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Articoli 21/02/2012

ORDINAMENTO DELLA POLIZIA MUNICIPALE
Spetta al Consiglio Comunale l’approvazione del Regolamento del Corpo: una sentenza del TAR Lazio dirime la questione della competenza ad emanare la delibera

di Ugo Terracciano
Foto di repertorio dalla rete

Nella gerarchia del Corpo di Polizia Municipale lui, ispettore superiore, si trovava in quarta posizione dopo il colonnello comandante e due suoi colleghi, pari di grado ma più anziani nel servizio.
Sono bastate quattro parole inserite dalla Giunta Comunale in una delibera di modifica al Regolamento del Corpo, però, e la sua posizione è fatalmente scivolata in basso per effetto della riqualificazione di ben ventuno suoi colleghi, parificati a lui nel grado ma ad egli sovra ordinati sempre per effetto dell’anzianità.


Insomma, se il giorno prima coordinava, controllava e magari rimproverava, il giorno dopo, “volta la carta”, si era ritrovato in subordine oggetto lui stesso di coordinamento e controllo. Dicendola alla Zygmunt Bauman, anche le cose della pubblica amministrazione sono oramai diventate assai “liquide”.
Paradosso di un sistema gerarchico? Forse sarebbe più corretto parlare di fragilità di un ordinamento (quello della polizia locale), formalmente rigido ma nei fatti malleabile, se non sempre più duttile alle istanze politico-amministrative del momento (nel bene come nel male). Così, organismi dotati di poteri di polizia – i Corpi di Polizia Locale, appunto - possono vedere modificata non solo la catena di comando, ma addirittura la struttura organizzativa con una procedura rapida e priva di qualsiasi controllo di legittimità esterno.
Incominciamo col dire che lui, l’ispettore superiore di un Corpo di Polizia Locale del Lazio, ha fatto ricorso al TAR e lo ha anche vinto. Ma quello che questa vicenda ci ripropone è la debolezza di un sistema che oggi ingloba complessivamente in Italia più di sessantamila addetti, in gran parte armati e dotati di poteri di sanzione, prevenzione e repressione dei reati. Un sistema che, peraltro, ha fatto il suo ingresso dirompente nelle moderne strategie di sicurezza urbana nell’ambito delle quali si è ritagliato un posto di tutto rispetto.


La collocazione del ricorrente nella piramide organizzativa, si inseriva sulla seconda fascia, quella degli Ispettori Superiori (qualifica la cui denominazione è stata evidentemente mutuata dall’ordinamento della Polizia di Stato); poi in subordine venivano 39 istruttori di vigilanza con il grado di agente, sovrintendente, ispettore e ispettore principale.
Purtroppo però, una volta esecutiva la decisione della Giunta, la posizione del ricorrente era  scivolata giù, il che si traduceva in una mortificazione professionale, se considerata sul piano individuale, ma anche in una pericolosa incertezza nella catena di comando, se considerata in termini organizzativi. Chiediamoci quanto rigore ci potrà essere nella funzione di controllo gerarchico, laddove l’ordinamento stesso può essere sovvertito da un giorno all’altro.
Il ricorso era diretto a caducare la delibera con cui la giunta comunale – modificando l’articolo 25 del vigente regolamento del corpo di polizia municipale – aveva disposto di conferire: a) il grado di ispettore superiore agli istruttori di vigilanza C5 con almeno 20 anni di servizio (a fronte di una precedente normativa che prevedeva il conferimento del grado in questione agli ispettori principali con almeno 5 anni di permanenza in quest’ultimo grado); b) il grado di ispettore principale agli istruttori di vigilanza C4 con 5 anni di permanenza nel grado di ispettore; c) il grado di ispettore agli istruttori di vigilanza C4 con almeno 15 anni di servizio complessivo nell’area di vigilanza.


Attenzione, però che la modifica non riguardava la posizione economica dei beneficiari, ma solamente il loro stato giuridico relativamente alla gerarchia interna.
Alle doglianze dell’ispettore superiore il Comune, costituendosi in giudizio, aveva risposto semplicemente, senza pathos che le notifiche giudiziarie erano errate. Infatti, invece di notificare il ricorso “a mani proprie”, il ricorrente aveva indirizzato tutte le raccomandate al Comando, ove i suoi colleghi si sarebbero giocoforza recati e quindi sicuramente raggiunti dal piego chiuso.
Per fortuna, però, in caso di impugnazione di atti regolamentari o di atti generali, non sono configurabili controinteressati in senso formale ma solo in senso sostanziale; così anche quando siano individuabili i soggetti aventi un interesse alla conservazione degli effetti dell’atto, il ricorso non deve essere necessariamente notificato (Consiglio di Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3717), fermo restando la legittimazione degli stessi ad intervenire nel processo.
La questione in causa, tuttavia, era un’altra e ruotava intorno ad un problema per nulla secondario di competenze. La domanda è: l’approvazione e di conseguenza la modificazione del regolamento del Corpo di Polizia municipale spetta alla Giunta Comunale (o provinciale)?
Sembrerà strano, ma la questione è controversa, il che significa in termini pratici che ogni Comune fa come crede.


