Il Tribunale di Brindisi, sez. distaccata di Fasano, con la sentenza in commento torna sull’annosa questione della responsabilità della P.A. (in questo caso, un Comune) per insidia o trabocchetto, ribadisce alcuni principi che dovrebbero considerarsi ormai pacifici in giurisprudenza. In primo luogo, occorre ricordare che la Suprema Corte di Cassazione è ormai costante nell’affermare il principio per cui <> (così, Cass. Civ., sez. III, 02/02/2007, n. 2308), con la conseguenza che la proposizione, prima di domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c. e, solo in sede di precisazione delle conclusioni, di domanda risarcitoria ex art. 2051 c.c., non può che costituire un’inammissibile mutatio libelli.
Ciò premesso, può essere interessante ripercorrere alcune tappe della vexata quaestio in merito al regime di responsabilità extracontrattuale applicabile ai gestori di strade pubbliche. L’impostazione più risalente e consolidata ritiene che la disposizione di riferimento in tale materia non possa che essere l’articolo 2943 c.c.. Una diversa tesi, meno difensiva nei confronti della P.A., propone, invece, l’applicabilità dell’articolo 2051 c.c.. L’ipotesi da ultimo formulata prendeva vita negli anni Sessanta del secolo scorso, grazie ad alcune pronunce di merito (tra cui C. App. Firenze, 2 gennaio 1968), ma non trovava riscontro alcuno nella giurisprudenza di legittimità, sino agli anni Settanta, quando si iniziava a ritenere configurabile l’applicazione dell’articolo 2051 c.c. nei confronti della P.A., limitando tale applicabilità ai beni demaniali o patrimoniali di non notevole dimensione e non suscettibili di generalizzata e diretta utilizzazione da parte della collettività (Cass. 14 ottobre 1970, n. 2020; Cass. 22 aprile 1998, n. 4070). Successivamente, a partire dagli anni Ottanta, si iniziò a disquisire sul significato dei termini “insidia” e “trabocchetto”, proponendone accezioni così ristrette da tendere ad aderire, di fatto, alla tesi dell’inapplicabilità della disposizione di cui all’articolo 2051 c.c. nei confronti della P.A. In tale ottica, infatti, i predetti concetti venivano valutati alla luce dell’assoluta imprevedibilità ed invisibilità della situazione di pericolo (Cass. Pen., sez. IV, 29 luglio 2004, n. 32970). A partire dagli anni Novanta, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con sentenza 10 maggio 1999, n. 156, si assisteva ad una vera e propria generalizzazione dell’applicabilità dell’articolo 2051 c.c. nelle ipotesi considerate che ha portato, a partire dal 2007, ad una stabilizzazione delle posizioni giurisprudenziali (ancorché con alcune, sporadiche, eccezioni) tese ad abbandonare il requisito della cd. insidia occulta, precedentemente posto quale elemento essenziale per la sussistenza della responsabilità della P.A. In particolare, la giurisprudenza ha dichiarato che costituisce insidia la presenza di una grossa chiazza d’acqua sul manto stradale a causa della perdita di un impianto irriguo in prossimità di detta sede (Cass., sez. III, 20 giugno 1997, n. 5539), la mancanza di una barriera protettiva al margine della strada (Cass., sez. III, 8 novembre 2002, n. 15710).
(Nota di Paola Corsini)
Tribunale di Brindisi Sezione Civile Sentenza 7 aprile 2011, n. 38
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale civile di Brindisi – Sezione distaccata di Fasano – nella persona del giudice, dott. ssa Maria Consolata Moschettini, ha pronunciato, a seguito dell’odierna udienza di discussione orale della causa, la seguente
SENTENZA
Nel procedimento civile iscritto al n. 52 del ruolo generale dell’anno 2004, avente ad oggetto: risarcimento danni da responsabilità extra-contrattuale,
promosso da
L. D. e C. F., nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. B., rapp.ti e difesi dall’avv. Bernardino Turchiarulo, giusta procura apposta a margine della comparsa di costituzione con nuovo difensore del 05.12.2007,
- attori -
contro
COMUNE DI FASANO, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Caiulo, giusta procura apposta a margine della comparsa di costituzione e risposta,
- convenuto -
Conclusioni:
All’odierna udienza di discussione orale della causa i difensori delle parti concludevano come da verbale da intendersi qui integralmente riportato.
