RASSEGNA STAMPA "ALCOL E GUIDA" Note
a cura di Alessandro Sbarbada |
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L’ADIGE |
TRENTO
– Un tour che si svolgerà tra dicembre e i primi mesi
del 2006 attraverso la realizzazione di una serie di serate a tema
con intrattenimenti di cabaret, di magia e musica accompagnate dalla
degustazione di cocktails analcolici e di altre bevande tutte rigorosamente
senza alcool. È questa la prerogativa di “Nonsoloalcool”
il particolare tour artistico analcolico che rientra nel progetto
M.A.P.P.A. (Miniori adolescenti promuovono progetti anti alcool) presentato
ieri mattina al Boscolo Grand Hotel Trento. |
REPUBBLICA
SALUTE |
COCAINA,
eroina e alcol danno una vera e propria dipendenza fisica, con sintomi
violenti in caso di improvvisa interruzione (sindrome d’astinenza). L’uso
abituale di cocaina, tutti i giorni e in dosi notevoli (che già
di per sé comporta dei rischi) dà una forte, qualche volta
fortissima, dipendenza psichica. Smettere improvvisamente provoca un "down",
depressione e malessere, uno stato di abbattimento che può durare
settimane. Altro caso quello dell’uso non quotidiano o modesto nel quotidiano,
ma sfrenato in certe occasioni. L’uso "ciclico": il soggetto
una volta alla settimana o più volte al mese si concede un giorno
o due di uso massiccio ("binge": maxi festicciola o bisboccia).
è un segno di un amore per la sostanza diventato passione: il problema
è che in questa sequenza "hard" chi l’assume può
incontrare i sintomi di una crisi psicotossica. I dati del National Institute
on Drug Abuse (Usa) stimano che il 5-10 per cento dei consumatori sia
dipendente, in un modo o nell’altro, una percentuale simile a quella dell’alcol.
Tutti e due i tipi di dipendenza sono insidiosi perché gli assuntori
non se ne rendono conto subito ma solo, in genere, dopo diverso tempo.
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REPUBBLICA
SALUTE |
I
vari proibizionismi sulle sostanze, a partire da quello americano dell’alcol
(promosso da leghe religiose, operaie e femminili) partivano da buone
intenzioni. Ma gli studiosi di questi sistemi hanno scoperto da tempo
alcuni effetti boomerang, che aggravano la situazione anziché
risolvere il problema. Quando una droga è vietata, in pubblico
tutti negano di usarla. In particolare la cocaina, per la marijuana
c’è qualche cauta ammissione: da giovane, una volta...(per esempio,
Clinton). Quando però una star amata dal pubblico (della musica,
della moda) viene pizzicata per coca, l’evento si trasforma in un clamoroso
spot a favore della sostanza. Se il più grande calciatore del
mondo ammette, perché fermato dalla polizia, di aver usato coca,
anche quando scendeva in campo e vinceva, miliardi di persone ricevono
un’informazione: "Ma allora questa cocaina non sarà poi
così male" Contrariamente a quello che dicono certe campagne.
