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Corte di Cassazione 19/09/2011

Omessa segnaletica e danneggiamento di un veicolo in sosta - responsabilità

(Cass. Pen., sez.I 21 luglio 2011, n. 29156)

(omissis)

Ritenuto in fatto

 

1. – Con sentenza deliberata il 21 gennaio 2009 il Tribunale di Ancona dichiarava B. G., legale rappresentante della società “B. s.r.l.” – impresa esecutrice dei lavori di manutenzione straordinaria in corso di svolgimento in un centro commerciale sito in Falconara Marittima – ed A. M., direttore dei suddetti lavori, colpevoli del reato previsto e punti dagli artt. 110 e 673 cod. proc. pen., commesso in Falconara il 14 novembre 2006, ad essi contestato per avere, nelle rispettive qualità, omesso di collocare “segnali e/o ripari prescritti dalla legge e dall’Autorità per impedire pericoli alle persone in luogo di pubblico transito” e segnatamente di aver omesso di collocare segnaletica atta a delimitare l’area in cui svolgevano lavori con mezzi pesanti (sollevatore idraulico), che si ribaltava danneggia ndo un veicoli in sosta, e concesse ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche, li condannava ciascuno alla pena di € 400,00 (quattrocento) di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
1.1 – Nella motivazione il Tribunale riteneva provata la responsabilità dei due imputati, valorizzando in particolare le dichiarazioni rese dal teste C. C. della Polizia Municipale di Falconara – che in sentenza si afferma essere accorso sul posto nell’immediatezza del fatto – il quale aveva riferito che il cantiere di lavoro non era delimitato in alcun modo, da ciò desumendosi che gli stessi avevano omesso di collocare segnali o ripari (reti, paletti), atti a delimitare e comunque a segnalare, in orizzontale (e non solo in verticale, come pure asserito dai testi M. e C., dipendenti della B. s.r.l.), l’area interessata da una possibile caduta accidentale del mezzo meccanico impiegato (sollevatore), evento ritenuto prevedibile e prevenibile.
In particolare il Tribunale escludeva che gli imputati potessero utilmente invocare la buona fede in ragione della supposta inerzia dell’autorità amministrativa, ritenendo il giudicante “ovvio che un’attività pericolosa come quella di sollevare bancali di guaine isolanti o mattonelle del peso anche di cinque o sei quintali richiedesse attenzioni particolari e misure di salvaguardia e di interdizione rigorose nei confronti di chiunque si trovasse a passare, tenuto conto che si trattava di operazioni temporalmente circoscritte (della durata complessiva di 20-30 minuti) e che dunque si risolvevano in tempo accettabile”.
2. – Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello, qualificato della adita Corte territoriale di Ancona come ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., i difensori dei due imputati, che ne hanno chiesto l’annullamento.
2.1. – Quanto all’A., direttore dei lavori, nell’atto d’impugnazione proposto nell’interesse dello stesso, si denuncia, con un primo motivo, l’erronea valutazione delle risultanze dibattimentali, e con il secondo, l’erronea interpretazione della legge penale.
2.1.1. – Più specificamente nel ricorso si evidenzia, quale primo profilo di criticità della decisione impugnata, che la stessa era basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dal C., secondo cui “il cantiere di lavoro non era delimitato in alcun modo”, senza considerare che il predetto teste si era limitato a riferire quanto da lui direttamente percepito dall’atto del proprio intervento sul cantiere, che era avvenuto, però, successivamente al ribaltamento del sollevatore idraulico, laddove dalle dichiarazioni dell’imputato B., confermate sul punto dagli altri testimoni escussi (M. e C.), era emerso che erano state adottate le dovute precauzioni, consistite nella collocazione di un nastro rosso e bianco lungo tutto il perimetro della superficie interessata alle operazioni di fissaggio di una guaina impermeabile sul tetto del centro commerciale di Falconara, nastro che, essendosi rotto a seguito della caduta del mezzo meccanico, come risiero dai predetti testi, era stato immediatamente rimosso dopo il sinistro, per non intralciare le operazioni di soccorso dell’operaio che manovrava il sollevatore idraulico, rimasto bloccato al posto di comando; senza contare che, come pure riferito dall’imputato e dai summenzionati testi, il responsabile dei lavori aveva incaricato alcuni dipendenti dell’impresa di adoperarsi affinché nessun passante si avvicinasse o sostasse nell’are interessata alle operazioni di fissaggio e sollevamento del materiale utilizzato per l’esecuzione dei lavori, specificandosi nel ricorso, tra l’altro, che lo stesso B. aveva invitato anche il proprietario del veicolo poi danneggiato dal ribaltamento del sollevatore, a spostarlo, ricevendo un rifiuto a ragione del motivo che lo stesso sarebbe rimasto in sosta solo un attimo.