Ci sono Enti che considerano il regolamento di Organizzazione del Corpo come un’appendice del Regolamento di Organizzazione Generale, altri che ritengono che il valore esterno delle decisioni sull’assetto della Polizia Municipale impongono un confronto nel Consiglio Comunale (o provinciale).
Secondo il TAR Lazio (Latina Sez.I sent. 16/9/2011, n. 706) la competenza all’approvazione del regolamento disciplinante il servizio di polizia municipale, previsto dall’articolo 4 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (e per il Lazio dall’articolo 12 della legge regionale 13 gennaio 2005, n. 1), non può che appartenere al Consiglio. Le ragioni sono presto dette. Innanzitutto, in via  generale la competenza all’approvazione dei regolamenti è attribuita ai consigli dall’articolo 42, comma 2, lett. a), del d.lg. 17 agosto 2000, n. 267. In secondo luogo il regolamento del servizio di polizia locale è un regolamento diverso dal regolamento degli uffici e dei servizi la competenza all’approvazione del quale è riservata alla giunta (dagli articoli 42, comma 2, lett. a), e 48, comma 3 TUEL). Tutto chiaro? Bene, nel 2002, il T.A.R. Campania (Napoli Sez. V, sent. 28 settembre 2002, n. 5869) aveva detto l’esatto contrario, stabilendo che la “delibera di giunta” che ponga l'ufficio di polizia municipale all'interno della I area/servizio affari generali ha il contenuto di un regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi e rientra pertanto nella competenza della giunta, ai sensi dell'art. 48 comma 3, d.lg. n. 267 del 2000. Giusta la competenza della Giunta – concludeva lo stesso TAR Campania – anche se è illegittimo che tale delibera ponesse il Corpo alle dipendenze di un dirigente sovraordinato, piuttosto che del Sindaco o Assessore delegato.


Non si tratta solo della solita disquisizione formale, intendiamoci: in consiglio Comunale si svolge un confronto tra maggioranza ed opposizione e soprattutto la decisione finale è assunta (anche se a maggioranza) a nome della municipalità tutta. La giunta, invece, rappresenta solo una parte politica (sia pure legittimata a governare la città).
Storicamente è stato sempre così: per esempio nel 1861, durò ben un anno il lungo dibattito che condusse alla formalizzazione del primo "Regolamento organico delle Guardie Municipali di Bologna". Esso rifletteva tutto il travaglio dei primi due anni di vita del Comune bolognese e dei dibattiti pubblici e privati, che in quegli anni erano stati fatti sul tema della pubblica sicurezza e del decoro cittadino. Ma le incertezze sulla competenza a deliberare il regolamento esistevano anche allora, tanto è vero che a Milano il 21 giugno 1860 fu una delibera della Giunta Municipale, guidata dal Sindaco Antonio Beretta, a decidere la costituzione di un gruppo di 50 sorveglianti cui affidare il compito di vigilare sulle strade della città. Nel 1898, i Vigili milanesi divenuti più numerosi, mantennero il regolamento ma cambiarono la divisa: al posto del cilindro indossavano un elmo di panno nero di sughero, ritenuto erroneamente di metallo, e da qui l’appellativo di Ghisa con cui sono conosciuti ancora oggi.
Insomma, la questione della Polizia locale e della strutturazione dei Corpi, la loro collocazione organizzativa negli Enti di rispettiva appartenenza, la loro direzione, il modello gerarchico disegnato sul tipo “militare” o simile agli ordinamenti di polizia dello Stato, le attribuzioni, la separazione tra indirizzo politico e gestionale, sono questioni aperte che solo una legge di coordinamento più chiara e più adeguata ai tempi potrà risolvere. Di proposte, in parlamento ne giacciono tante. L’incertezza però regna ancora sovrana e, l’ispettore principale di un Corpo di polizia Municipale del basso Lazio ce l’ha ricordato con una bella sentenza uscendone vincitore.

Martedì, 21 Febbraio 2012
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