Teneva
in casa 81 pasticche di ecstasy. Accusato di detenzione a scopo
di spaccio di sostanze stupefacenti, è stato assolto
dal giudice, ma quello che più sorprende è la
formula adotatta: “perché il fatto non sussiste”.
La sorprendente sentenza, che per certi verso potrebbe
suscitare perplessità, stupore e non è escluso
qualche reazione, soprattutto da parte del pm Marzella - non
appena conoscerà le motivazioni della decisione, presenterà
appello - che aveva chiesto la condanna dell’imputato a
due anni e mezzo, è stata pronunciata l’altro giorno
dal gup Malvasi al termine di un’udienza con rito abbreviato.
Protagonista della vicenda processuale un artigiano modenese
di 29 anni che a fine novembre dello scorso anno, ha ospitato
nel suo appartamento un conoscente colpito da un provvedimento
di carcerazione. Ma questo forse l’artigiano non lo sapeva.
Lo ha imparato quando, rientrando a casa, ha incrociato il conoscente
che veniva accompagnato in carcere e i militari che perquisito
il suo appartamento, avevano trovato una busta con dentro 81
pasticche di ecstasy. Ovvio pensare da parte delle forze dell’ordine
che la “merce” appartenesse al conoscente dell’artigiano
che aveva precedenti specifici in materia. Invece, come ha poi
ammesso lo stesso artigiano, quelle 81 pasticche erano sue,
per uso personale o per essere consumate con gli amici durante
i rave party di fine settimana. Il magistrato non gli ha creduto
e così il giovane uomo si è beccato la denuncia
alla richiesta di rinvio a giudizio per detenzione a scopo di
spaccio di sostanze stupefacenti.
Poi l’altro giorno l’udienza davanti al gup
e il colpo di scena che ha portato all’assoluzione dell’artigiano
grazie alle prove a difesa raccolte dal suo legale, avv. Pier
Francesco Rossi. Non uno ma molti conoscenti e amici hanno,
infatti, spiegato che l’artigiano era solito consumare
l’ecstasy in compagnia degli amici, senza mai pretenderne
una contropartita per la cessione e che quindi “la detenzione
delle 81 pasticche - come ha spiegato il legale - era da ritenersi
per un successivo uso collettivo”. Per questo ha chiesto
l’assoluzione del suo assistito con formula piena. E tra
lo stupore dell’accusa, così è stato. L’artigiano
penalmente se l’è cavata grazie al pieno accoglimento
della tesi difensiva - che non ha riscontro nelle nostre aule
di giustizia - anche se dovrà pagare una sanzione amministrativa,
prevista giusto quando si detiene droga per “uso collettivo”.
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