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Articoli 15/11/2011

Tabella unica danno biologico: abbiamo legislatori peggiori di quanto meritiamo

Prime osservazioni sullo schema di decreto di attuazione dell’art. 139 cod. ass., in tema di liquidazione di danno biologico con esiti macropermanenti.

Sommario:

1. Lo schema di decreto
2. I problemi posti dall’art. 138 cod. ass.
3. I profili problematici dello schema di decreto
3.1. Sotto il profilo medico legale
3.2. Sotto il profilo tecnico-giuridico
4. Questioni di diritto intertemporale


1. Lo schema di decreto

Il 3 agosto 2011 il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto ed i relativi allegati, destinati a diventare il d.P.R. di attuazione dell’art. 138 cod. ass..

Si tratta di un provvedimento normativo di stupefacente trascuratezza, pressappochismo e infingardaggine, tali da sconcertare anche il più benevolo degli interpreti.

Nei §§ seguenti proverò a spiegare il perché: prima tuttavia, è doveroso ricordare che nemmeno la norma delegante (l’art. 138 cod. ass.) costituiva un modello di perfezione, ed era quindi in qualche modo fisiologico che i difetti della madre si trasferissero al figlio.

Vediamo, dunque, quali fossero tali difetti.

2. I problemi posti dall’art. 138 cod. ass.

Come noto, l’art. 138 cod. ass. disciplina i criteri di liquidazione del danno biologico derivante da sinistri stradali causati da veicoli soggetti all’obbligo di assicurazione, quando abbiano causato postumi permanenti superiori al 10%, ed ha demandato a tal fine al governo la “predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica (...) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso”.

L’art. 138, comma 2, lettera (a), cod. ass. soggiunge che la tabella dei valori di punto deve fondarsi “sul sistema a punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità”.

Dunque il riferimento contenuto nell’art. 138, comma 1, cod. ass. alla tabella “comprensiva” dei coefficienti di variazione deve essere inteso nel senso che il governo dovrà stabilire sia il valore monetario del singolo punto di invalidità, sia il demoltiplicatore in base al quale ridurre il risarcimento in funzione dell’età. Analogamente, del resto, a quanto l’art. 139, comma 6, cod. ass. per i danni derivanti da lesioni micropermanenti.

L’art. 138, comma 2, lettera (c), cod. ass., precisa tuttavia che “il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi”. E’ prevedibile che questa previsione susciterà non poche discussioni.

La norma è scindibile in due proposizioni: la prima parte stabilisce come deve variare il valore del punto, e cioè deve crescere al crescere del grado di invalidità permanente. La seconda parte stabilisce invece quanto debba crescere il valore del punto, e cioè in misura più che proporzionale rispetto al grado di invalidità permanente. Se il soggetto delle due disposizioni fosse il medesimo, la norma non farebbe che ricalcare i criteri già adottati e largamente invalsi nel diritto vivente.

Ma così non è, perché mentre la prima parte della norma stabilisce che è “il valore economico del punto” a dover crescere con l’aumentare dell’invalidità, la seconda parte afferma che è solo “l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali” a dovere aumentare in misura più che proporzionale.

Questa infelice formulazione della norma pone all’interprete tre gravi problemi.

Il primo problema è che la norma in esame sembra riproporre la distinzione, un tempo prospettata in dottrina, ma oggi definitivamente abbandonata, della distinzione tra danno biologico “statico” (inteso quale lesione dell’integrità psicofisica in se e per sé considerata, a prescindere dalle conseguenze che essa ha prodotto sulla vita della vittima), e danno biologico “dinamico” (inteso quale differenza peggiorativa tra le abitudini di vita della vittima prima e dopo il sinistro. Questa distinzione è stata da tempo superata dalla S.C., la quale non concepisce la risarcibilità di un danno alla salute che non abbia incidenza effettiva e concreta nella vita della vittima.

