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Articoli 27/03/2012

Spagna, in arrivo il catasto degli incidenti stradali
Mentre in Italia si sopprimono le voci “difficili” da contabilizzare, entro i Pirenei si cerca di fare sempre di più
L’Asaps lo chiede, per l’Italia, dal 2004

di Lorenzo Borselli
Foto di repertorio dalla rete

Mentre in Italia sembra che sia difficile convincere i vertici di Istat ed Aci della necessità non più procrastinabile di individuare un sistema di rilevazione dei dati che consenta di conoscere quanti incidenti siano alcol o narco-correlati, in Spagna – paese tra i più virtuosi al mondo nel campo della sicurezza stradale – la Direzione Generale del Traffico è sostanzialmente arrivata a progettare un nuovo sistema di rilevazione della sinistrosità.
Prima di entrare nel dettaglio della notizia, ricordiamo che l’Asaps aveva lanciato l’idea nel lontano 5 luglio 2004 (clicca qui), ben prima della soppressione della voce “ebbrezza” dalle statistiche della incidentalità stradale, operata nel 2010 per la manifesta incongruità dei dati rilevati. L’Asaps sostiene da allora l’idea di un “catasto” degli incidenti stradali nel quale far confluire tutte le informazioni relative a:

 


a)    le cause dell’incidente (fattore scatenante);
b)    la dinamica degli impatti e delle lesioni;
c)    le modalità e l’efficacia dei soccorsi tecnico-sanitari;
d)    la verifica degli eventuali interventi successivi al sinistro per correggere carenze o errori.

 

L’ex direttore della DGT Pere Navarro e la sua “erede”, María Seguí (foto moto fichas)

L’interesse di questa notizia, tuttavia, non consiste nel fatto che la nostra associazione si sia dimostrata profetica in questo campo, quanto – piuttosto – nella circostanza che l’iniziativa iberica nasca da una semplice autocritica della nuova direttrice generale del Traffico, María Seguí, la quale ritiene, come riportato dall’autorevole quotidiano spagnolo El Mundo, che non sia corretto fermare il flusso di notizie circa la mortalità dei coinvolti in sinistri a 30 giorni dall’evento come peraltro accade anche nel nostro paese (clicca qui per approfondire).
Il fulcro della critica è semplice: le notizie sono parziali e, dunque, il final report non può considerarsi attinente alla realtà. Ne consegue che l’evento statistico non è quello reale e che tutte le contromisure che vengono approntate potrebbero essere inefficaci, perché non corrispondenti alle effettive necessità.
C’è da farsi venire un bel mal di testa…


In Italia, quando si verifica un incidente (ammesso che le forze di polizia intervengano per il rilievo), solo un’esigua serie delle informazioni disponibili compone il dato statistico finale. Ad esempio, non vi è differenza tra feriti lievi o gravi, non si sa nulla sull’effettivo rapporto che corre tra incidenti rilevati e quelli effettivamente accaduti, polizie e ospedali non dialogano tra loro, così come appare molto fumoso e incerto lo scambio di notizie con le assicurazioni.
La nostra idea di istituire un catasto è molto semplice: al verificarsi di un incidente stradale, un sistema informativo comune a tutti genera un codice e lo attribuisce all’evento. Da quel momento in poi tutti possono contribuire ad arricchire quel determinato evento, fino alla sua chiusura, quando il dato confluisce nel cervellone centrale.
Si tratta di un sistema già utilizzato in molti stati esteri, primi tra tutti gli Usa, che consente di arrivare alla conoscenza quasi totale delle dinamiche e delle loro conseguenze.
La signora Seguí – neanche a farlo apposta – pretende un sistema di questo tipo, che preveda “…una collaborazione tra le diverse istituzioni e tra le diverse fonti di notizia…”, ad esempio tra comuni o regioni e ospedali, con il semplicissimo scopo di “…migliorare la capacità di elaborazione di notizie e numeri che già esistono…”


Ad oggi, i dati che vengono diffusi dalla DGT, sono di due tipi:
quelli “immediati”, che tengono conto delle informazioni e dei dati relativi a incidenti e mortalità fino alle 24 ore successive all’evento (che in Italia potrebbero corrispondere ai numeri diffusi dal Viminale in tempo reale ma relativi ai soli rilievi di Polizia Stradale e Carabinieri), e quelli “definitivi”, destinati a confluire poi nell’annuario statistico (il rapporto che in Italia viene stilato da Istat e Aci), che tengono conto di notizie non istantanee ma relative, a titolo esemplificativo, alla morte sopraggiunta entro il trentesimo giorno dall’evento.
In Spagna i dati della sinistrosità sono trattati dalla DGT in tempo reale e con procedure identiche per le varie forze di polizia, siano esse dello stato o ad ordinamento locale, ma nonostante ciò il rischio di imprecisioni resta molto elevato: le procedure consentono di applicare correttivi, ma con flussi  più accurati si potrebbero evitare madornali errori come invece sembra accadere puntualmente nel nostro paese. Esempio: uno degli osservatori approntati in seno all’Asaps, che si occupa di monitorare il rischio per i pedoni, ha rilevato forti incongruenze tra i dati rilevati da Istat e l’effettiva realtà della strada. Nel 2010, secondo l’annuario della sinistrosità italiana, la provincia di Forlì Cesena contò 34 vittime, mentre le informazioni raccolte dall’Asaps parlavano di 39 decessi (clicca qui). Un bel differenziale che se trovasse una corrispondenza su tutte le voci statistiche fornirebbe un dato complessivo fortemente distorto alla realtà.


L’affare “spagnolo” sembra meno complicato e comunque limitato ad una sproporzione tra il dato istantaneo e quello definitivo: nel 2010 i dati provvisori parlavano di 1.729 vittime, ma alla fine furono 2.478; nel 2009 si passò da 1.903 uccisi a 2.714, mentre nel 2008 il primo dato rilevato era di 2.180 morti mentre quello definitivo arrivò a 3.100, con percentuali di variazione rispettivamente del 43,3%, 42,6% e 42,2%.
L’iniziativa della direttrice Seguí non è andata a genio al predecessore Pere Navarro, il quale ha tenuto a precisare, sempre sulle colonne de El Mundo, che la Spagna segue, nella rilevazione dei dati della sinistrosità, la metodologia IRTAD (International Road Traffic Accident Database) in seno all’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), recentemente imposta dall’UE a tutti i paesi dell’est europeo. “Se è così, non deve essere poi tanto male”, ha commentato ironico Navarro.
In Italia, scusateci il commento, polemiche così ce le sogniamo…

 

 



 

Martedì, 27 Marzo 2012
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