Fatto e diritto
Con atto di citazione notificato il 1° aprile 2004 L. D. e C. F., nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. B., convenivano in giudizio il Comune di Fasano per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, complessivamente quantificati in euro 12.108,03, conseguenti alle lesioni personali riportate dalla minore a causa di una caduta al suolo prodottasi a seguito di scivolamento su una rampa realizzata per il superamento delle barriere architettoniche.
Rappresentavano gli attori che il giorno 23 ottobre 2003, alle ore 13.00 circa, la piccola B. camminava sul marciapiede ubicato in Fasano, sul margine destro di Corso Nazionale, angolo via Greco, all’altezza del civico n. 87, quando giunta al termine dello stesso, nel mentre si accingeva a scendere la rampa realizzata per il superamento delle barriere architettoniche, scivolava, cadendo rovinosamente a terra e riportando lesioni personali consistenti in una frattura biossea dell’estremità distale dell’avambraccio sinistro.
Chiedevano che il Comune, nella veste di proprietario della strada e del marciapiede, fosse condannato, ai sensi dell’art. 2043 cc, a risarcire i danni patiti dalla minore poiché lo stato dei luoghi ove si era verificato il sinistro era da ritenersi pericoloso, costituendo “insidia stradale” sostanzialmente per le seguenti ragioni:
1. la rampa per il superamento delle barriere architettoniche non risultava a norma poiché, secondo quanto accertato dal ctp geom. Cosimo Fedele (cfr. relazione del 05.12.2003), presentava una pendenza di 11° (rectius 10,95°, arrotondata a 11°), a fronte di una pendenza massima consentita, secondo le prescrizioni dettate dall’art. 8, punto 8.1.11 del D.M. 236/89 (“Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche), pari a 8°;
2. il materiale di cui era costituita la rampa risultava usurato e non assolveva più alla funzione prevista;
3. il manto bituminoso a ridosso della rampa risultava “fortemente deteriorato”.
Tali anomalie, unitariamente considerate, a giudizio degli attori, costituivano pericolo per gli utenti della strada, traducendosi in una vera e propria insidia; il Comune, avendo omesso di eseguire le regolari attività manutentive dell’asfalto e della rampa ed avendo realizzato quest’ultima in contrasto con la normativa di settore, doveva ritenersi responsabile dei danni subiti dalla minore a seguito dello scivolamento.
Si costituiva il Comune il quale richiedeva il rigetto della domanda, adducendo che nessun portatore di handicap aveva lamentato disagi nell’impegnare lo scivolo, frequentato da una moltitudine di gente, che lo scivolo non poteva costituire insidia stradale, difettando quelle caratteristiche dell’insidia, tradizionalmente individuate in giurisprudenza nella imprevedibilità ed inevitabilità del pericolo. Concludeva il Comune nel senso che la caduta della minore era avvenuta per distrazione della stessa o comunque si trattava di una “normale caduta in cui tutti possono incappare”.
L’istruttoria si svolgeva attraverso l’esame dei testi oculari di parte attrice Angelini Luigi e L. Camillo, del teste geom. Fedele Cosimo, consulente di parte degli attori, dell’arch. Antonio Carrieri, dirigente dell’U.T.C. di Fasano, teste di parte convenuta, ed infine con l’espletamento di una ctu medico-legale volta ad accertare la natura ed entità delle lesioni riportate dalla minore nonché i postumi permanenti derivati.
I testi oculari hanno confermato che la minore cadde “nello scendere la rampa”.
La caduta pertanto deve ritenersi provata.
La riconducibilità delle lesioni alla caduta, sebbene come rilevato dal consulente medico legale d’ufficio dr Valter De Nitto difetti di documentazione sanitaria relativa alla giornata dell’infortunio (“la lesività fu rilevata dopo due giorni” cfr. pag. 5 della relazione del ctu dr Valter De Nitto, depositata il 28.6.2007), non può essere esclusa, anzi tali lesioni, per la loro localizzazione, appaiono compatibili con il dinamismo descritto in citazione.
A questo punto, al fine di stabilire se sussistono i presupposti per la condanna dell’ente locale, bisogna verificare se lo stato dei luoghi era o meno pericoloso per gli utenti della strada o se la caduta, come sostenuto da parte convenuta, sia stata accidentale e si sia prodotta per distrazione della minore.