2.1.2 – Quanto poi alla seconda censura mossa alla pronuncia di condanna, in ricorso si sostiene che il giudicante non avrebbe adeguatamente valutato che lo scopo perseguito dalla norma incriminatrice, imponendo l’adozione di segnalazioni e ripari, è quello di evitare un pericolo alle persone, sicché, posto che nel caso di specie, come emerso dall’istruttoria dibattimentale, erano stati adottati accorgimenti più che adeguati allo scopo, in quanto perfettamente idonei alla tutela del bene protetto (delimitazione del cantiere con un nastro rosso e bianco; presenza di dipendenti incaricati di impedire l’accesso ai passanti nell’area delimitata, non transennabile con delimitazioni fisse), l’evento accaduto non poteva assolutamente venire addebitato ad una condotta omissiva degli imputati, tanto più che lo stesso dove va ritenersi cagionato, come precisato dall’imputato, da un imprevisto ed imprevedibile “malfunzionamento” del macchinario di sollevamento, posto che il principale tipo di rischio staticamente connesso alla utilizzazione di tale mezzo meccanico è quello della caduta verticale del carico e non certo quello del ribaltamento del mezzo meccanico, specie ove si consideri che a fronte di una portata massima di venti quintali il carico sollevato il giorno del sinistro non superava i cinque o sei quintali.
2.2 – Quanto all’impugnazione proposta nell’interesse dell’imputato B., nella stessa, si censura la sentenza impugnata, in via principale, con riferimento al mancato proscioglimento dell’imputato, perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, difettando l’elemento soggettivo e non sussistendo in capo al ricorrente alcuna posizione di garanzia, o quanto meno ex art. 530 comma 2 cod. proc. pen.; in via subordinata, per l’eccessività della pena, non adeguata rispetto alla condotta dell’imputato, che aveva utilizzato la massima accortezza nell’esecuzione dei lavori e che aveva provveduto, altresì, al risarcimento del danno.
2.2.1 – In particolare nel ricorso proposto nell’interesse dell’imputato B. si segnala: a) la non decisività della deposizione del testa C., ufficiale della Polizia Municipale di Falconara, in quanto intervenuto in loco non già nell’immediatezza dei fatti ma successivamente al verificarsi del sinistro; b) l’incongruenza dell’affermazione del giudicante secondo cui ad integrare  il reato sarebbe sufficiente l’omissione di “qualsiasi comportamento” atto ad evitare il pericolo; c) l’inesigibilità di una delimitazione della zona di lavoro con riferimento “a tutto il raggio di azione del braccio del mezzo idraulico”, richiedendosi in tal caso, illogicamente, la inibizione del transito anche rispetto a luoghi accessibili liberamente al pubblico da ogni lato; d) l’illogicità dell’affermazione secondo cui l’inerzia dell’autorità amministrativa non sarebbe sufficiente per ravvisare la buona fede dell’imputato, ritenuta in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, secondo cui la buona fede acquista giuridica rilevanza nei reati contravvenzionali se si traduce, a causa di un elemento positivo estraneo all’agente (l’inerzia appunto dell’autorità amministrativa), in uno stato soggettivo che esclude anche la colpa, evidenziandosi a tal fine che più volte l’imputato si sarebbe recato presso il comando di Polizia Municipale per conoscere le prescrizioni necessarie per lo svolgimento dei lavori, e che all’esito di un sopralluogo gli era stato significato, che trattandosi di area privata adibita ad uso pubblico non vi era la necessità di alcuna autorizzazione; e) la non configurabilità a carico dell’esecutore dei lavori, ma semmai a carico del committente, di un obbligo di osservanza delle prescrizioni in materia di sicurezza; f) l’eccessività della pena inflitta, la quale, anche a ragione del risarcimento del danno, andava contenuta nella misura prevista nel decreto penale di condanna opposto.

