Redazione del verbale di accertamento - contravvenzione nei confronti di un'altra persona - agenti indotti in errore - reato di calunnia
(omissis)
Motivi della decisione
1.- All’esito di giudizio abbreviato non subordinato ad integrazioni probatorie il g.u.p. del Tribunale di Savona, con sentenza resa il 23.5.2007, ha dichiarato F.M. colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186 co. 2 c.d.s. nel testo all’epoca vigente) e dei reati, avvinti da concorso formale, di calunnia e di sostituzione di persona aggravate per avere accusato, sapendolo innocente, tale G.G. dell’anzidetto reato ex art. 186 co. 2 c.d.s., fornendo agli agenti della polizia stradale che lo avevano controllato alla guida di un’autovettura, accertandone (in base a doppio esame alcolimetrico) lo stato ebbrezza alcolica, le generalità del G., suo conoscente, così traendo in inganno gli operanti e sostituendo indebitamente la sua persona a quella del G. allo scopo di procurarsi l’impunità dal reato di cui all’art. 186 co. 2 c.d.s. Fatti reato commessi a (omissis), per i quali il decidente g.u.p., concessegli le attenuanti generiche e computata la diminuente per il rito, ha condannato il F. alle pene di dieci giorni di arresto ed Euro 200,00 di ammenda per la contravvenzione e di un anno e quattro mesi di reclusione per i delitti di cui agli artt. 368 e 494 c.p.
Il decidente ha fondato il giudizio di colpevolezza del F. sull’avvenuta redazione di un verbale di accertamento della contravvenzione di guida in stato di ebbrezza a carico di G.G., persona le cui generalità sono state falsamente declinate dall’effettivo responsabile della contravvenzione, l’odierno imputato, non trovato in possesso della patente di guida e di altri documenti identificativi. Emergenze di fatto non messe in dubbio dal F. e tali da integrare i contestati delitti di calunnia e di sostituzione di persona, atteso che costui - nel fare il nome di una persona realmente esistente (e da lui conosciuta) anche dopo l’esecuzione della prova alcolimetrica che ne attestava l’eccedente assunzione di bevande alcoliche (stato di ebbrezza) - ha scientemente simulato a carico del conoscente (G.) "tracce di reato idonee a far sorgere il pericolo di esercizio dell’azione penale nei suoi confronti". Evento in concreto prodottosi, il verbale di accertamento-denuncia della polizia stradale essendo stato ritualmente trasmesso all’autorità giudiziaria e soltanto in seguito essendosi verificato che il G. doveva identificarsi nel F.
2.- Adita dall’impugnazione del F., la Corte di Appello di Genova con sentenza in data 13.7.2010 ha confermato in punto di responsabilità la decisione di condanna di primo grado, limitandosi a mitigare il trattamento sanzionatorio applicato all’appellante, cui ha riconosciuto la circostanza attenuante speciale prevista dall’art. 370 c.p. in ordine all’ascritto reato di calunnia, attesa la natura contravvenzionale del reato di guida in stato ebbrezza di cui il F. ha falsamente accusato, attribuendosi la sua identità, il conoscente G.. Per l’effetto la pena inflitta al F. per i due delitti contestatigli è stata ridotta ad un anno e due mesi di reclusione.
