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Notizie brevi 04/07/2011

«Giustizia per mio figlio ucciso in auto»

DRAMMA. Parla il padre Piero Di Stefano a un mese dall’incidente che costò la vita ad Alex
L’indomani la moglie-madre disperata si tolse la vita
Lo sfogo del papà del ragazzo travolto da una Polo contromano «Io e mia figlia siamo condannati all’ergastolo di un dolore infinito»

Il terribile schianto lungo la tangenziale sud: a sinistra la Mini Cooper rossa su cui viaggiava la vittima

«Voglio che sia fatta giustizia perché non ci siano altri Alex che devono pagare con la vita, altre famiglie distrutte per colpa di chi si mette alla guida dopo aver bevuto e ignorando le norme stradali».
Un mese. Trenta giorni di dolore «difficile da raccontare». E di psicologi, farmaci, notti insonni. Dopo un mese Piero Di Stefano, 50 anni, trova la forza per sfogare almeno un briciolo dei suoi sentimenti, con l’animo ancora devastato dalla doppia tragedia del 2 giugno: quella notte un’auto contromano in tangenziale, condotta da un giovane padovano, trovato positivo all’alcol e alla cocaina, gli ha strappato il figlio Alex, 24 anni; il giorno dopo, la moglie Carla, 48 anni, vinta dal dolore per la morte del figlio, si è abbandonata ad un gesto estremo «che forse solo una madre può capire». Resta Martina, la figlia 18enne, con cui provare ad essere ancora se stesso: papà premuroso, imprenditore orafo, allenatore di calcio appassionato, uomo forte e combattivo come tutti l’hanno conosciuto.
Di Stefano, che vita è, la sua, dopo quel 2 giugno?
Stravolta. Fino alla sera del 1 giugno eravamo una famiglia che si sedeva assieme a cenare e a discutere. Dal 3 giugno siamo solo io e Martina che ci dividiamo tra psicologo e psichiatra. Magari il dolore fosse fisico, passerebbe; questo dolore è così differente e ti consuma giorno per giorno.
Perché ha deciso di rendere pubblica la sua sofferenza?
Ho aspettato trenta giorni, per riordinare le idee. Spero che parlare serva ad evitare altre tragedie. Voglio che sia fatta giustizia. Non la solita giustizia italiana, dove c’è sempre un cavillo di troppo. E neanche una giustizia esemplare. Mi aspetto giustizia e basta, perché non ci siano altri Alex che devono pagare con la vita, perché non ci siano altre famiglie distrutte in questo modo.
Mirko Vendramin e la sua famiglia le hanno chiesto perdono. Che cosa si sente di dire?
Non voglio parlarne. Piuttosto vorrei porre una riflessione, in particolare a tutti i genitori: un genitore si sforza di crescere un figlio insegnandogli valori e regole, per tutelarlo contro le difficoltà della vita. Poi all’improvviso ti ritrovi con un ragazzo ubriaco e sotto l’effetto di stupefacenti che usa l’auto come un’arma imboccando la tangenziale contromano e stronca la vita di una persona innocente. E di conseguenza "uccide" un’altra persona, mia moglie, il cui unico "difetto", forse, è che voleva troppo bene ai figli. E di conseguenza condanna me e mia figlia ad un dolore che ci consuma, un ergastolo del dolore che faccio fatica a raccontare... Vorrei invece ricordare Alex e Carla...
Alex, uno sportivo come lei...
Era un ragazzo esuberante, amava la vita, era uno sportivo, si divideva tra palestra e motocross. Non fumava e se vedeva sua mamma farlo, la riproverava, bonariamente. Aveva la passione per le auto d’epoca, tanto da averne restaurata una con pazienza.
La aiutava in azienda?
Sì, lavorava da anni, si applicava molto, nel lavoro manuale era un mostro. L’esperienza lo stava portando ad occuparsi del ramo commerciale e ormai avevo deciso di fargli prendere le redini dell’azienda a fine anno. Carla invece si occupava della contabilità, ma era un punto di riferimento per tutti. E in famiglia era il "cervello", non faceva mancare nulla, organizzava tutto lei. Quando ci siamo conosciuti, 34 anni fa, non avevamo neanche i soldi per la benzina del motorino. Dopo tanta fatica ci siamo costruiti il nostro futuro, la fabbrica, e poi la casa, il suo sogno. Ora mi toccherà vendere la casa e forse anche l’azienda, perché non so se ce la farò da solo. Penso alle famiglie dei miei dipendenti, vediamo.
Al suo fianco ora c’è Martina, sua figlia.
Penso a lei, adesso, è un cardine che mi dà la forza di andare avanti. Per fortuna siamo circondati dall’affetto di molti amici, e poi c’è con noi mia sorella con suo marito che ci hanno adottati».

Marco Scorzato


da il Giornale di Vicenza

 

 

Lunedì, 04 Luglio 2011
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