Qualcuno penserà addirittura che è utile a segnare gol
strepitosi. Non è affatto così. Solo con una grande operazione
verità, con informazioni precise, mai esagerate (magari a fin
di bene) si ottengono risultati. è quello che fanno, rivolgendosi
direttamente ai consumatori o potenziali tali, ai concerti, alle feste,
nei rave e davanti alle discoteche, benemerite associazioni, qualche
volta in collaborazione coi Sert, come Parsec, Livello 57, il Coordinamento
Nazionale Nuove Droghe, e nel campo editoriale, la casa editrice Stampa
Alternativa che ha pubblicato più di trenta libri di informazione
corretta sulle droghe, da ultimo la riedizione di "Cannabis"
del grande studioso Giancarlo Arnao. (g. b.) |
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Londra |
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E’
notte inoltrata e, su una strada statale di provincia, in un’automobile
di media cilindrata Matteo, Emiliano, Cristina, Federica e Veronica tornano
alle loro case dopo una serata passata in discoteca. Ridono, scherzano,
cantano. È normale alla loro età, anche se forse qualcuno
di loro ha bevuto un po’ troppo e, tra questi, proprio Matteo che
sta guidando. La strada non è ben illuminata e, dopo una delle
tante curve, vediamo improvvisamente riflesse negli occhi dei cinque ragazzi
le luci di un camion che sembra essere comparso dal nulla. Matteo prova
ad evitarlo e facendolo sterza bruscamente a destra. Ma la strada è
stretta e l’auto finisce nella ripida scarpata. Mentre seguiamo la
scena dell’auto che precipita sempre più giù, udiamo
le urla disperate dei ragazzi, vediamo il panico nei loro occhi che non
capiscono cosa sta succedendo, le loro braccia che tentano di aggrapparsi
a qualcosa per non essere violentemente sballottati nell’auto che
ancora non si ferma. Finalmente, la corsa ha termine, l’auto si è
fermata sul fondo del dirupo. I ragazzi, sconvolti e forse feriti, ma
vivi, sono immobilizzati dalla paura. Ci tranquillizziamo, pensando che
ce l’abbiano fatta, anche se il nostro cuore ancora batte veloce
per la forte emozione provata. Improvvisamente però, quando ancora
i ragazzi non sono usciti dall’auto, un violento scoppio ci scuote.
L’auto è di colpo esplosa, con i ragazzi ancora al suo interno!
La sensazione che ora proviamo è di terrore, disperazione, disgusto…
Il luogo da cui abbiamo assistito a tutto ciò non è la strada,
ma la comoda poltrona di casa nostra. E, tuttavia, non stiamo vedendo
un film. Si tratta invece di una pubblicità sociale per la prevenzione
degli incidenti stradali. Infatti, alla fine della scena appena descritta,
una voce fuori campo raccomanda ai giovani di prestare attenzione alla
guida e, soprattutto, di non guidare dopo aver bevuto. Si tratta, più
specificamente, di ciò che gli anglosassoni chiamano “fear
appeal” (letteralmente “appello alla paura”), termine utilizzato
proprio per indicare quei messaggi che fanno uso dell’intimidazione
per cambiare gli atteggiamenti ed i comportamenti di soggetti a rischio.
Ovviamente, lo spot appena descritto è un caso estremo di pubblicità intimidatoria e, per lo più, un tale esempio di comunicazione sociale non viene utilizzata, almeno nel nostro paese, a parte pochi casi risalenti a diversi anni fa. Tuttavia, e non solo in Italia, sono molte le campagne di prevenzione sulla sicurezza stradale che hanno fatto uso, per i diversi supporti comunicativi quali poster, dépliant, messaggi televisivi e radiofonici, di immagini con descrizioni vivide delle conseguenze di un incidente stradale e quindi scene con veicoli distrutti, persone più o meno gravemente ferite, quando non addirittura già decedute. Ancora più spesso poi, altri messaggi fanno un uso della paura maggiormente sofisticato e meno diretto, rifacendosi ad altre scene o parole rispetto a quelle relative al contesto vero e proprio dell’incidente stradale. Sono messaggi che rimandano comunque alla morte o ad altri pericoli conseguenti all’infortunio su strada: l’immagine di una lapide in un cimitero, il corpo di un giovane sul lettino dell’obitorio, la sedia a rotelle che ricorda la possibilità di rimanere per sempre disabili. Oppure, ancora più indirettamente, i segni di una brusca frenata sull’asfalto, o l’immagine di un bicchiere di vino che va ad infrangersi, metafora dell’incidente stradale causato dalla guida in stato di ebbrezza. In effetti, quando si parla di messaggio intimidatorio, o fear appeal, si intende una tipologia