Il secondo problema è che la lettera (c) del comma 2 dell’art. 138 si pone in contrasto con la definizione di “danno biologico” contenuta nella lettera (a). In quest’ultima, infatti, l’incidenza sui cc.dd. “aspetti dinamico-relazionali” della persona lesa costituisce un elemento indefettibile della fattispecie “danno biologico”: ove mancasse, quest’ultimo non sarebbe configurabile. Nella lettera (c), invece, si afferma che la suddetta incidenza costituisce solo un fattore di variazione del valore del punto, come se in astratto potesse ammettersi un danno biologico che non incida sugli aspetti “dinamico-relazionali".

Il terzo problema posto dalla disposizione in esame è di natura tecnica. Per realizzare concretamente la tabella delle invalidità secondo le indicazioni dell’art. 138 cod. ass., occorrerebbe frazionare il valore del singolo punto di invalidità un due componenti (una relativa alla lesione in sé, l’altra agli aspetti dinamico-relazionali di essa). Ammesso che ciò fosse possibile da un punto di vista concettuale, occorrerebbe poi prevedere due diverse funzioni di variazione di tali valori: il primo non si saprebbe in che misura dovrebbe variare col variare dell’invalidità (e quindi in teoria potrebbe anche restare invariato); il secondo invece dovrebbe aumentare in misura più che proporzionale. Così, per fare un esempio, ad applicare ad litteram il precetto normativo, si dovrebbe:

(a) stabilire - poniamo - che il valore del punto di invalidità per una menomazione dell’1% in un soggetto di 1 anno sia 100, e che di questi 100 solo 40 ristorino la lesione in sé, mentre i restanti 60 ristorino le conseguenze “dinamico-relazionali” di essa;

(b) stabilire non solo “come”, ma anche “se” debba crescere la prima frazione del valore di punto;

(c) far crescere in misura più che proporzionale la seconda frazione del valore di punto.

Il governo potrebbe dunque adottare, sulla base della legge delega, le soluzioni più diverse: far crescere la frazione statica meno di quella dinamica, farla crescere in modo identico, farla restare invariata. Gli esiti concreti sul piano del quantum potrebbero essere diversissimi, con scarti anche del 25% tra l’una e l’altra ipotesi, come risulta dalla simulazione che segue.
 

 

La evidente assurdità di una simile conclusione induce forzare per via interpretativa il testo normativo, e ritenere che l’art. 138, comma 2, lettera (c), cod. ass. vada inteso nel senso che il valore del punto di invalidità non debba e non possa essere scisso in due “frazioni”, ma debba crescere in modo uniforme col variare del grado di invalidità.

Alla lettera (d) del citato art. 138, la legge stabilisce poi che “il valore economico del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale”: e qui le mie gote non si soffondono di rossore nell’affermare che l’ignoto concierge governativo che ha vergato tali righe evidentemente non sapeva nemmeno di cosa stesse parlando.

Iniziamo col rilevare che la previsione è inutile, dal momento che già il comma 1 dello stesso articolo prevedeva che il valore del punto dovesse variare in funzione dell’età della vittima. Non è poi chiaro cosa c’entrino le statistiche mortuarie col valore del punto di invalidità. Ricordiamolo brevemente: il coefficiente demoltiplicatore consiste in un numero decimale per ogni anno di età della vittima al momento del sinistro. Così, se il coefficiente è 0,5 per anno, il coefficiente di abbattimento sarà pari al 20% per un quarantenne, quale che sia la durata della vita media. Che le speranze di vita della vittima fossero di 100 oppure di 1 anno, l’entità del coefficiente di abbattimento non cambia.