Quanto alla disciplina applicabile in tema di responsabilità della P.A. per i danni riportati dagli utenti dei beni demaniali, in particolare dagli utenti delle strade, per quel che interessa il caso in esame, è noto che, secondo la giurisprudenza meno recente (cfr. Cass. 366/00) il referente normativo doveva essere esclusivamente l’art. 2043 cc., escludendosi l’applicazione del regime, di gran lunga più favorevole per il danneggiato quanto agli oneri probatori, previsto dall’art. 2051 cc; doveva essere, pertanto, il danneggiato a dover provare la colpa della PA, dimostrando l’insidiosità dei luoghi, la sua imprevedibilità ed inevitabilità.
La giurisprudenza più recente è invece nella direzione che non si debba escludere a priori l’applicazione dell’art. 2051 cc nei confronti della PA (Cass. 15384/06, Cass. 4962/07, Cass. 5308/07, 20427/08), salvo il caso in cui sia oggettivamente impossibile l’effettiva custodia del bene demaniale (Cass. 20827/06). Sicchè l’applicazione dell’art. 2051 cc sarà, ad esempio, possibile nel caso in cui la strada si trovi nel perimetro urbano del Comune o si tratti di strada aperta al pubblico transito. A carico della PA graveranno quei rischi connessi all’inosservanza dei doveri di sorveglianza e manutenzione razionalmente esigibili in base a criteri di corretta e diligente gestione, con esclusione della responsabilità della PA nelle ipotesi di pericolo imprevedibile ed inevitabile ascrivibile a terzi o allo stesso danneggiato (Cass. 12449/08).
Fatta questa premessa è da rilevare che gli attori nel caso in esame hanno espressamente richiesto una pronuncia dichiarativa, con conseguente condanna, della responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2043 cc. Solo in sede di comparsa conclusionale si è fatto riferimento all’art. 2051 cc e pertanto si è fatto ricorso ad una diversa causa petendi.
In proposito si osserva che, secondo l’orientamento espresso più volte dalla Suprema Corte sul punto, il rilievo officioso della novità della domanda (e tale deve intendersi quella in cui la causa petendi risulti mutata), va operato allorché la stessa viene avanzata dopo la chiusura dell’udienza di trattazione o dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 186, V, comma cpc (cfr. Cass. n. 26691/06, Cass. 19453/05).
Nel caso in esame risulta che tale domanda è stata avanzata oltre il termine concesso ex art. 183, V comma, cpc, nel testo antecedente la riforma del 2005, pertanto va d’ufficio rilevata la novità del titolo invocato ai fini della responsabilità extra-contrattuale della convenuta.
Il referente normativo cui attenersi sarà dunque l’art. 2043 cc.
L’orientamento tradizionale in materia di danni derivanti dall’utente di opere pubbliche, tra cui, per quel che interessa il caso in esame, le strade, è nel senso che la responsabilità della PA sorga solo in caso in cui il danno sia derivato da una situazione di pericolo che presenta il carattere dell’insidiosità, intesa come situazione di pericolo imprevedibile, invisibile ed inevitabile. L’onere di provare l’insidia è stato tradizionalmente posto a carico del danneggiato.
In tal senso, secondo un orientamento costante nel tempo, Cass. 9915/98, Cass. 9599/98, Cass. 6807/02, Cass. 15224/05, Cass. 25140/06.
Nel senso che invece l’insidia sia fuori dallo schema dell’illecito aquiliano e che non debba essere provata dal danneggiato si pone invece un orientamento minoritario difforme espresso in Cass. n. 5445/06, peraltro contraddetto dalla successiva pronuncia n. 25140/06.
Ritiene questo giudice di aderire all’orientamento tradizionale secondo cui in caso di danni derivanti dall’uso di beni del demanio stradale la responsabilità della PA vada affermata nel caso in cui gli stessi si siano prodotti in conseguenza di una situazione di pericolo occulto, e cioè a seguito di insidia, che il danneggiato dovrà provare, non superabile con l’ordinaria diligenza e prudenza esigibili in capo ad un utente medio.
Nel caso in esame non risulta provato che i beni pubblici presentassero i caratteri di pericolo occulto.
Saranno partitamente esaminate le censure mosse con l’atto di citazione.
1) PENDENZA della RAMPA.
