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Articoli 12/07/2004

Guida e stupefacenti: mancano gli indici normativi di responsabilità

Guida e stupefacenti: mancano
gli indici normativi di responsabilità

Michele Leoni*

Il sistema di rilevazione salivare del consumo di stupefacenti sperimentato dalla Polizia

Con ordinanza in data 13 marzo 2003 (G.U. 3.9.2003, prima serie speciale, n. 35), il giudice di pace di Bobbio ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in tema di guida sotto l’effetto di stupefacenti, che, a prima vista, pare già ampiamente dibattuta e superata, ma che, invece, presenta un profilo sottile, da non sottovalutare.
In estrema sintesi, il giudice ha lamentato la mancata previsione normativa di limiti di quantità delle sostanze, idonei a determinare, in via presuntiva, lo stato di alterazione, come invece stabilito per la guida in stato di ebbrezza da alcool. Da ciò ha tratto un rilievo di insufficiente determinazione della fattispecie penale.
Il remittente è partito dalla considerazione che il reato previsto dall’art. 187 del codice della strada è un reato di pericolo concreto, legato alla possibilità che un conducente versi in uno stato psico-fisico “non ottimale”. Ciò, al pari di quanto avviene per l’ipotesi regolata dall’art. 186 del codice della strada, ove, però, a differenza dell’ipotesi ex art. 187 del codice della strada, la norma si premura di indicare una soglia costitutiva dell’illiceità, quella del tasso alcolemico superiore a 0,5 mg/l (una vera e propria presunzione iuris et de iure). Il giudice, quindi, si è posto il problema della sufficiente determinatezza della fattispecie penale, chiedendosi, espressamente, “chi decide che il soggetto si trova in stato di alterazione psico-fisica? Quando si trova in stato di alterazione psico-fisica tale da determinare il pericolo di incidenti stradali?” Anzitutto, si è risposto, non si può, in questo caso, richiamare quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, anche in assenza di rilievi effettuati con l’etilometro, la responsabilità può essere fondata su fattori di comune esperienza quali la lentezza nei movimenti e nella parola o l’alitosi, perché questi sono indici idonei a far ritenere che sia stato superato il limite fissato dalla legge per il tasso alcolemico, il quale, quindi, resta sempre il dato in cui si sostanzia l’elemento oggettivo del reato. Perché eguale, corrispondente caratterizzazione dell’elemento oggettivo del reato, al contrario, manca nell’ipotesi di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
Il giudice di Bobbio ha anche operato un richiamo alla previsione normativa introdotta dal D. L.vo n. 9/2002, laddove si è modificato il secondo comma dell’art. 187 del codice della strada, stabilendo che gli accertamenti sanitari sui conducenti sospettati di trovarsi sotto l’influsso di stupefacenti (a cui gli organi di polizia devono ricorrere accompagnando gli interessati presso i presidi sanitari per prelievi) “sono effettuati con strumenti e modalità stabiliti dal regolamento, ai fini della determinazione delle quantità indicate in conformità delle previsioni dello stesso regolamento”. Facendo presente che tale regolamento non è ancora stato emanato, egli ha poi concluso adducendo anche la violazione del principio della riserva di legge in materia penale e quindi del principio di tassatività della norma penale, nonché la violazione del principio della responsabilità personale penale, in quanto il soggetto deve conoscere i limiti della condotta illecita e quindi i termini di una propria eventuale colpa (che, invece, non è dato conoscere con sicurezza in mancanza della statuizione di un parametro minimo di conclamata alterazione da assunzione di stupefacenti). La prima, preliminare osservazione che viene spontaneo fare è che quel vago rinvio agli “strumenti e modalità stabiliti dal regolamento, ai fini della determinazione delle quantità indicate in conformità delle previsioni dello stesso regolamento” (effettuato dal D. L.vo n. 9/2002), in ogni caso, è tutt’altro che tranquillizzante. Non si comprende, infatti, se con questo testo regolamentare verranno effettivamente fissati dei limiti (le “quantità indicate”) fisio-patologici di tolleranza di sostanze stupefacenti in relazione alla guida sulla strada. La formula è quanto mai fumosa. Anche se poi si trattasse di indicare dei dati “corporali”, resterebbe comunque una differenza dalla normativa che concerne la guida sotto l’effetto di alcolici, nel cui caso il tasso alcolemico da non superare viene indicato con norma legislativa (e quindi primaria), mentre per gli stupefacenti analoghi tassi verrebbero fissati con norma regolamentare (cioè secondaria, la quale, dunque, sarebbe una norma non penale integrativa di quella penale). Ossia, rimarrebbe in ogni caso una differenza non comprensibile sul piano della normazione. Non sarebbe più corretto indicare i limiti di tolleranza relativi agli stupefacenti in un allegato alla legge stessa (ossia, al codice della strada)?.