Dunque l’unico senso che potrebbe avere la previsione normativa è che non già il criterio di variazione del valore di punto, ma la misura di esso debba essere desunta dalle statistiche mortuarie: così, ad es., il governo potrebbe stabilire che il valore del punto di invalidità debba ridursi in misura dello 0,2, piuttosto che dello 0,5, per ogni anno di età della vittima. Ma se così è, la previsione è come se non ci fosse, giacché non pone nessun serio vincolo al legislatore delegato. Dire che il coefficiente di variazione deve variare “sulla base” delle tavole di mortalità equivale a dire che esso deve variare tout court, giacché non si stabilisce la misura minima e massima di tale variazione, la quale costituiva l’unico vero dato rilevante che si sarebbe dovuto imporre per legge. Così, ad es., per un novantacinquenne potrebbe essere previsto un abbattimento del 95% del risarcimento, oppure del 20 o del 5%, e ciascuna di tali previsioni sarebbe astrattamente conforme al dettato di cui all’art. 138 lettera (d) cod. ass..

Non meno sorprendente è la previsione secondo cui il valore economico del punto è “funzione decrescente dell’età della vittima (...) al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale”.

Iniziamo col rilevare che un coefficiente non si rivaluta né può essere soggetto a rivalutazione, né tampoco si può rivalutare una funzione matematica. Ma a parte ciò, si ha la netta impressione che qui il legislatore abbia confuso il c.d. coefficiente di riduzione con i coefficienti per la costituzione delle rendite immediate. Ricordiamo brevemente concetti che dovrebbero essere noti a chi pretende di legiferare in materia.

Il coefficiente di riduzione del valore di punto in funzione dell’età è un mero moltiplicatore: cioè un valore che restituisce l’importo del risarcimento rapportato alla speranza di vita futura della vittima. Esso non restituisce un valore futuro che occorre attualizzare; il valore monetario del punto di invalidità è già espresso in moneta attuale, e tale valore non viene certo determinato attraverso operazioni statistico-attuariali.

La necessità di stabilire un saggio di interesse potrebbe in teoria sussistere solo per la costruzione di una tabella di “coefficienti per la costituzione di rendite vitalizie”, cioè di valori i quali restituiscono il valore attuale di una rendita di n euro pagabile per tutta la vita del beneficiario.

Ma, come già detto, la determinazione del valore del punto di invalidità non è una operazione di capitalizzazione, e comunque men che meno costituisce una capitalizzazione la riduzione del risarcimento in funzione dell’età. Sicché, concludendo:

•la determinazione del demoltiplicatore del valore di punto in funzione dell’età non è un’operazione di capitalizzazione, né di attualizzazione;
•la determinazione del demoltiplicatore del valore di punto in funzione dell’età non richiede nessuna opera di rivalutazione;
•di conseguenza, essa non richiede la fissazione di alcun saggio di interesse.

Ove si condividano le premesse e le conclusioni che precedono, non appare azzardato concludere che l’art. 138, comma 2, lettera (d) cod. ass. costituisce poco più che parole in libertà.

In ogni caso, ammesso che menti illuminate riescano ad intravedere un senso nella disposizione in esame, resta ancora da considerare che:
 

(a) il saggio legale varia con cadenza quasi annuale, e non è dato comprendere perché mai l’entità del risarcimento debba variare in funzione del momento in cui si è verificato il sinistro, a parità di lesioni e di età della vittima;

(b) non è dato comprendere perché mai l’agganciamento del demoltiplicatore alle tavole di mortalità non debba valere per le lesioni micropermanenti.

3. I profili problematici dello schema di decreto.

E’ agevole prevedere che l’eventuale approvazione definitiva dello schema di decreto attuativo dell’art. 139 cod. ass. solleverà molti più problemi di quanti non ne abbia risolti.

Ciò sia sotto il profilo medico legale, sia sotto il profilo della quantificazione del risarcimento.

3.1. Sotto il profilo medico legale

Lo schema di decreto, come accennato, reca in allegato due tabelle: una contenente lo sviluppo del valore monetario del punto d’invalidità (Allegato III), l’altra il valore percentuale associato a ciascun tipo di invalidità (Allegato II).