Non risulta provato (onere gravante ex art. 2043 cc sul danneggiato) che lo sforamento di 2,95° della pendenza della rampa abbia costituito nel caso concreto situazione di pericolo: basti pensare che la stessa normativa di settore (art.8, punto 8.1.11, comma VI, DM 236/89) espressamente consente pendenze superiori fino a 12° (cfr. relazione del responsabile dell’UTC arch. Antonio Carrieri, prodotta il 9.3.05 da parte convenuta, alla quale risulta allegato il grafico richiamato dal DM 236/08 art.8 punto 8.1.11) in caso di adeguamento (es. realizzazione di interventi su edifici preesistenti all’entrata in vigore della disciplina richiamata), rapportate allo sviluppo lineare effettivo della rampa. Peraltro neanche nella stessa consulenza di parte si afferma che tale eccedenza sia stata la causa dello scivolamento della minore.
Ad ogni modo è da osservare che la normativa di settore è dettata allo scopo di consentire agli sfortunati portatori di handicap di transitare agevolmente sulla rampa con la sedia a ruote. E’ chiaro che una pendenza superiore (comunque consentita, si è detto, anche fino a 12°, talchè tale misura evidentemente non può essere ex se fonte di pericolo) creerebbe ostacoli per i portatori di handicap. Ma è notorio che esistono tratti stradali con pendenze anche superiori e ciò non genera ex se di regola una situazione di pericolo, fatte salve le peculiarità del caso concreto.
Dunque non vi è prova che la pendenza di 10,95°, anziché 8°, sia stata la causa di scivolamento della minore.
2) USURA del MATERIALE di RIVESTIMENTO della RAMPA.
Il ctp geom. Cosimo Fedele, nella prima relazione a sua firma, datata 5.12.2003, confermata nel corso della sua deposizione, ha affermato che i materiali di rivestimento della rampa “con il passare del tempo si sono usurati non assolvendo più alla funzione prevista”.
L’affermazione appare piuttosto generica ma, comunque, il geometra nel corso della testimonianza resa ha precisato che “i mattoni erano leggermente usurati”.
Ora dalla visione dei rilievi fotografici allegati alla prima relazione e dal confronto con quelli eseguiti in data 2.3.2005 ed allegati alla seconda relazione, datata 2.3.2005, relativi questi ultimi alla situazione dei luoghi risultante dopo gli interventi eseguiti dal Comune per “alleggerire” la pendenza della rampa, si nota che il materiale di rivestimento della rampa non appare “scivoloso”.
L’affermazione risulta basata su tali osservazioni:
- nelle fotografie allegate alla prima relazione (in particolare in quella contrassegnata con il numero 2) sono chiaramente visibili le zigrinature trasversali dei mattoni cementizi striati; un’usura del materiale di entità tale da far perdere alla superficie le sue proprietà antiscivolo avrebbe comportato la scomparsa e comunque la non chiara visibilità fotografica delle striature,
- ancora nelle foto sono visibili macchie scure (probabilmente riferibili a gomma da masticare o ad altro materiale dotato di una qualche consistenza adesiva) sui mattoni, la cui particolare conformazione (delle macchie) appare sintomatica della persistenza delle zigrinature: le macchie sembrano essersi prodotte in conseguenza del deposito del materiale negli incavi delle zigrinature, seguendo il percorso delle stesse, creando una sorta di riempimento delle cavità, circostanza che obbiettivamente comprova la presenza delle zigrinature, visibili comunque dalle foto.
Tali osservazioni, valutate unitamente a quanto riferito dal geom. Contento nel corso della sua deposizione, secondo cui il materiale era solo leggermente usurato, escludono che lo stato dei luoghi fosse tale da costituire pericolo per l’incolumità pubblica.
Quanto al cordolo, parte terminale della rampa, possono farsi le medesime osservazioni.
La bucciardatura e cioè quel tipo di lavorazione superficiale degli elementi lapidei che crea una superficie corrugata, usata notoriamente per pavimentazioni esterne grazie anche alle caratteristiche antiscivolo di tale tipo di finitura, appare esistente alla data in cui il ctp eseguì il primo sopralluogo, quando ancora lo stato dei luoghi non era stato modificato dai nuovi lavori eseguiti dal Comune.
Ciò si nota chiaramente nei rilievi fotografici in atti: la superficie del cordolo appare scabra e non liscia, nel mentre l’assenza di ruvidezza è visibile solo lungo il perimetro dei mattoni costituenti il cordolo, per una piccola superficie di contorno, evidentemente quale caratteristica estetica di quel tipo di lavorazione atteso che tale aspetto (superficie perimetrale liscia) si nota anche nelle foto scattate in data 2.3.2005, dopo circa due mesi dalla sostituzione della pavimentazione della rampa.