di comunicazioni in realtà molto differenti tra di loro, in cui intento è però in ogni caso quello di suscitare timore, paura o addirittura terrore nel destinatario ed è pertanto basato essenzialmente sul tentativo di far percepire al soggetto un senso di vulnerabilità, per indurlo a modificare i comportamenti considerati sbagliati da chi ha commissionato la campagna di comunicazione. Se la questione del determinare cosa sia un fear appeal può essere di una certa complessità, ancor più difficile è invece stabilire se tali tipi di messaggi siano o meno efficaci nel determinare i cambiamenti auspicati. La ricerca sull’efficacia dei fear appeals, che conta ormai più di mezzo secolo (a partire dal primo studio di Janis e Feshnbach del 1953), non ha infatti portato finora a risultati concordanti, che possano giustificare o meno l’utilizzo di tale tipo di comunicazione nella prevenzione non solo degli incidenti, ma anche di altri tipi di pericolo (es. AIDS, fumo, ecc.). I principali risultati della ricerca in questo campo derivano dagli studi sperimentali di laboratorio e dall’elaborazione di teorie cognitive, entrambi portati avanti, nella maggior parte dei casi, nell’ambito della psicologia sociale. Alcuni degli studi sperimentali, ad esempio, hanno dimostrato una correlazione positiva tra la paura suscitata e l’efficacia persuasiva del messaggio. Secondo tale correlazione, maggiore è il livello di intimidazione indotto nel messaggio, maggiore sarebbe il cambiamento comportamentale e di atteggiamento provocato nei soggetti destinatari dello stesso (Insko, Arkoff & Insko, 1965, Stainback & Rogers, 1983), nei termini di intenzioni ad adottare comportamenti più sicuri alla guida. Collegata a tale ipotesi è l’idea che i messaggi scarsamente intimidatori siano poco efficaci, in quanto i destinatari percepirebbero gli scenari e le conseguenze mostrate loro come poco importanti, scarsamente significative e quindi da non prendere in considerazione (Janis e Leventhal, 1968; Bennet 1996). Sul fronte opposto, altri studi hanno invece provato che minore è il livello di paura del messaggio, maggiore è la possibilità che esso provochi un cambiamento nel senso desiderato, considerando che invece un alto livello di paura può causare, paradossalmente, un cosiddetto “effetto boomerang”, provocando nei soggetti destinatari una reazione di evitamento del messaggio. Posti di fronte ad un messaggio intimidatorio, saremmo pertanto talmente sconvolti e disgustati da non voler più proseguire la sua visione, ci alzeremmo dalla poltrona o cambieremmo canale. Un livello troppo elevato di paura, inoltre, se probabilmente può convincere i destinatari che le scene mostrate sono realistiche, potrebbe tuttavia portare gli stessi soggetti a non credere che un incidente stradale simile possa accadere proprio a loro. Ancora, i destinatari di un messaggio altamente intimidatorio possono perdere la concentrazione relativamente ai contenuti del messaggio stesso, a causa delle forti immagini che in genere sono presenti in questo tipo di comunicazione (Bennet, 1996). Infine, questi messaggi possono non essere molto efficaci proprio per quei soggetti più a rischio di incidente stradale, come i giovani, a causa della loro abituale esposizione ad immagini di tale tipo anche in altri contesti (film, videogiochi, ecc.), che li renderebbero in qualche modo assuefatti a tali modalità comunicative. Anche in conseguenza dei risultati sopraccitati, una terza serie di studi ha invece dimostrato che, sia un livello troppo basso che uno troppo alto di paura implicita in una comunicazione persuasoria possono dimostrarsi inefficaci, mentre un livello medio sarebbe l’ideale per determinare il cambiamento atteso (Janis, 1967). Fino ad un certo punto, il livello di paura non sarebbe tale da poter provocare nel soggetto il risveglio dell’attenzione. Oltre un certo livello, invece, potrebbe causare il già citato effetto boomerang, o altri effetti collaterali. Studi più recenti, infine, suggeriscono che probabilmente, al di là di un unico effetto atteso per questo tipo di messaggi, a secondo del livello di paura contenuto in essi, esistono piuttosto diverse situazioni in cui questi messaggi possono funzionare o meno, e ciò è dovuto alle numerose variabili intervenienti considerate di volta in volta, relative sia all’emittente del messaggio, sia al destinatario, sia al messaggio stesso, sia all’argomento preso in considerazione. In