Falso ideologico e abuso d'ufficio dell'agente di PM che abbia ritenuto sussistente una violazione per divieto di sosta in un luogo ove non esiste la necessaria segnaletica - deve essere valutato l'elemento soggettivo ma tale valutazione non spetta al GUP
(omissis)
Ritenuto in fatto
1. Il pubblico ministero presso il tribunale di Sala Consilina richiese il rinvio a giudizio di F. S. per i reati di cui agli artt. 81, 323 e 479 cod. pen. perché, in qualità di vigile urbano del Comune di Sapri, aveva elevato nei confronti di M. L. verbale di accertamento per violazione dell’art. 7, commi 1 e 14, del codice della strada, per aver lasciato in sosta il suo autoveicolo “nonostante il divieto imposto con segnaletica verticale…, mentre in realtà sulla via ove era stata parcheggiata l’auto non esisteva segnaletica di divieto di sosta, né verticale né orizzontale, abusando così del proprio ufficio, arrecando un danno ingiusto alla L. e formando un atto ideologicamente falso in quanto lo stesso faceva riferimento a un’inesistente segnaletica verticale di divieto di sosta”.
2. Il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Sala Consilina, in data 17 dicembre 2010, ha dichiarato non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato per insussistenza dell’elemento soggettivo, “costituito”, quanto al reato di cui all’art. 470 c.p., dalla consapevole e volontaria rappresentazione di circostanze non corrispondenti al vero e, quanto al reato di cui all’art. 323 c.p., dal dolo intenzionale di produrre un danno ingiusto a L. M.”.
Ha ritenuto il giudice che il verbale di accertamento elevato dalla S. “sia stato il frutto di un errore e non abbia dunque il carattere dell’intenzionalità”.
3. Contro la sentenza ricorre per cassazione il difensore della parte civile, che deduce violazione dell’art. 606.1 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 429, 125, 192 c.p.p. con riferimento agli artt. 323 e 479 c.p. e 38 e 146 Cds, censurando sia la regola di giudizio utilizzata dal giudice sia la motivazione apodittica e “avulsa rispetto al capo d’imputazione nel quale si contesta alla S. di avere illecitamente affermato la presenza (cioè l’esistenza) di segnaletica verticale (di divieto di sosta) laddove detta segnaletica era completamente assente”.
4. Il difensore della S. ha depositato una memoria volta alla declaratoria d’inammissibilità o, quanto meno, al rigetto del ricorso, assumendo, per un verso, che parte offesa nel delitto di cui all’art. 323 c.p. è soltanto la pubblica amministrazione e, per altro verso, che in ogni caso manca l’interesse ad impugnare la sentenza che, all’esito del’udienza preliminare, dichiara non luogo a procedere perché essa, trattandosi di sentenza non dibattimentale, non prelude l’azione civile.
Considerato in diritto
1. Disattendendo il contrario assunto difensivo dell’imputato, va innanzitutto affermata l’ammissibilità del ricorso, espressamente previsto dall’art. 428.2 cod. proc. pen., che attribuisce alla persona offesa costituita parte civile il potere di proporre ricorso per cassazione agli effetti penali avverso la sentenza di non luogo a procedere. E ciò in quanto sussiste l’interesse di tale soggetto alla repressione del fatto criminoso nella più accentuata tutela della posizione del titolare del bene leso dal reato rispetto al mero danneggiato (Cass. Sez. U, n. 25695/2008, P.C. in proc. D’Eramo).
2. Infondato è pure il rilievo che, nel procedimento per il reato di abuso d’ufficio, la parte offesa sia costituita soltanto dalla pubblica amministrazione, essendo invece pacifico che il reato di cui all’art. 323 cod. pen., così come modificato dalla legge 16 luglio 1997 n. 234, è un reato plurioffensivo, giacché che è idoneo a ledere, oltre all’interesse pubblico al buon andamento e dalla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale.
Ne consegue che il soggetto al quale tale condotta abbia arrecato un danno riveste la qualità di persona offesa dal reato, legittimato non solo a costituirsi parte civile quando il processo abbia inizio (diritto spettante anche al solo danneggiato), ma anche a proporre sia opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M. in applicazione degli artt. 409 e 410 cod. proc. pen. sia ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 428.2 c.p.p.
3. Il ricorso della L. è anche fondato.
Osserva il Collegio che, nonostante le modifiche via via apportate dal legislatore e dalla Corte costituzionale al codice di procedura penale, la natura dell’udienza preliminare resta prevalentemente processuale e non di merito e immutato rimane lo scopo cui l’udienza preliminare è preordinata: quello di evitare i dibattimenti inutili, non di accertare se l’imputato è colpevole o innocente.
Ne deriva che solo una prognosi d’inutilità del dibattimento relativa all’evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga a una valutazione d’innocenza dell’imputato – può condurre a una sentenza di non luogo a procedere.
Essenziale è perciò che, all’esito dell’udienza preliminare, emerga un quadro probatorio e valutativo ragionevolmente e motivatamente ritenuto immutabile. Non è possibile deliberare il non luogo a procedere in tutti quei casi nei quali esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa pervenire ad una diversa soluzione (…).
Nel caso in esame, il g.u.p. ha adottato una decisione tipicamente dibattimentale, esprimendo il suo convincimento, peraltro in maniera alquanto apodittica, sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato dovuto a soggettivo errore consistito nel ritenere esistente un divieto che invece era del tutto insussistente.
Come questa Corte ha già affermato, il giudice dell’udienza preliminare non è legittimato a valorizzare nell’ambito della pur necessaria indagine sull’elemento psicologico del reato, ipotetiche e incerte alternative concernenti l’effettiva direzione della volontà, né a operare scelte fra le molteplici soluzioni aperte, che sono riservate in via esclusiva al libero convincimento del giudice del dibattimento, in esito all’effettivo contraddittorio delle parti sulla prova (Cass. n. 2875/1997, P.G. in proc. Mocera).
4. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata, con rinvio per nuova deliberazione al tribunale di Sala Consilina.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Sala Consilina.
(omissis)
da Polnews