Nel merito dei fatti reato i giudici di secondo grado hanno considerato infondata la tesi difensiva dell’appellante. Tesi secondo cui non sarebbe configurabile nel suo contegno di autoattribuite false generalità di altro soggetto il reato di calunnia, perché egli avrebbe così agito al solo scopo di eludere la responsabilità per l’illecito amministrativo di guida senza patente ex art. 116 co. 13 c.d.s. (fatto non suscettibile di integrare il reato di calunnia) e di impedire così l’inevitabile fermo dell’autoveicolo. Condotta di dichiarate false generalità manifestata nell’immediatezza del controllo di p.g., non potendo egli in quel momento prefigurarsi che gli agenti lo avrebbero sottoposto all’esame etilometrico, di tal che in questa seconda fase dell’accertamento non avrebbe potuto "ritrattare" le precedenti false generalità, così accusandosi del reato di cui all’art. 495 c.p.. La sentenza di appello ha escluso che il contegno dell’imputato si sia inscritto nel legittimo esercizio del diritto di difesa scriminante la sua responsabilità penale per la falsa accusa di guida in stato di ebbrezza implicitamente mossa al G.. Quand’anche si ammetta che davvero il F. nel declinare subito alla polizia stradale false generalità abbia inteso eludere la propria responsabilità per la guida senza patente (sapendo essere il G. in possesso di regolare patente di guida), non è revocabile in dubbio - ragionano i giudici di appello - che all’atto della redazione del verbale di accertamento del suo conclamato stato di ebbrezza l’imputato avrebbe dovuto fornire alla p.g. le proprie vere generalità, essendogli ben chiaro che tale suo elusivo contegno, esorbitante dal normale esercizio del diritto di difesa, avrebbe determinato l’attribuzione di un illecito penale ad un soggetto diverso ed estraneo al reato di cui all’art. 186 co. 2 c.d.s.
3.- Avverso la sentenza di appello il difensore di F.M. ha proposto ricorso per cassazione, con cui deduce con unitario motivo di censura l’erronea applicazione dell’art. 368 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione. Censura articolata nei seguenti passaggi enunciativi.
La stessa Corte di Appello riconosce che l’imputato ha fornito agli agenti le false generalità del G. perché privo della patente, che G. invece possiede e che non è accusato -quindi- di alcun reato o illecito amministrativo. Ma contraddittoriamente la Corte assume che il F., quando gli si contesta il reato di guida in stato di ebbrezza, avrebbe dovuto fornire le proprie esatte generalità. Si tratta, però, di una condotta inesigibile e non conciliabile con il diritto di difesa dell’imputato, la cui omissione dichiarativa (sue vere generalità) non può integrare la materialità del reato di calunnia, né il corrispondente elemento soggettivo per il principio nemo tenetur se detegere.
Ove al momento della redazione del verbale di accertamento e contestazione del reato di cui all’art. 186 c.d.s. il F. avesse svelato le sue vere generalità, si sarebbe ipso iute autoaccusato del reato di false dichiarazioni sulla propria identità personale (art. 495 c.p.). Reato pacificamente commesso nella parte iniziale dell’intervento di p.g. ed il solo che può essere ravvisato nel suo contegno.
L’imputato ha fatto legittimo esercizio dello ius defendendi e la sua condotta omissiva non è scandita dalla volontà di accusare falsamente il G. del reato di cui all’art. 186 c.d.s.. Mero diritto di difesa, dunque, rispetto al quale F. non ha assunto alcuna specifica ulteriore iniziativa ricadente su terze persone. Sicché la redazione del verbale al (falso) nome del G. deve considerarsi una conseguenza non voluta e indiretta del comportamento autodifensivo dell’imputato, mosso da animus defendendi.
Con recente decisione, del resto, la Corte di Cassazione (sentenza n. 7031/10) ha riconosciuto che condotte assimilabili a quella del ricorrente e sottese all’esercizio del diritto di difesa dell’indagato o imputato non possono integrare il reato di calunnia.
4.- Il ricorso di F.M. va rigettato per la parte relativa alla addotta insussistenza del contestato reato di calunnia, sorretta da motivi di censura infondati sino a lambire i contorni della inammissibilità per carente specificazione delle ragioni di critica, in gran parte riproducenti i pur vagliati motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado.
Contestualmente va dichiarato improcedibile ex art. 129 co. 1 c.p.p., il reato contravvenzionale ex art. 186 co. 2 c.d.s., perché estinto per intervenuta prescrizione.
4.1. Per quel che concerne la calunnia ascritta al ricorrente, va subito rilevato, per esattezza storica, che la sentenza di appello non afferma che l’imputato ha fornito le false generalità del suo conoscente per difendersi dalla contestazione di guida senza patente. La Corte territoriale si limita, infatti, ad ipotizzare tale eventualità, tuttavia giudicandola ininfluente ai fini della valutazione della susseguente condotta dell’imputato, allorché è accertata la consumazione del reato di guida in stato di ebbrezza (ratificata con la compilazione del verbale di accertamento della p.g.), quale penalmente rilevante per gli effetti di cui all’art. 368 c.p.