Quest’ultima tabella presenta sotto il profilo medico legale almeno tre mende:

    (a) è incompleta;

    (b) è generica;

    (c) non è del tutto coerente con la legge delega.

La tabella di cui si discorre è innanzitutto incompleta, sotto due aspetti: l’esiguità delle voci previste e l’assenza totale di indicazioni su questioni rilevantissime nella valutazione medico legale del danno biologico, quali la determinazione del grado di invalidità permanente a fronte di preesistenze o di lesioni plurime monocrone.

La tabella prevede infatti solo 156 “voci” corrispondenti ad altrettante invalidità permanenti: troppo poche, ove si ponga mente all’infinito numero di patologie che possono lasciare postumi superiori al 10%. Si consideri, a mo’ d’esempio, che la tabella contenente le voci di invalidità utilizzata dall’Inail per l’indennizzo del danno biologico derivante da infortuni sul lavoro (d.m. 12 luglio 2000) prevede ben 387 voci di invalidità, e che uno dei più recenti ed autorevoli baréme medico legali italiani ne prevede oltre 400[1].

Non meno biasimevole è la superficialità con la quale la nota introduttiva alla tabella (Allegato I al decreto) liquida la complessa questione delle lesioni plurime e delle preesistenze: vi si legge infatti che “nel caso in cui gli esiti permanenti di un'unica lesione possono [sic] essere rappresentati da più voci tabellate o in caso di danno permanente da lesioni plurime monocrone (...), non si dovrà procedere alla valutazione con il criterio della semplice sommatoria delle percentuali previste per le varie strutture del distretto colpito o per il singolo organo od apparato, bensì alla valutazione complessiva che avrà come riferimento l'inquadramento tabellare dei singoli danni e la globale incidenza sulla integrità psico-fisica della persona. Nella valutazione medico-legale di lesioni plurime monocrone si terrà conto, di volta in volta, della maggiore o minore incidenza di danni fra loro concorrenti”.

A parte l’uso disinvolto del congiuntivo, il testo che precede lascia di fatto al medico legale una sconfinata libertà di valutare le lesioni monocrone e le preesistenze. Detto, infatti, che le singole invalidità tra loro non si sommano, resta irrisolto il problema di come le si debba computare.

Sia il ristretto numero di voci, sia il sostanziale silenzio sui criteri di valutazione delle lesioni plurime avranno come effetto di aumentare la discrezionalità del medico legale chiamato alla valutazione del danno e, specularmente, di ridurre la prevedibilità delle decisioni e quindi di aumentare il contenzioso.

Oltre che incompleta, la tabella allo schema di decreto attuativo dell’art. 138 cod. ass. è poi generica. Per alcune voci infatti si prevede un raggio amplissimo tra l’invalidità minima e la massima: così, ad esempio, per la sindrome prefrontale organica di tipo medio-grave la tabella prevede una invalidità compresa tra il 21 ed il 50%. Ciò vuol dire che se il danno è stato patito da un giovane di vent’anni, il risarcimento potrà oscillare tra 44.090,96 e 203.276,51 euro!

Nella nota illustrativa allegata sub I allo schema di decreto questi enormi divari (quello di cui si è dato conto non è affatto isolato) col fatto che molte patologie possono assumere forme assai diverse tra loro, variabili da persona a persona, e che solo una “forchetta” assai ampia poteva giustificare una adeguata valutazione personalizzata dell’invalidità permanente.

Una simile giustificazione tuttavia lascia alquanto stupefatti: sia perché la personalizzazione del risarcimento è opera del giudice e non del medico legale, e riguarda il quantum del risarcimento e non il grado di invalidità permanente; sia - soprattutto - perché nulla avrebbe impedito, anche per le patologie caratterizzate da un maggior grado di soggettività, di descrivere in tabella i vari comizi sintomatici che le accompagnano più di frequente, e dividere così una voce in tante sottovoci a ciascuna delle quali assegnare un grado preciso di invalidità permanente, ovvero un range di valori ristretto.