effetti, uno dei principali motivi di questi risultati contraddittori è che negli esperimenti effettuati le strategie relative ai messaggi utilizzati negli studi non sono state controllate (Beck e Frankel, 1981) e diversi tipi di informazioni sono state utilizzate per manipolare differenti gradi di paura. Oppure, soggetti con caratteristiche demografiche anche molto diverse sono stati utilizzati negli esperimenti (Quinn, Meenaghan e Brannick, 1992). Un altro limite degli studi sperimentali deriva dal contesto di visione delle immagini a cui vengono sottoposti i soggetti sperimentali; nell’esperimento, infatti, i soggetti sono generalmente molto attenti a ciò che stanno vedendo, mentre nella realtà la televisione, un dépliant o un manifesto per strada possono essere guardati con poca attenzione. Pertanto, a tutt’oggi non si può dire, in senso assoluto, che i messaggi che facciano ricorso all’intimidazione abbiano o meno effetto. Il problema è assai più complesso, e i risultati degli studi finora condotti fanno invece considerare in maniera più specifica le variabili che intervengono nel processo di persuasione, per cui i fear appeal potrebbero avere un determinato effetto per alcuni gruppi e non per altri, o in alcune altre situazioni piuttosto che in altre. Una delle variabili da prendere in considerazione è sicuramente l’argomento affrontato nei fear appeal. Molti degli studi condotti finora, infatti, hanno preso in considerazione le più diverse tematiche di prevenzione, dai tumori provocati dal fumo di sigaretta alle malattie sessualmente trasmesse, dalle vaccinazioni agli incidenti stradali. Spesso, i risultati derivati da tali studi sono stati confrontati considerando allo stesso modo gli argomenti affrontati, mentre ci sembra di cruciale importanza che la ricerca sui fear appeal continui specializzandosi in maniera più precisa sui diversi ambiti in cui i messaggi intimidatori vengono utilizzati Inoltre, un altro limite deriva dal fatto che, nello studiare gli effetti dei messaggi intimidatori, così come nel valutare le campagne di prevenzione, quelli che si prendono in considerazione sono gli effetti a breve termine dei media. Nella teoria e nella ricerca sulle comunicazioni di massa, invece, il concetto di influenza a breve termine è stato superato già da parecchi anni, per far posto alla considerazione di effetti cumulativi a lungo termine, che sembrano essere quelli più importanti. Tuttavia, spesso la sperimentazione, nonché le valutazioni delle iniziative di prevenzione, operano in un ambito temporale ristretto perché è molto difficile misurare gli effetti dei media a lungo termine. Si tratta infatti di effetti cumulati (e quindi non facilmente isolabili) che derivano dall’esposizione dei soggetti a ripetuti messaggi e testi mediali provenienti da differenti fonti e di diversi generi. Sarebbe certo opportuno che studi analoghi vengano svolti anche nel nostro Paese, in quanto – e la cosa è di per sé evidente – i risultati ottenuti sono fortemente dipendenti anche dagli aspetti etnico-culturali. Decidere per un approccio di comunicazione piuttosto che per un altro potrebbe essere ulteriormente supportato da conoscenze specifiche sulla nostra realtà sociale e culturale. Chiaramente, una conoscenza di questo tipo a supporto delle azioni che verrebbero promosse, aumenterebbe verosimilmente la loro probabilità di successo, o quanto meno, darebbero un’indicazione sui possibili sviluppi da seguire. Infine, vorremmo sottolineare – nonostante le difficoltà in merito segnalate - la necessità di affiancare alle prove di laboratorio anche studi longitudinali per quantificare gli effetti di tali messaggi sulle performance stradali, i tassi di incidenti e le violazioni registrate. Non conosciamo infatti ancora sufficientemente quando questi effetti si manifestano, quanto durano e se abbiano o meno delle ripercussioni nella vita di tutti i giorni, proprio perché la vita di tutti i giorni, sia sulla strada che davanti ad uno schermo, è molto più complessa rispetto a quello che può essere messo in luce in un laboratorio. *Reparto Ambiente e Traumi Dipartimento di Ambiente e connessa Prevenzione Primaria Istituto Superiore di Sanità, Roma Nota a piè di pagina: Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto DATIS2, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. |
LA
PROVINCIA DI COMO |
FIRENZE
- Un terzo degli incidenti stradali coinvolge giovani e giovanissimi.
