché privo di cintura di sicurezza o motociclista – subendo così accelerazioni e traiettorie che lo lanciano con angoli pazzeschi contro le barriere di contenimento o contro altri ostacoli dei quali sono piene le nostre strade.
Esempio: se una moto viaggia a 60 all’ora e il corpo del conducente, o del passeggero (e quindi di entrambi), l’abbandona dopo un urto, la velocità con cui colliderebbe contro un ostacolo fisso come il piantone di un guardrail, contro un muro in cemento (anche new jersey), alberi o altro costituirebbe una situazione incompatibile con la vita.
Queste, lasciatecelo dire, sono morti inutili, spesso avvenute in urti banali – a bassa velocità – contro oggetti fissi, nei quali la forma dell’ostacolo o la sua posizione sulla piattaforma hanno inciso sulla perdita della vita più della velocità.
Le lesioni più comuni sono di carattere amputativo: decapitazione, perdita di arti, o sfracellamento contro strutture inidonee alla ricezione di urti da parte di corpi umani, rimbalzati dopo la prima collisione con angoli tali da restare al centro della carreggiata – e quindi soggetti ad investimento – o sottoposti a decelerazioni troppo rapide per essere sopportate.
I dati ISTAT del 2001 relativi alla sinistrosità per i motoveicoli ed elaborati da Asaps lasciano d’altronde spazio a poche interpretazioni. Se da un lato infatti si è assistito ad un calo di mortalità del 22,19% tra i centauri soli a bordo, passati così da 568 a 442 (-126), fra i motociclisti con passeggero si assiste ad una esplosione dei numeri con una mortalità che è passata da 175 a 444, +269 (+153,71%). Il rapporto con i feriti è invece negativo sia per i motocicli a solo, 24.687 rispetto ai 20.435 del 2000, +4.252 (+20,8%), che per i motociclisti con passeggero, fra i quali i feriti sono passati da 6.514 a 12.821, +6.307 (+96,82%).
Con un parco veicoli di circa 3 milioni e cinquecentomila mezzi, i motociclisti rappresentano appena l’8% del parco veicolare nazionale costituito da 44 milioni di veicoli, ma pagano un prezzo nella mortalità da incidente stradale di oltre il 13% e dell’11,2% fra i feriti.
C’è da considerare poi la ridotta percorrenza chilometrica delle dueruote per il fermo invernale, dalla quale si evince che l’incidentalità primaverile ed estiva fra i veicoli motorizzati a 2 ruote, compresi i ciclomotoristi, nei fine settimana raggiunge percentuali di oltre il 50% della sinistrosità grave totale.


Il vaccino contro l’ecatombe
La soluzione dunque c’è, ma quando sarà adottata? Eppure, per una volta, potremmo essere i primi, perché tutto nasce in Italia, dalla progettazione alla pressofusione degli acciai necessari, come ben spiegato al convegno dei Motociclisti Incolumi di Parma (memorial Gianluca Ferrari), al quale siamo stati invitati come relatori. Qui è stato presentato un prototipo, pensato per abbattere la mortalità (e non solo) dei centauri collidenti contro le barriere tradizionali: oggi finirci contro significa morire od uscirne terribilmente mutilati. Il rischio centuplica se pensiamo a tutto quello che c’è ai bordi della strada: paletti di sostegno o ceppi chilometrici, pali di semafori o cuspidi ed ogni altro tipo di ostacolo fisso presente sulle nostre strade.
Il prototipo, testato, è costituito da un fascione in metallo elastico, poggiato su un guardrail più o meno tradizionale, che non consente al malcapitato motociclista di finire la sua corsa, e quindi la vita, su un paletto di sostegno o sul rasoio affilato della lama. Dummy, un manichino antropometrico equipaggiato come un provetto motociclista, lo ha provato: si è fatto lanciare a 60 chilometri orari contro la barriera, con un angolo di incidenza sull’impatto di 30 gradi. Alla fine, se ci fosse stato un uomo, si sarebbe fratturato solo una clavicola, riportando un livello di “injury” compreso tra 119 e 209: si muore solo superando il valore di 1000. La nuova barriera regge però anche gli impatti con i veicoli, mostrando di poter tenere in strada veicoli tra i 900 e 1500 chili lanciati a 110 chilometri all’ora. Un bel passo in avanti davvero.

Bibliografia e fonti:
[1] Si vedano i capitoli relativi alle “inchiesta sui pericoli autostradali” dei numeri di ottobre e novembre 2002 de Il Centauro.
[2] Per la storia di Diego Cianti www.unaretepernonmorire.org.
[3] Collaboratori di Asaps e dell’autore in questa ricerca, raggiungibili nei rispettivi siti www.pistalibera.org e www.motociclisti-incolumi.com.
[4] “Strade e Autostrade”, n° 41 anno VII, settembre ottobre 2003. Editoriale del prof. Giovanni de Rios, Presidente SIV. “Per una rigorosa cultura della sicurezza stradale”, www.stradeeaustrde.it.
[5] Commissione Europea “Salvare 20.000 vite sulle nostre strade – Una responsabilità condivisa. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee. ISBN 92-894-5895-X;
[6] “La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte” [COM (2001) 370 def. Del 12 settembre 2001];
[7] Risoluzione del Consiglio d’Europa del 26.06.2000, sul rafforzamento della sicurezza stradale (G.U. C218 del 31.07.2000 pag. 1) e risoluzione del Parlamento Europeo del 18.01.2001 sulla sicurezza stradale (relazione Hedkvist-Petersen G.U. C262 del 18.09.2001 pag. 236);
[8] D.M. 223/92 e successive modificazioni;
[9] “Dinamica degli impatti e analisi sulle lesioni traumatiche”, ing. Luigi Cicinnati e Prof. Andrea Costanzo.
[10] SOMACE, socio fondatore di ABESCA, associazione nata con il proposito di promuovere la diffusione di “Barriere di Sicurezza a profilo New Jersey”, tratto da www.musili.it/ital/crash.asp.


di Lorenzo Borselli

da "Il Centauro" n.87
Lunedì, 07 Giugno 2004
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