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Corte di Cassazione 05/10/2011

Il patimento d'animo provato dalla vittima dell'incidente nella lucida consapevolezza dell'estrema gravità delle sue condizioni, può essere ricondotto nell'orbita del danno inteso nella sua nuova e più ampia accezione

(Cass. Civ., Sez.III, 20 settembre 2011, n. 19133)

(omissis)

 

IN FATTO

 

Il Tribunale di Busto Arsizio, decidendo sulla domanda proposta dai congiunti di E. T. – deceduto a seguito di un incidente avvenuto, nel gennaio del 1995, tra l’autovettura da lui condotta e quella appartenente a M. D. e guidata da D. L. – ritenne il pari concorso di colpa dei conducenti, e condannò il D., la L. e le G. A. s.p.a. a risarcire per quanto di ragione i danni subiti agli attori.
Le impugnazioni proposte hic et inde dalle parti del giudizio di primo grado furono decise dalla corte di appello di Milano nel senso:
- della conferma dell’affermazione di pari responsabilità tra i conducenti;
- della conferma del riconoscimento del danno non patrimoniale seguito da morte subito dalla vittima – non costando, nella specie, alcuna alterazione dello stato di coscienza di E. T. tale da impedirgli (pur nell’assai ristretto arco temporale di accertata sopravvivenza) di avvertire la estrema gravità delle proprie condizioni e patirne la conseguente, intensa sofferenza;
- della esclusione del riconosciuto risarcimento, in favore degli attori in prime cure, iure ha ereditario, di un preteso “danno alla vita” occorso al T. e liquidato in corrispondenza della voce massima di danno biologico in relazione alla durata media della vita stessa.
La sentenza è stata impugnata dagli eredi T. con ricorso per cassazione sorretto da due motivi.
Resiste con controricorso la compagnia assicuratrice.

 

IN DIRITTO

 

Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:
Dica la corte di cassazione se la corte di appello di Milano abbia violato o falsamente applicato gli artt. 2043, 2059 c.c. escludendo in capo al sig. T. il diritto al risarcimento del danno biologico patito dallo stesso in conseguenza del sinistro per cui è processo, con conseguente trasmissibilità diretta, iure haereditatis, in capo ai propri congiunti, non essendo stabilito, in linea generale, la durata cronologico-temporale della sopravvivenza perché possa essere ritenuta apprezzabile, ai fini del risarcimento del danno biologico patito, secondo l’orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto in seno alla corte di cassazione (da ultimo con statuizione n. 870 del 2008).
Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo del giudizio.
Il motivo, in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., si conclude con una sintesi del fatto rappresentato come decisivo e controverso del seguente tenore:
Dica la corte di cassazione se la corte di appello di Milano abbia errato nel ritenere insufficiente il lasso temporale tra l’evento lesivo, che ebbe a colpire T. E. in data 6.1.1995 alle ore 20.45, e l’esito mortale di cui lo stesso fu vittima in data 8.1.1995 alle ore 20.55, caratterizzato, oltretutto, dalla piena lucidità, dalla totale consapevolezza da parte dello stesso delle proprie condizioni cliniche, nonché dalla prognosi di guarigione formulata dai medici curanti, dimostrato per tabulas a mezzo delle dichiarazioni dallo stesso rese ai carabinieri e da questi ultimi riportate nel rapporto di incidente stradale.
Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate attesane la intrinseca connessione, sono entrambe prive di pregio.
Esse si infrangono, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il danno biologico cd. “terminale” (ovvero il danno da perdita della vita intesa come massima espressione del bene salute) non fosse in alcun modo risarcibile, in consonanza con la giurisprudenza ampiamente maggioritaria di questa corte regolatrice, che ha trovato definitiva e autorevole conferma nelle pronunce, rese a sezioni unite, dell’11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975 (e poi confermate dalla successiva giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nell’ambito della quale, di recente, la problematica del danno da perdita della vita è nuovamente affrontata e risolta funditus, in consonanza con il dictum delle ss. uu., da Cass. n. del 2011), predicative tout court e senza eccezioni del principio della irrisarcibilità del danno de quo.
Danno, va precisato, ontologicamente diverso da quello – correttamente e condivisibilmente liquidato dal giudice territoriale (ancora in consonanza con quanto affermato dalle sezioni unite di questa corte con le sentenze poc’anzi ricordate) -, cui mostra di far cenno il ricorrente nel secondo motivo – con evidenti quanto non consentite sovrapposizioni concettuali -, conseguente al patimento d’animo provato dalla vittima dell’incidente nella lucida consapevolezza dell’estrema gravità delle sue condizioni, vicenda emotiva che questa corte ha definitivamente ricondotto nell’orbita del danno morale (risarcibile e nella specie puntualmente risarcito) inteso nella sua nuova e più ampia accezione.
Il ricorso è pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue, giusta il principio della soccombenza, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi € 5200, di cui € 200 per spese generali.
(omissis)

 

da Polnews

Mercoledì, 05 Ottobre 2011
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