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Corte di Cassazione 13/06/2011

Giurisprudenza di legittimità - Stupefacenti: la sostituzione della pena detentiva non è un diritto

(Cass. Pen., sez. III, 23 febbraio 2011, n. 6876)

I Giudici della Suprema Corte, con la sentenza 23 febbraio 2011, n. 6876, hanno affrontato la questione relativa all’opportunità di sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.
In particolare, il caso riguardava B.V. giudicato colpevole dal Tribunale di Lodi del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 6.000.00 di multa, con le attenuanti generiche e l’applicazione dell’ ipotesi di cui all’art. 73, comma 5.
La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’appello, confermava la sentenza del Giudice di primo grado, ma avverso tale decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la Corte distrettuale aveva omesso di pronunciarsi circa il secondo motivo d’appello, ovvero la richiesta di applicazione del trattamento sanzionatorio di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis.

I giudici di Piazza Cavour hanno puntualizzato che, per la sostituzione della pena detentiva con la sanzione del lavoro di pubblica utilità devono sussistere quattro condizioni, ovvero: “che l’interessato sia tossicodipendente o, comunque, assuntore di sostanze stupefacenti; che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento che abbia riconosciuto il fatto di lieve entità; che l’imputato abbia espressamente chiesto, eventualmente in via subordinata, la sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di pubblica utilità; che non ricorrano le condizioni per la concessione del beneficio di cui all’art. 163 c.p..”

Sebbene nella fattispecie esaminata, siano presenti i suddetti presupposti, la Terza Sezione della Suprema Corte, ha evidenziato la piena discrezionalità della decisione del giudice, il quale può accogliere l’istanza dell’imputato nonostante il parere negativo del p.m., oppure rigettarla, disattendendo così il giudizio favorevole del pm. Pertanto, la scelta di surrogare o meno la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità non rappresenta un diritto dell’imputato automaticamente realizzato, in quanto la relativa concessione è lasciata al libero apprezzamento discrezionale del giudicante. Di conseguenza, quest’ultimo, nel concedere o meno la suddetta sostituzione richiesta dalla parte, dovrà tener presente il principio enunciato dall’art. 27 della Costituzione, ovvero l’ applicazione della pena deve essere stabilita in base alla sua idoneità a favorire la rieducazione del condannato, nonché i criteri espressi dagli artt. 132 e 133 c.p., ed art. 73, comma 5 bis., c.p..
Infine, i Giudici della Suprema Corte hanno precisato che la decisione del mancato accoglimento dell’istanza proposta dalla parte circa la sostituzione del trattamento sanzionatorio, è stata dettata dalla valutazione di alcuni elementi presenti nel caso in esame, ovvero “l’oggettiva entità del fatto, la personalità del prevenuto, quale descritta dai suoi precedenti, gravi e numerosi, che ne fanno emergere la particolare proclività a delinquere, con conseguente pericolo per la collettività, tanto da determinare la Corte distrettuale a non riconoscere al B. una modifica, in melius, del trattamento sanzionatorio applicato dal Tribunale.”

 

(Nota di Maria Elena Bagnato)

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 27 gennaio - 23 febbraio 2011, n. 6876

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Lodi, con sentenza del 5/12/08, dichiarava B.V. colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, e lo condannava alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 6.000.00 di multa, concesse le attenuanti generiche e applicata la ipotesi di cui all’art. 73, comma 5 citato.

La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato dal prevenuto, con sentenza del 3/12/09, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, con i seguenti motivi:

la Corte distrettuale ha omesso di dare adeguato riscontro al secondo motivo di appello, con cui veniva richiesta l’applicazione del trattamento sanzionatorio di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 bis.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione, adottata in sentenza, è logica e corretta.

Osservasi che per procedere alla sanzione del lavoro di pubblica utilità in luogo della pena detentiva è necessario che si verifichino quattro condizioni: che l’interessato sia tossicodipendente o, comunque, assuntore di sostanze stupefacenti;

che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento che abbia riconosciuto il fatto di lieve entità;

che l’imputato abbia espressamente chiesto, eventualmente in via subordinata, la sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di pubblica utilità;

che non ricorrano le condizioni per la concessione del beneficio di cui all’art. 163 c.p..

Nella specie sussisterebbero tutti i presupposti per accogliere la istanza dell’imputato, ma il giudice è libero di decidere, sia non accogliendo tale richiesta, anche a fronte del parere positivo del p.m. sia accogliendola, andando di contrario avviso alle determinazioni sfavorevoli del p.m..

La sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità non costituisce, infatti, un diritto dell’imputato, essendo rimessa la relativa applicazione all’apprezzamento discrezionale del decidente, da esercitarsi avendo riguardo principalmente al parametro costituzionale espresso dall’art. 27, in particolare, sub specie, della idoneità della misura a tendere alla rieducazione del condannato, ai parametri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., oltre che ai parametri dettagliati nello stesso art. 73, comma 5 bis.

Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la pronuncia impugnata si palesa evidente l’implicito rigetto della istanza di applicazione del citato comma 5 bis, sul rilievo del decidente volto ad evidenziare l’oggettiva entità del fatto, la personalità del prevenuto, quale descritta dai suoi precedenti, gravi e numerosi, che ne fanno emergere la particolare proclività a delinquere, con conseguente pericolo per la collettività, tanto da determinare la Corte distrettuale a non riconoscere al B. una modifica, in melius, del trattamento sanzionatorio applicato dal Tribunale.

 

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.



da Altalex

 

 

 

 

Lunedì, 13 Giugno 2011
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