È quanto emerso da uno studio condotto dall’ Agenzia regionale
per la Sanità (Ars) della Toscana tra febbraio e giugno 2005 su
un campione di 5000 ragazzi delle scuole medie superiori con un’età
compresa tra i 14 e i 19 anni. Sono loro, secondo lo studio, i soggetti
maggiormente a rischio di infortunio stradale. È infatti emerso
che il 60% del campione utilizza quotidianamente scooter, moto ed auto,
il 25-30% ha dichiarato di aver avuto almeno un incidente e che nel 15%
dei casi è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso o al
ricovero in ospedale. Il 10% del campione ha addirittura subito più
di due infortuni. «Per questa prima indagine multi rischio a livello
regionale - ha spiegato a Firenze Fabio Voller, responsabile Ars - abbiamo
preso in esame gli stili di vita degli adolescenti: il consumo di tabacco,
alcool, sostanze psicotrope ma anche attività fisiche e abitudini
di comportamento, per stabilire quali correlazioni ci fossero con il fenomeno
dell’ infortunistica stradale». Lo studio ha messo in luce anche
i comportamenti non corretti legati alla sicurezza stradale. Il 5% del
campione non allaccia il casco tutte le volte che utilizza un mezzo a
due ruote, il 25% non usa la cintura in auto. Ma soprattutto più
del 20% dei ragazzi (il 30% tra i maschi) ha riferito di essersi messo
alla guida dopo aver bevuto troppo e quasi il 15% dopo aver assunto sostanze
psicotrope.
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L’assassino,
secondo gli elementi raccolti dai carabinieri di Peschiera, è la
persona più scontata. Quella su cui sospetti c’erano stati
fin dall’inizio, ma servivano le prove e ne sono state raccolte quaranta.
Adesso Gianpaolo Regazzini, 36 anni, carpentiere, convivente di Monica
Da Boit, 31 anni, impiegata morta ammazzata di botte, che abitava a Mazzi
di Valeggio sul Mincio, è in carcere con l’accusa di omicidio
preterintenzionale.
Le prove che l’hanno inchiodato le hanno messe insieme i carabinieri di Peschiera e Valeggio sul Mincio in un mese di indagini di quelle fatte come una volta, esaminando l’appartamento in cui è avvenuto il pestaggio, raccogliendo testimonianze, tabulati telefonici. Studiando l’atteggiamento dell’allora sospettato che il giorno del funerale dopo 15 anni di convivenza non s’è neanche fatto vedere in chiesa. Un fascicolo depositato sul tavolo del pubblico ministero Paolo Sachar che ha coordinato le indagini. Un malloppone di carte che dopo essere state esaminate con attenzione hanno portato il pm a chiedere al giudice per le indagini preliminari Enrico Sandrini di emettere l’ordinanza di custodia cautelare per Regazzini, che già in passato aveva avuto atteggiamenti molto violenti nei confronti della compagna, al punto che più volte erano intervenuti anche i carabinieri. Ma Monica non aveva mai sporto denuncia, per quello strano legame che spesso lega vittime e aguzzini. Le prendeva e taceva, anche se la madre Paola tante volte le aveva suggerito di lasciare quell’uomo a cui s’era legata adolescente. Uniti da un passato che aveva visto anche l’uso di stupefacenti. Era stato proprio Regazzini lo scorso 15 ottobre alle 8.46 del mattino a chiamare il 118 riferendo che, rientrando a casa dopo una notte al night, aveva trovato la sua compagna stesa sul pavimento, in gravi condizioni forse perchè colta da un malore. Per screditarla aveva anche detto che spesso la trovava così a terra, magari perché aveva bevuto troppo. All’arrivo gli infermieri avevano invece constatato che la donna era morta. Solo l’ autopsia ha in un secondo tempo stabilito che la vittima aveva subito una bestiale violenza fisica. Forse Monica si sarebbe salvata se l’uomo si fosse ravveduto, se avesse chiamato i soccorsi perché l’autopsia eseguita a fine ottobre aveva evidenziato che oltre alle fratture multiple, tra cui quelle a mandibole e costole c’era anche un’emorragia interna molto estesa. È