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Articoli 06/09/2011

Costi stradali: la stangata invisibile

Ogni anno 30 miliardi di euro in fumo per gli incidenti
Ma, in periodo di tagli, la politica sembra guardare altrove

Di Francesco Maltoni
 

Foto Blaco - archivio Asaps
 

Fine estate 2011, tempo di crisi e di continue giravolte attorno al salvagente della manovra finanziaria. Mentre tutti si accapigliano sulle misure per raggranellare qualche spicciolo di qua o di là, non sarebbe male fermarsi un attimo e interrogarsi sui veri esborsi, esagerati e drammatici, che gravano sul nostro vivere quotidiano, civile, democratico ed economico. Gli sprechi della “casta”? Certo. I dividendi preda dei super manager? Senza dubbio. Ma c’è un campo che, al di fuori da qualsiasi qualunquismo o vaga indignazione, dovrebbe mettere d’accordo tutti e invece viene purtroppo ignorato con allarmante sistematicità. Stiamo parlando, naturalmente, della sicurezza stradale. Ma, ci si chiederà, com’è possibile scorgere in un tema così specifico la chiave di volta dell’economia nazionale, o addirittura continentale? Innanzitutto, basti pensare al fatto che una maggiore sicurezza sulle arterie di mobilità, significa automaticamente maggior tranquillità negli spostamenti di mezzi e persone, oltre all’accresciuta scioltezza nella distribuzione delle merci e dei servizi. Ma c’è un dato che, da solo, vale a rivestire i conti della strada di un abito ben più importante nello scenario economico globale: il costo sociale degli incidenti stradali, che, nella sola Italia, ammonta a ben 30 miliardi di euro, pari al due percento del Pil nazionale. Numeri da capogiro, che, se allargati al panorama dell’Unione europea, schizzano a 130 miliardi. Già questo termine di paragone, di per sé, dovrebbe essere un pungolo sufficiente a fare meditare i nostri politici sull’urgenza di abbassare il tetto sinistrosità/costi ben oltre la media dei Paesi membri in Ue. Eppure, gli sforzi in materia paiono ancora troppo deboli e a maggior ragione oggi, dove giorno dopo giorno partiti, esponenti, correnti e coalizioni la buttano in caciara per dettare le proprie ricette per sanare l’economia malandata. Se consideriamo, infatti, che i tagli previsti dal Governo per fronteggiare il crollo finanziario degli ultimi tempi ammontano a circa 45 miliardi, allora dobbiamo ammettere che ogni anno, gli incidenti stradali nel Belpaese rappresentano una “stangata” invisibile, ma puntuale e tremenda. Dunque, ingranare la quarta sulla prevenzione e dare una rinfrescata all’impianto normativo non potrebbe che portare un saldo positivo, di vite umane oltre che di puri e semplici dané. Basta ricordare le maggiori novità introdotte negli ultimi anni, come la patente a punti, i sistemi di sorveglianza “tutor” o la riforma del Codice della Strada: misure dal forte impatto mediatico, ma comprovati freni psicologici per gli automobilisti, che hanno portato il budget-schianti in Italia da 35 miliardi ai 30 di oggi in meno di un decennio. Altro che, per dire, i “miseri” 823 milioni messi a bilancio nei prossimi quattro anni dopo la riforma degli studi di settore. Una spesa, quella degli incidenti, che, com’è noto, scorre lungo canali diversificati tra sistema sanitario, premi assicurativi, costi giudiziari e danni materiali. Balzelli che andrebbero calmierati nell’interesse di ogni singolo cittadino, pedone o automobilista. Pensate cosa costano al sistema sanitario e allo stato sociale i tanti feriti e invalidi permanenti reduci dalla guerra stradale.  Ed è per questo che, nel pieno della tempesta economica, ridurre il costo dei sinistri dovrebbe stagliarsi come priorità dell’establishment, anche se così, tra sforbiciate vere o gridate, non pare proprio. Da dove partire, dunque?  Vista la penuria di fondi pubblici, basterebbe qualche rimedio sbrigativo, a costo zero, ma tutt’altro che inefficace: il primo passo, ad esempio, potrà essere l’introduzione del reato di omicidio stradale, una battaglia sulla quale l’Asaps sì è spesa senza risparmio di energie. Ma non c’è solo il pugno di ferro: si può fare prevenzione anche con sano spirito “federalista”. Cosa trattiene, infatti, i nostri rappresentanti dall’emanare il decreto attuativo che obblighi (ma obblighi veramente con sanzioni immediate e tagli ai finanziamenti successivi), quegli  enti locali a investire il ricavato delle contravvenzioni in sicurezza stradale? Gli autovelox non sono il bancomat delle istituzioni, lo si è sempre detto, ma uno strumento di vigilanza e di accresciuta responsabilità del guidatore. E poi, per concludere, non sarebbe male tracciare una mappa aggiornata sulle “strade della morte”, le infrastrutture più critiche della rete nazionale dal punto di vista dei sinistri, per stilare una sequenza di interventi mirati, su cui puntare non appena il treno dell’economia, come tutti speriamo, sarà ripartito. Azioni semplici, che potrebbero ridurre il numero delle vittime e, insieme, dare un boccata d’ossigeno inattesa alle tasche sempre più vuote del nostro Paese.

 

 



 

Martedì, 06 Settembre 2011
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