Per contro, prevedere una tabella medico legale nella quale si dica che la patologia “x” può comportare una invalidità dal 20 al 50% è operazione che non serve a nessuno:

non serve al medico legale, perché non gli dà alcun valido strumento di valutazione;
non serve al giudice, che dinanzi ad una discrezionalità così ampia non potrà seriamente controllare l’operato dell’ausiliario;
non serve nemmeno alle parti, le quali non potranno formulare ex ante alcuna ragionevole previsione sulla misura del risarcimento.

Infine, la tabella di cui si discorre appare non del tutto coerente con la legge delega, sotto due aspetti.

Il primo è rappresentato da quanto si dice nel § “criteri applicativi” della note illustrative Allegate sub I al decreto in parola. Ivi si legge che quando il danno biologico incide su particolari aspetti della vita di relazione della vittima, la relativa incidenza va formulata “con equo e motivato apprezzamento da parte del medico valutatore”. Trattasi anche in questo caso di una previsione che sembra non tenere conto del fatto che la personalizzazione del risarcimento è ufficio eminente del giudice, non del medico legale, e che spetta al primo e non al secondo stabilire se ed in che misura il risarcimento standard debba essere aumentato, e sempre iuxta alligata et probata.

Il secondo è rappresentato da quanto si dice nel § “Revisione della tabella”, l’ultimo della nota illustrativa Allegata sub I al decreto in parola. Ivi si legge che “saranno disposte revisioni periodiche della tabella anche sulla base di ulteriori acquisizioni scientifiche e della dottrina”. Ora, la possibilità per il governo di modificare un regolamento amministrativo delegato esige anch’essa una delega: delega della quale non v’è traccia nell’art. 138 cod. ass.. Il comma 4 di tale norma prevede infatti l’aggiornamento della sola “tabella unica nazionale” (cioè dell’importo del risarcimento) secondo l’indice ISTAT del costo della vita, ma non prevede alcuna delega per l’aggiornamento anche della tabella delle invalidità.

3.2. Sotto il profilo tecnico-giuridico

Anche sul piano strettamente tecnico-giuridico lo schema di decreto attuativo presenta, a parer mio, tre grosse mende.

La prima è che la funzione algebrica di crescita del valore monetario del punto d’invalidità era stata ricavata, così come indicato nella relazione introduttiva, per estrapolazione dal valore di punto stabilito dalla legge per la liquidazione delle micropermanenti, e ciò al fine di “evitare che, al passaggio fra gradi di invalidità dal 9% al 10% si concentri una eccessiva differenza economica” (Allegato III alla bozza di d.p.r., p. 1).

Tale opinione tuttavia appare in contrasto con le acquisizioni di autorevoli esponenti del mondo scientifico, sino ad oggi mai seriamente smentite da alcuno, concordi nel ritenere che il valore del punto d’invalidità, per i casi di c.d. “micropermanenti”, debba crescere secondo una funzione diversa e più progressiva rispetto a quella prevista per le macropermanenti, in ossequio alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza[2].

La seconda menda della bozza di tabella è che essa prevede un duplice abbattimento del valore del punto in funzione dell’età: il primo in ragione dello 0,5% per ogni anno di età della vittima successivo al 10° (analogamente a quanto previsto dall’art. 139 cod. ass. per l’ipotesi di micropermanenti); il secondo, diverso per maschi e femmine, in funzione della speranza media di vita futura della vittima, desunta dalle tavole di mortalità elaborate dall’Istat.

Le due previsioni di cui si è appena detto (funzione di crescita identica per micro e macropermanenti; e soprattutto il doppio abbattimento in funzione dell’età, che non pare affatto consentito dall’art. 138 cod. ass.) hanno fatto sì che il risultato finale è stato una tabella notevolmente riduttiva rispetto ai valori applicati in precedenza dalla maggior parte degli uffici giudiziari, come risulta dalla tabella che segue, fondata sui criteri adottati dai tribunali di Roma e Milano, soprattutto per i danni di maggiore gravità.