4.2. Correttamente il contegno del F. che, inducendo in errore gli agenti della polizia stradale, innesca e consente la redazione del verbale di accertamento della contravvenzione nei confronti di un’altra persona è stato valutato scientemente produttivo (dolo generico) del reato di calunnia attenuato ex art. 370 c.p. in danno di G.G.
Senza chiamare in cause le problematiche connesse al generale obbligo dell’indagato di declinare le proprie esatte generalità (art. 66 c.p.p.), è agevole osservare che il comportamento in concreto tenuto dall’imputato esula del tutto da un legittimo esercizio del diritto di difesa. Il F., infatti, non si è limitato a contestare i fatti a lui personalmente attribuiti all’esito del controllo autoveicolare e personale di p.g. cui è stato sottoposto (anzi, a fronte della loro univoca oggettività, non se ne è in alcun modo curato), ma con la propria unitaria condotta commissiva (indicazione di false generalità) ed omissiva (omessa esternazione della sua vera identità personale) ha deliberatamente esposto l’esistente G., di cui si è falsamente attribuito le generalità, al concreto pericolo di essere sottoposto a procedimento penale.
Al riguardo va ricordato che, come si evince dalle due conformi sentenze di merito, la p.g. ha inviato alla competente Procura della Repubblica di Savona la comunicazione della notizia di reato ex art. 347 c.p.p., basata sulla accertata contravvenzione ex art. 186 c.d.s., al nome di G.G. e che soltanto a distanza di tempo e indipendentemente da un qualsiasi intervento del "vero" imputato si è potuto chiarire che questi doveva individuarsi nel F..
4.3. In altri termini - a prescindere dall’implausibile addotta imprevedibilità soggettiva della espletata prova alcolimetrica da parte di chi, come l’imputato, di certo sa di aver ingerito alcolici in quantità eccessiva- il ricorrente non si è mosso nell’ottica difensiva di respingere da sé stesso l’accusa del detto reato di cui all’art. 186 c.d.s., ma ha deliberatamente coinvolto un’altra persona, ben conoscendone l’innocenza, in una accusa specifica e circostanziata quale quella emergente dall’intervento svolto dalla polizia stradale nei suoi personali confronti.
Tale contegno dell’imputato ha in tutta evidenza trasceso il rigoroso rapporto funzionale tra la condotta e la confutazione dell’accusa in cui si sostanzia il legittimo esercizio dello ius defendendi, nel senso che questo non può che esprimersi nei limiti della strumentale funzione di contestazione dell’accusa. Diritto che, se pur si estende fino alla possibilità dell’indagato o imputato di mentire, non giunge sino al punto di consentirgli di accusare, in forma diretta o indiretta, persone che egli sa innocenti (cfr., ex multis, da ultimo: Cass. Sez. 2,14.10.2009 n. 2740/10, Zolli, rv. 246042).
4.4. Inconferente è il richiamo operato in ricorso ad una decisione di legittimità (Cass. Sez. 6, 27.11.2009 n. 7031/10, Marchio, non mass.), che accrediterebbe l’assunto difensivo dell’imputato, secondo cui condotte omologhe a quella contestatagli possono ritenersi scriminate dall’esercizio del diritto di difesa ai sensi dell’art. 51 c.p.. La sentenza in parola, infatti, ha ad oggetto un caso in cui - diversamente da quello che coinvolge il F. - l’autodifesa dell’imputato è strettamente circoscritta al fatto contestatogli con il porre in dubbio la veridicità degli accertamenti di p.g. compiuti nei suoi confronti.
Analoghe osservazioni possono formularsi, per completezza di analisi, in rapporto a talune altre decisioni di legittimità, che pure sembrano escludere la ravvisabilità del reato di calunnia nel comportamento dell’indagato che, fornendo false generalità agli ufficiali di p.g. operanti, si attribuisca l’identità di altra persona realmente esistente (v., per tutte: Cass. Sez. 6, 8.4.2010 n. 34696, Piaggio, rv. 248583).