stata questa a fermare la vita di Monica nel giro di un’ora. Un’agonia dunque, una dolorosissima agonia. Probabilmente Monica mentre l’uomo la massacrava di botte lo ha pregato, supplicato di smetterla, che così l’avrebbe ammazzata. Monica sentiva il dolore, anche se è facile ipotizzare che a un certo punto potrebbe aver perduto conoscenza, sentendo la vita che le stava scivolando via. I carabinieri di Peschiera hanno subito battuto la pista del convivente. Monica aveva sì problemi di salute, ma non tali da portarla al cimitero. Inoltre anche i sanitari del 118 arrivati nella casa di Valeggio avevano subito evidenziato segni di violenze sul corpo della donna. La casa era parzialmente a soqquadro, quindi impossibile pensare a una rapina finita in maniera tragica. Regazzini, era stato più volte sentito e ogni volta aveva ribadito la sua estraneità ai fatti, sottolineando di aver trovato la sua compagna a terra. E nella sua chiamata al 118 aveva detto che la donna stava male, mentre era morta un’ora e mezza prima che venissero chiamati i soccorsi. La casa di Mazzi era stata posta sotto sequestro per evitare che indizi preziosi potessero essere cancellati. È stato così che s’è scoperto che Regazzini aveva anche ripulito casa prima di dare l’allarme. I carabinieri hanno ricostruito minuto per minuto tutto quello che era successo fin dalla sera prima, quando Regazzini esce di casa per andare al Breks, un locale di lap dance a Roverbella. Alle tre di notte Monica lo chiama perché lui non è ancora tornato. E lui le sbatte giù il telefono. Allora lei prende il motorino e corre al locale. Fa una scenata al convivente. E tutti i movimenti sono stati registrati dalle telecamere a circuito interno. Si vede Regazzini che dà una sberla alla donna e poi la spinge via. Lei si mette a piangere e corre a casa. È da lì che, nonostante l’ora, partiranno delle telefonate ad alcune amiche. La donna racconta della scenata, della sberla al locale, confessa di aver paura che quando il compagno torna l’ammazzi di botte. Alle 6.46 Monica chiama di nuovo il convivente, probabilmente per chiedergli di tornare a casa. Secondo la ricostruzione dei carabinieri Regazzini rientra a casa alle 7.10. I vicini vedono la sua auto a quell’ora. Entra in casa e Monica forse arrabbiata per come è stata trattato lo affronta, nonostante la paura. O forse lui arrabbiato, forse alterato dall’alcol (al locale quella sera è stato accertato aveva speso una cifra vertiginosa di euro), inizia a picchiarla. Non sono scesi nei dettagli i carabinieri che ieri hanno tenuto una conferenza stampa sull’arresto. Non c’è bisogno di un movente per picchiare qualcuno, quando sei abituato a farlo, come razione quotidiana della vita in comune. Il maggiore Antonio Sergi, il tenente Giacomo Gandolfi, il maresciallo Franco Rossi, comandante di Valeggio, hanno sottolineato che in casa sono stati trovati oggetti compatibili con le contusioni della vittima. Regazzini pare l’abbia massacrata con tutto quello che le è capitato a sottomano, portaceneri, statue e altre suppellettili. Ha spostato il corpo della donna dalla cucina in un corridoio, sostenendo che così avrebbe preso meglio aria. Poi ha ripulito la casa dal sangue, perché dirà, una volta interrogato, «voleva ci fosse in ordine all’arrivo dell’ambulanza». (a.v.). |
IL
MATTINO |
ANITA
CAPASSO Marigliano. Un complimento e uno sguardo di troppo a una ragazza
scatenano una violenta lite fra due giovani. È accaduto l’altra
sera nei pressi del pub Mirò. Era da poco trascorsa la mezzanotte
quando due giovani ventenni si sono affrontati prendendosi a calci e a
pugni nei pressi del locale di corso Umberto. A causare il violento diverbio,
dei complimenti pesanti che sarebbero stati rivolti alla fidanzata di
uno dei giovani. La coppia era appena uscita dal pub dove era in corso
una festa organizzata in occasione dell’anniversario del locale.