 

Considerato in diritto

 

1. – Le impugnazioni proposte nell’interesse di M. A e G. B. sono basate entrambe su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità ovvero infondati e vanno quindi rigettate.
1.1 – Infondata deve ritenersi, in primo luogo, l’affermazione della difesa del B. volta a negare la configurabilità “di una posizione di garanzia” a carico del predetto imputato, legale rappresentante dell’impresa esecutrice dei lavori ed utilizzatrice del mezzo meccanico ribaltatosi, non essendo costui il committente dei lavori.
Tale deduzione infatti, a prescindere dai profili di novità della questione sollevata, risulta comunque prospettata in termini assai generici, limitandosi il ricorrente ad evocare un precedente giurisprudenziale in tema di infortuni sul lavoro in un cantiere edile (Cass., sez. 3, sentenza n. 7209 del 25/01/2007, dep. 21/02/2007, Rv. 235882, imp. B.), nel quale per altro, si precisa soltanto che il committente (dei lavori) rimane il soggetto obbligato in via principale all’osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, ex art. 6, del D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, ma non si esclude affatto, nell’eventualità, pacificamente verificatasi nel caso in esame, di nomina di un responsabile dei lavori – inteso ex art. 2 del decreto, come soggetto incaricato dell’esecuzione dei lavori – la sussistenza di una responsabilità d i quest’ultimo.
1.2 – Quanto poi alle argomentazioni difensive svolte in entrambi i ricorsi, dirette a sostenere, nelle loro poliformi articolazioni, l’avvenuta collocazione di segnali atti ad impedire pericoli alle persone in transito o comunque l’adozione, da parte degli imputati, nelle loro rispettive qualità, di idonee cautele volte a scongiurare qualsiasi vulnus all’incolumità pubblica nonché la loro buona fede a fronte di un’asserita colpevole inerzia dell’autorità comunale, è agevole rilevare che la sentenza impugnata riporta gli elementi emersi a carico del ricorrente, valorizzando essenzialmente le dichiarazioni dal teste C. della Polizia Municipale, valuta adeguatamente la predetta deposizione anche con riferimento alle dichiarazioni di altri testi e puntualmente motiva sulla maggiore attendibilità del C. rispetto ai dipendenti della B., evidenziando come lo stesso fosse accorso sul posto nell’immediatezza dei fatti, segnalando come il cantiere non fosse delimitato in alcun modo con apposizione di reti, paletti; ha precisato, infine, come la segnalazione dei valori e l’interdizione al pubblico dell’accesso alla zona interessata non richiedesse alcuna autorizzazione, e che ove pure in tesi necessaria, l’asserita inerzia nel suo rilascio, non valeva in ogni caso ad escludere la responsabilità degli imputati, con ciò uniformandosi, per latro, implicitamente, ad un condivisibile principio di diritto affermato da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 425 del 01/12/1997, dep. 14/01/1998, Rv. 209436, imp. C.).
Orbene in presenza di un siffatto percorso motivazionale, adeguato e completo, non è compito del giudice di legittimità proceder ad una rivalutazione del compendio probatorio sulla base delle prospettazioni dei ricorrenti, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una “rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (…).
1.3. Infondati devono ritenersi, infine, anche i motivi di impugnazione prospettati in entrambi i ricorsi con riferimento al trattamento sanzionatorio, tenuto conto che l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata (€ 400,00 di ammenda) deve ritenersi sufficientemente osservato, “qualora il giudice dichiari di ritenere “adeguata”o “congrua” o “equa” la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto”, poiché la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen.” (in tal senso, ex multis Cass., Sez. 6, Sentenza n. 7251 del 24/5/1990, Rv. 184395), fermo restando per altro, il principio da tempo affermato da questa Corte, secondo cui in tema di giudizio conseguente ad opposizione a decreto penale, una volta avvenuta la revoca del decreto per la presentazione dello interesse, il giudicante “non è in alcun modo vincolato alla pena inflitta col provvedimento apposto, ma è libero di commisurarla al caso concreto in base alla migliore valutazione del fatto, sia in misura maggiore che in misura minore” (in tal senso si veda Sez. 1, Sentenza n. 443 dell’11/10/1985, dep. Il 16/01/1986, Rv. 171591, imp. B.).
2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alle spese del presente procedimento.

 

P.Q.M.

 

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
(omissis)

 

da Polnews

Lunedì, 19 Settembre 2011
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