 


 

La terza pecca del d.P.R. 3.8.2011 è un vero e proprio errore, e per di più assai grave.

Risulta dalla nota introduttiva alla tabella del valore del punto, all. sub III al decreto in questione, che il valore base del punto di invalidità posto a fondamento della tabella è pari ad euro 674,78.

Tale valore è sensibilmente inferiore a quello del punto-base per la liquidazione delle invalidità fino al 9%, attualmente pari ad euro 759,04 in virtù del d.m. 17 giugno 2011.

La spiegazione di questa antinomia è dovuta al fatto che il Governo, nell’approvare il testo del decreto concernente il risarcimento dei danni dal 10 al 100%, non ha fatto altro che riesumare la bozza predisposta dal ministero della salute sin dal 2006, senza mutarne nemmeno una virgola, nonostante il valore monetario del punto di invalidità per le micropermanenti dal 2006 sia stato annualmente aggiornato. Al momento della redazione del presente scritto, come accennato, il testo del decreto di cui si discorre non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ed è pertanto auspicabile che prima di allora il governo si avveda dell’autentico infortuni0o in cui è incorso e provveda al “riallineamento” delle due tabelle, quella per le micro- e quella per le macroinvalidità.

Ove ciò non dovesse accadere, il nuovo decreto sui risarcimenti per le macroinvalidità nascerebbe già viziato da un ulteriore vizio: la violazione dell’art. 138, comma 4, cod. ass., il quale imponeva al legislatore delegato di provvedere all’aggiornamento periodico del valore del punto d’invalidità. Ovviamente, poiché il decreto in questione costituisce un atto normativo di secondo grado, tale vizio non obbligherà il giudice a sollevare un incidente di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 77 cost., ma lo legittimerà a provvedere alla sua disapplicazione, ai sensi dell’art. 4 della L. 22 marzo 1865, n. 2248.

4. Questioni di diritto intertemporale

Potrebbe dubitarsi se il decreto attuativo dell’art. 138 cod. ass., una volta entrato in vigore, sia applicabile solo ai sinistri avvenuti dopo tale momento.

La questione è di agevole soluzione: è infatti risalente e pacifico il principio secondo cui il risarcimento deve avvenire con le regole vigenti al momento della aestimatio, a nulla rilevando l’epoca del danno. Tale principio è stato con riferimento alle più diverse fattispecie: ha ritenuto ad esempio, Cass., sez. un., 9 maggio 2001, imp. Caridi, in Dir. e giustizia, 2001, fasc. 25, 33, che nella liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione debba trovare applicazione il “massimale” vigente all’epoca della liquidazione, anche quando la custodia cautelare sia stata sofferta in epoca antecedente all’entrata in vigore di esso; oppure Cass., 20 agosto 1991, n. 8965, in Foro it. Rep. 1991, Danni civili, n. 141, secondo cui nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da riduzione della capacità di guadagno occorre possa a base del calcolo il reddito della vittima al momento della liquidazione, e non quello (minore) percepito al momento del sinistro.
 

 

di Marco Rossetti
da Altalex

 


Note:
 
[1] Ronchi, Mastroroberto e Genovese, Guida alla valutazione medico legale dell’invalidità permanente, Milano, 2009, 139 e ss..

[2] Comandé, Dalla ricerca alla prassi operativa nella liquidazione del danno alla salute, in Danno e resp., 1997, 9; Turchetti, Gli sviluppi dello studio sulla determinazione del valore monetario base del punto di invalidità, in Bargagna e Busnelli (a cura di), Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute, Padova, 1997, 171 e ss., ma specialmente 180-181.
 
 
 
 
 


 

Martedì, 15 Novembre 2011
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