I primi attriti tra i due ragazzi erano già cominciati nel locale
dove la giovane era stata oggetto di pesanti complimenti che avevano suscitato
l’indignazione da parte del suo ragazzo. Nonostante l’invito
a smetterla, i pesanti apprezzamenti erano continuati. Da qui la decisione
della coppia di andare via per evitare d’essere infastiditi da quel
giovane che non voleva proprio saperne di smetterla. Una volta fuori,
la situazione è degenerata. Sono volati calci e pugni tra i due
giovani. La lite s’è svolta sotto gli occhi spaventati della
ragazza. Per placare i due, sono intervenute altre persone che hanno cercato
di separarli. I due giovani, però, hanno continuato a picchiarsi
pesantemente fino al punto di provocarsi lesioni e contusioni varie in
diverse parti del corpo. La ragazza ha gridato a più non posso
per attirare l’attenzione di altri giovani che erano nel locale per
cercare di spingere i due a smetterla. Ci sono volute più di dieci
persone per dividerli. Nel frattempo è stato lanciato anche l’allarme
ai carabinieri che si sono subito portati sul posto. Ad intervenire sono
stati i carabinieri della compagnia di Castello di Cisterna, al comando
del tenente Gonzales. I due giovani, identificati dalle forze dell’ordine,
sono stati accompagnati al pronto soccorso del nosocomio «Santa
Maria della Pietà» di Nola dove sono stati medicati dai sanitari
di turno. Non si esclude che il ventenne molestatore avesse bevuto qualche
bicchiere di troppo e che avesse agito sotto l’effetto dell’alcol.
I carabinieri, infatti, dalle prime indagini effettuate hanno riscontrato
che il giovane aveva bevuto più di una birra. Per fortuna si trattato
di un litigio senza drammatiche conseguenze e che è finito soltanto
con qualche lieve contusione. Il proprietario del pub Mirò, Giuseppe
Monda, prende le distanze dall’accaduto: «Non vorrei che si
facesse confusione. Nel mio locale non è avvenuta nessuna rissa.
Non so neanche se quei giovani avessero mai messo piede nel pub. La lite
si è tenuta, lontano dal locale». Nei mesi scorsi un altro
episodio simile si verificò a Pomigliano d’Arco dove, per
gli stessi motivi, un giovane per difendere la sua fidanzata dalle molestie
di un ragazzo, fu ferito ad una gamba con un colpo d’arma da fuoco.
I carabinieri, in queste ore, hanno intensificato i controlli fuori ai
locali di Marigliano. Sono arrivati rinforzi anche da parte dei carabinieri
di altre stazioni dell’hinterland. Per garantire una massiccia presenza
delle forze dell’ordine in città, ai militari della caserma
Ganci si sono affiancate diverse pattuglie che effettueranno controlli
a 360 gradi sull’intero territorio comunale. |
QUOTIDIANO.NET |
’Bisogna
prepararsi al peggio, George ha trascorso una notte davvero difficile.