Ma, a parte questo risvolto (secondario), effettivamente non si vede perché, essendo tanto l’alcool che gli stupefacenti sostanze psicotrope, o psicoattive che dir si voglia, le varie fattispecie penali che riguardano la guida in stato di alterazione da tali sostanze non debbano essere enucleate con gli stessi elementi descrittivi e precettivi.
Posto che si possa, per uno stupefacente, far riferimento a valori del sangue, o del respiro, o dell’urina, o della saliva, o del sudore, o di qualsiasi altro referente corporeo o umorale, non si capisce per quale ragione non venga identificata una soglia presuntiva fondata su tali valori. Questa differenza si risolve, fra l’altro, in un altro, ulteriore profilo di diseguaglianza. Mentre infatti, per l’alcool, per giuste ragioni di prevenzione, viene superata qualsiasi rilevanza ascrivibile alla capacità di sopportazione del singolo (per cui la persona che, con un tasso alcolemico pari o anche superiore a 0,5 mg/l, si mantenga sobria, viene comunque sanzionata a prescindere), nel caso degli stupefacenti chi non risulta, per proprie soglie personali di tolleranza, “in condizione di alterazione fisica o psichica” non andrà perseguito, a differenza di chi avrà assunto una eguale quantità e non è invece in grado di tollerarla. In altri termini, se vi è allineamento e omologazione di tutti sul dato presuntivo normativo in fatto di alcool, domina invece la soggettivizzazione della responsabilità penale in relazione alla capacità di sopportazione del singolo, in fatto di stupefacenti. Lucidamente, su questo punto, la giurisprudenza di merito ha affermato che, in assenza di una determinazione legislativa del valore limite il cui superamento importi l’accertamento dello stato di alterazione psico-fisica, nessun valore probatorio può riconoscersi alle analisi dei campioni biologici da cui risulti la presenza di un certo quantitativo di cannabinoidi nel sangue e nelle urine dell’imputato, quando tale dato non risulti corroborato da una valutazione clinica del soggetto, ovvero da dati ricavati dal suo comportamento e sintomatici di uno stato di alterazione (Trib. Bassano del Grappa n. 220 del 17.12.1999, in Arch. giur. circ. sin. strad. 2001, 132). La Cassazione, peraltro, ha stabilito che lo stato di alterazione da stupefacenti debba essere accertato nei modi previsti dall’art. 187 comma 2 del codice della strada (ossia tramite prelievo di campioni biologici) e non desunto da elementi sintomatici esterni (come avviene nel caso di ebbrezza da alcool) (Cass. 7339/2003: men che meno, quindi, sulla base di circostanze del tutto estrinseche quali il ritrovamento di sostanza nell’auto, le spontanee dichiarazioni di passeggeri, lo stato di “eccitazione” del conducente, come aveva invece ritenuto, ad esempio, il Pretore di Perugia con sentenza del 6.9.1999, in Arch. giur. circ. sin. strad. 1999, 999). E allora? Secondo un’interpretazione equanime, sembra che l’accertamento dello stato di alterazione da stupefacenti, oggi, debba discendere da una valutazione composita, che tenga conto dell’esame obiettivo e dei dati comportamentali del soggetto (recepiti, però, in una valutazione clinica, e non per come rilevati sulla strada dagli organi di polizia, accertamento che, a differenza di quanto avviene in caso di etilismo acuto, non ha alcuna incidenza), e della conferma della presenza della sostanza nel corpo, per come testimoniata dalla rilevazione dei relativi indici. Questo secondo accertamento, però, sembra solo complementare. Da solo, di sicuro, non dice nulla. Come si vede, vi sono differenze fra le due ipotesi di “alterazione” (da alcool e da stupefacenti), mentre l’uniformità, sul piano giuridico penale, davvero non guasterebbe.

* G.I.P. presso il Tribunale di Forlì.


Michele Leoni

Lunedì, 12 Luglio 2004
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