Il materiale con cui è stato realizzato il cordolo è stato indicato dal ctp in pietra calcarea bucciardata. Nessuna contestazione è stata mossa dal ctp sull’impiego di quel materiale.
Il ctp in udienza ha ribadito, si è già detto, che la superficie della rampa era leggermente usurata. Non vi è prova che tale “leggera usura” costituisse ex se situazione di pericolo occulto idonea a cagionare lo scivolamento.
3) MANTO BITUMINOSO a RIDOSSO della RAMPA.
In citazione si afferma che tale manto risultava all’epoca del sinistro “fortemente deteriorato”.
I rilievi fotografici comprovano effettivamente l’esistenza di sconnessioni nel manto bituminoso, in parte eliminate in occasione dell’esecuzione di lavori di abbassamento della pendenza della rampa.
Ora tali sconnessioni ex se non appaiono costituire un’insidia stradale poiché difettano i caratteri della non percepibilità (il fatto avvenne in pieno giorno e quindi in condizioni di massima visibilità) ed inevitabilità; una condotta improntata all’ordinaria diligenza e prudenza nel senso di prestare la normale attenzione nel mentre si cammina, consentiva di avvedersi dello stato dei luoghi.
Nel caso in esame i testimoni oculari hanno riferito che la minore scivolava nello “scendere la rampa” talchè sembrerebbe che sia scivolata sulla rampa e non invece sia caduta perché l’asfalto presentava sconnessioni, e quindi in tale ultimo caso, evidentemente poteva cadere solo “dopo” aver disceso la rampa e non “nello scendere la rampa”.
Ad ogni modo l’irregolarità del manto stradale non assumeva le caratteristiche dell’imprevedibilità e invisibilità (Cass. n. 11592/10, Cass. n. 15884/10) proprie dell’insidia stradale, essendo l’anomalia chiaramente visibile ed evitabile mediante l’uso dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle concrete situazioni di visibilità.
Non è stato pertanto provata da parte attrice la sussistenza di un nesso causale tra la caduta e le anomalie dei beni pubblici indicati in citazione. Non vi è prova invero, per quel che si è già detto, che la pendenza non a norma della rampa sia stata causa del sinistro; la circostanza che il comune, dopo l’incidente, abbia “alleggerito la pendenza” non comprova ex se l’assunto di parte attrice atteso che ragionevolmente i lavori sono stati eseguiti per scongiurare l’insorgere in futuro di contenziosi con i portatori di handicap, fino a quel momento, come dichiarato in comparsa, non insorti.
Quindi l’esecuzione da parte del Comune dei lavori volti all’abbassamento della rampa non costituisce prova indiretta della sussistenza di un nesso di causalità tra l’anomalia (nei limitati termini innanzi descritti) iniziale della rampa e lo scivolamento della minore.
Non vi è prova, altresì, della scivolosità della superficie di rivestimento della rampa all’epoca dei fatti, per quello che si è innanzi detto.
Nulla si dice in citazione circa il tipo di calzature adoperate dalla bambina, circostanza di per sé rilevante atteso che spesso si può scivolare in conseguenza del tipo di calzatura indossata e non per effetto della superficie di calpestio.
La domanda, pertanto, deve essere rigettata.
Tuttavia l’obbiettiva controvertibilità del caso e delle questioni giuridiche sottese inducono a ritenere equa una compensazione integrale delle spese di lite.
Le spese di ctu, come liquidate in corso di causa, vanno ripartire per metà a carico di parte attrice e per la restante metà a carico del convenuto.
P.Q.M.
Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da L. D. e C. F., nella veste di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. B., contro il COMUNE di FASANO con atto di citazione notificato il 1° aprile 2004 così provvede:
1. rigetta la domanda,
2. compensa interamente le spese di lite tra le parti in causa,
3. pone definitivamente le spese della consulenza tecnica espletata nel presente procedimento, nella misura liquidata in corso di causa, per metà a carico degli attori e per la restante metà a carico della parte convenuta.
Così deciso in Fasano, il 7 aprile 2011.
Il Giudice
dott.ssa Maria Consolata Moschettini
da Altalex
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