Le cose stanno precipitando’. I famigliari comunicano che i suoi organi
verranno donati
Londra, 24 novembre 2005 - George Best ha le ore contate. Secondo il professor Roger Williams, che nel 2002 gli impiantò un fegato nuovo, il cinquantanovenne ex fuoriclasse nordirlandese difficilmente sopravviverà per un altro giorno. «Sono le fasi finali della malattia: sarei molto sorpreso se dovesse sopravvivere per altre 24 ore», ha affermato. Best, un talento del calcio rovinato dall’alcol e da altri eccessi, fu ricoverato il 1 ottobre con una infezione, verosimilmente un effetto collaterale dell’assuzione di farmaci antirigetto. La situazione si è deteriorata gravemente dopo che l’infezione ha attaccato i reni e i polmoni. Dopo l’ultimo drammatico bollettino medico, che in pratica non lascia più alcuna speranza di sopravvivenza a George Best, i familiari hanno fatto sapere di voler donare gli organi dell’ex stella del calcio. Secondo quanto riferito a Sky News International, i familiari di Best daranno l’autorizzazione all’asportazione. «Bisogna prepararsi al peggio». Hanno aggiunto i medici del Cromwell Hospital di Londra rivolgendosi ai familiari di George Best. «George ha trascorso una notte veramente difficile», ha detto il dottor Akeel Alisa. Il quadro clinico del 59enne, grave ormai da settimane, è ulteriormente peggiorato nelle ultime ore per un’infezione polmonare. «È un uomo molto, molto malato. Penso -ha detto Alisa- che dobbiamo prepararci al peggio». «Le cose stanno precipitando -ha detto ancora Williams- e non siamo più in grado di controllare la situazione. È triste doverlo ammettere, ma a questo punto le ore di George sono contate. Non può più salvarsi, è impossibile che riesca a recuperare. È arrivato alla fine di una lunga lotta e non tornerà indietro». |
HELP
CONSUMATORI |
24/11/2005
Entra in vigore in tutta Europa l’obbligo di indicare nell’etichetta del vino la presenza di anidride solforosa al fine di proteggere i consumatori sensibili a reazioni allergiche. Lo rende noto Coldiretti nel sottolineare che tutti i vini imbottigliati a partire da domani, 25 novembre dovranno riportare in etichetta la dicitura "contiene solfiti" o "contiene anidride solforosa". Entra in vigore in tutta Europa l’obbligo di indicare nell’etichetta del vino la presenza di anidride solforosa al fine di proteggere i consumatori sensibili a reazioni allergiche. Lo rende noto Coldiretti nel sottolineare che tutti i vini imbottigliati a partire da domani, 25 novembre dovranno riportare in etichetta la dicitura "contiene solfiti" o "contiene anidride solforosa", nel caso ve ne sia la presenza superiore ai 10 mg/l e che, per i vini esportati, questa va riportata nella lingua del Paese di destinazione. La norma che era facoltativa diventa ora obbligatoria anche se potranno continuare ad essere commercializzati senza l’indicazione i vini imbottigliati precedentemente la data del 25 novembre 2005. L’aggiunta di anidride solforosa - spiegano i coltivatori - è una pratica diffusa in tutto il mondo ed è autorizzata dall’Unione Europea e dall’OIV (Organisation International de la Vigne et du Vin) con l’obiettivo di prevenire l’ossidazione e mantenere inalterate le caratteristiche qualitative del vino. La necessità di tutelare i consumatori sensibili a reazioni allergiche ha portato al varo della nuova etichetta che uniforma peraltro la legislazione comunitaria a quella statunitense che prevede da tempo l’obbligo di dichiarare la presenza di anidride solforosa nel vino commercializzato. La norma che contribuisce certamente a migliorare l’informazione ai consumatori e a tutelarne la salute è fortemente criticabile dal punto di vista applicativo perché ostacola la commercializzazione di vino in Europa. I singoli produttori che - continua l’associazione di categoria- intendono esportare il vino nei diversi Paesi europei dovranno farsi carico a priori, al momento dell’imbottigliamento, di indicare nelle etichette la presenza di solfiti nelle diverse lingue senza sapere se l’obiettivo commerciale sui nuovi mercati sarà o meno raggiunto. Solo la Francia ha infatti indicato come lingue utilizzabili nel proprio Paese anche l’inglese, ma altri paesi sono arroccati sulla propria lingua, come l’Italia che, con il D.Lgs. del 6 settembre 2005, ha stabilito che per tutti i prodotti - compreso anche il vino - le informazioni destinate ai consumatori devono essere almeno in lingua italiana. Una soluzione proposta dalla Coldiretti per semplificare le norme applicative e tutelare comunque i soggetti sensibili alle allergie determinate dall’anidride solforosa è quella di utilizzare un semplice "pittogramma", un logo o un simbolo o la stessa formula chimica dell’anidride solforosa (SO2) in tutti i Paesi. (*) (*) Nota: chissà quanto tempo dovremo attendere per vedere sulle etichette del vino “contiene il 10% di CH3CH2OH, sostanza tossica”. |
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