Cassazione : non è resistenza a pubblico ufficiale se protesta successiva ai fatti
Reclamare contro le Forze dell’Ordine in una situazione che appare quale sopraffazione gratuitamente violenta di un terzo individuo non costituisce resistenza a pubblico ufficiale, neppure se la protesta contro l’atto già compiuto è corposa.
L’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, per aver contestato verbalmente l’opportunità di ammanettare una giovane donna, asserendo che tale misura che le Forze dell’Ordine avevano posto in essere fosse del tutto sproporzionata in riferimento alla situazione quale appariva.
In primo grado, veniva riconosciuta l’attenuante di aver agito per particolari valori morali e sociali, connotando implicitamente l’intervento di finalità civica. La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Rileva la Suprema Corte che già nella sentenza impugnata – che ha annotato gli accertamenti di merito come emersi nel processo – l’imputato era intervenuto “dopo che gli agenti avevano provveduto ad ammanettare la giovane donna”.
A tale dato temporale – che già depone per l’insussistenza del fatto, atteso che il reato si configura con il dolo specifico di impedire il compimento di un atto da parte del pubblico ufficiale –, si aggiunge l’avvenuto riconoscimento delle attenuanti concesse, di talché se ne desume che l’intervento dell’imputato “fosse stato determinato da quella che, a un soggetto all’oscuro della situazione anteatta, doveva apparire una sopraffazione gratuitamente violenta in danno di una persona debole”.
Conclude la Corte affermando come la condotta dell’imputato non possa ritenersi sorretta da una “volontà di ostacolare un atto di ufficio, ma da quello di protestare, sia pure in maniera corposa, contro un atto già compiuto”.
di Annalisa Gasparre
* Coordinatrice della Commissione "Cassazione penale" dell'Osservatorio
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 02.02.2012, n. 4691
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
– Dott. AGRO’ Antonio Stefano - Presidente
- Dott. SERPICO Francesco - Consigliere
- Dott. MILO Nicola - Consigliere - Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere
- Dott. FAZIO Anna Maria - Consigliere
ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: P.F.; contro la sentenza 25 febbraio 2011 della Corte d’Appello di Palermo;
Udita la relazione del Presidente Dott. Antonio Stefano Agrò; Udito il P.G. RIELLO Luigi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. P.F., ritento responsabile di resistenza a pubblico ufficiale, ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe.
2. Deduce che con vizio di motivazione la sentenza ha ritenuto che egli si fosse attivato per impedire che venissero messe le manette alla Pe., laddove il suo intervento, successivo all’ammanettamento della giovane, era stato semplicemente verbale e diretto a contestare l'opportunità di una simile misura del tutto sproporzionata con riferimento alla situazione della giovane donna. E che tale sproporzione vi fosse e che il suo intervento avesse questa finalità civica era del resto dimostrato dal fatto che in primo grado gli era stata riconosciuta l'attenuante di aver agito per particolari valori morali e sociali.
3. Il ricorso è fondato. Si legge nella sentenza oggetto dell’impugnazione che il ricorrente intervenne dopo che gli agenti avevano provveduto ad ammanettare la giovane donna e va ritenuto, in ragione delle attenuanti riconosciutegli già in primo grado, che questo intervento fosse stato determinato da quella che, a un soggetto all’oscuro della situazione anteatta, doveva apparire una sopraffazione gratuitamente violenta in danno di una persona debole.
Ne deriva che la condotta del P. non può ritenersi sorretta da una volontà diretta ad ostacolare un atto di ufficio, ma da quella di protestare, sia pure in maniera corposa, contro un atto già compiuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2012. Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2012.
da osservatoriosullalegalita.org