Anche in queste decisioni la casistica è radicalmente diversa dalla situazione riguardante l’odierno ricorrente. Si tratta di decisioni che
attengono a casi di indagati o imputati in stato di arresto, cioè correttamente identificati come persone fisiche - a prescindere dalle loro esatte generalità- cui attribuire la commissione dei fatti reato contestati. Di guisa che in simili casi difetta in radice il pericolo che" si possa iniziare un procedimento penale" (art. 367 c.p., norma definitoria del canone modale integrativo della fattispecie di calunnia) nei confronti di una persona fisica diversa dal vero imputato e sicuramente estranea a quegli specifici fatti reato. Al contrario il caso messo in atto dal falso contegno dichiarativo sulle sue generalità del ricorrente F. si inscrive in una situazione affatto diversa, in cui è messa in discussione la stessa identità (rectius identificazione) della persona nei cui confronti si vanno svolgendo le indagini. Come chiariscono i giudici di merito, all’atto del suo controllo di p.g. il F. è privo (oltre che della patente di guida) di un qualsiasi documento identificativo e le sue generalità sono raccolte in base alle dichiarazioni dello stesso F., che callidamente fornisce esatte generalità e domicilio effettivo del G., dati anagrafici subito dopo verificati dalla p.g. come corretti. Tant’è che il pericolo di un procedimento penale a carico del G. diviene concreto e si avvera, dal momento che inizialmente è proprio il G. - e non il F. - ad essere denunciato all’autorità giudiziaria e ad essere iscritto nel registro delle notizie di reato, la falsità delle dichiarazioni del F. emergendo soltanto a seguito di altre indagini.
4.5. Il reato contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 co. 2 c.d.s., commesso il (omissis) è attinto da causa estintiva, essendo maturato il corrispondente termine massimo di prescrizione (artt. 157, 161 c.p.) - in rilevata assenza di cause sospensive - già in epoca anteriore alla pronuncia della impugnata sentenza di appello. Va quindi dichiarata, a norma dell’art. 129 c.p.p., l’intervenuta causa di estinzione del reato con connessa eliminazione della pena per esso inflitta (dieci giorni di arresto ed Euro 200,00 di ammenda).
Non va sottaciuto che la condotta di guida in stato di ebbrezza attualmente non è più prevista come reato, essendo stata depenalizzata per effetto della sua riqualificazione come illecito amministrativo operata con la L.
29.7.2010 n. 120, modificativa di più disposizioni del codice stradale.
Nondimeno la causa estintiva del reato (prescrizione) si è verificata in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione e prevale - per il principio del favor rei (art. 2 c.p.) - rispetto a questa seconda causa di proscioglimento, perché in concreto più favorevole della declaratoria che il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato, in virtù della quale la condotta antigiuridica rimane pur sempre perseguibile in sede amministrativa (v. Cass. Sez. 3, 25.10.1996 n. 10238, Cantagalli, rv. 206529).
È superfluo aggiungere che la predetta abolitio criminis, per l’avvenuta depenalizzazione del reato oggetto della falsa incolpazione (reato presupposto) integrante il delitto di calunnia ascritto al ricorrente, non dispiega effetti sulla configurabilità e sussistenza del medesimo delitto di calunnia. La falsa attribuzione di un fatto costituente reato integra un elemento materiale della fattispecie sanzionata dall’art. 368 c.p. e, come tale, non può che essere apprezzato in relazione al momento consumativo del reato di calunnia nella sua specifica connotazione di reato di pericolo contro l’amministrazione della giustizia. Le sopravvenute modifiche normative incidenti sulla qualificazione della condotta illecita presupposta (oggetto della falsa accusa rivolta a terzi) non possono, infatti, influire sulla configurabilità della fattispecie incriminatrice in nome del principio stabilito dall’art. 2 co. 4 c.p., avente latitudine applicativa e referenti diacronici affatto diversi (cfr., ex multis: Cass. Sez. 6, 8.4.2002 n. 14352/03, Bassetti, rv. 226425).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’imputazione di cui all’art. 186 del codice della strada perché il reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di giorni dieci di arresto ed Euro duecento di ammenda.
Rigetta nel resto il ricorso. (omissis)
da Polnews