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Corte di Cassazione 29/03/2012

Pedone ubriaco: la testimonianza scagiona l’automobilista solo se il teste depone al processo

Commento di Ugo Terracciano

Certo al pedone, la circolazione in stato di ebbrezza non la si può contestare, ma questo non autorizza nessun bevitore a trasformarsi in un pericolo stradale.
Si tratta di un utente debole, d’accordo, ma all’automobilista che se lo vede davanti barcollante si possono dare tutte le colpe?
Tutte non, ma almeno in parte chi guida deve essere lucido anche per prevenire gli illogici percorsi del pedone ubriaco. Lo chiarisce la Cassazione penale, con la sentenza 4430/2012 di recente pubblicazione.
Il giudice di pace in primo grado e Tribunale in appello, avevano decretato l’innocenza dell’automobilista per le lesioni riportate dal pedone: sulla base delle prove non si riscontravano elementi per attribuire all’automobilista una condotta di guida imprudente o comunque un profilo di colpa e considerando accertato che la parte lesa attraversò la strada in condizioni di ubriachezza si palesava evidente che le modalità dell’attraversamento costituirono la causa determinante dell'impatto e delle conseguenti lesioni personali.
Sulla modalità con la quale il giudice si fosse convinto di tutto questo è stato sollevato più di un dubbio.
Un testimone aveva visto la scena, ma sul piano della procedura era stata commessa una violazione determinante. La polizia municipale lo aveva sentito ed aveva verbalizzato le sue dichiarazioni. Al processo però il teste non era stato escusso dal giudice, dando per buona la versione cristallizzata nel verbale. Peccato che questa procedura non sia affatto valida, poiché le dichiarazioni rese alla polizia, nel dibattimento, al massimo sono utilizzabili per le contestazioni.
Sul piano processuale, quindi, quanto abbia inciso il comportamento, o meglio lo stato di alterazione del pedone non è stato appurato con una prova certa (dal momento che la testimonianza ha perso di valore).

 

Cassazione penale Sez. III,
Sentenza 2 febbraio 2012, n. 4430

 

Con sentenza n. 21518 del 2010 la Quarta Sezione Penale di questa Corte ha annullato la sentenza del Tribunale di Milano in data 7 Maggio 2009 che ha dichiarato inammissibili gli appello proposti dal Pubblico Ministero e dalla Parte civile nei confronti della sentenza del Giudice di Pace di Milano, che in data 23 Maggio 2008 aveva assolto la Sig.ra B. dal reato di lesioni colpose da incidente stradale con la formula "perchè il fatto non costituisce reato".
Il Tribunale aveva ritenuto che l'appello del Pubblico Ministero fosse stato proposto oltre i termini di legge e che la Parte civile non fosse legittimata a impugnare una decisione del Giudice di pace adottata a seguito di citazione a giudizio L. n. 274 del 2000, ex art. 20. La Corte di Cassazione ha annullato detta decisione ritenendo che la speciale previsione del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21 si aggiunga e non abroghi la generale previsione contenuta nell'art. 576 c.p.p. richiamata dall'art.2 del decreto legislativo citato. Di conseguenza, l'impugnazione ai Uni civili proposta dal Sig. P.V. deve ritenersi validamente avanzata, con annullamento della sentenza del Tribunale.
Decidendo in sede di rinvio, il Tribunale di Milano ha assolto la Sig.ra B. con la formula "il fatto non costituisce reato" ritenendo che sulla base delle prove in atti non vi siano clementi per attribuire alla stessa una condotta di guida imprudente o comunque un profilo di colpa e considerando accertato che l'odierno ricorrente attraversò la strada in condizioni di ubriachezza evidente con modalità che costituirono la causa determinante dell'impatto e delle conseguenti lesioni personali.
Avverso tale decisione il Sig. P.V. propone ricorso tramite il Difensore.
Dopo un'ampia ricostruzione dei fatti, il ricorso lamenta:
1. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni rese in sede dibattimentale, in particolare con riferimento alla circostanza che il Tribunale nel valutare le modalità di attraversamento della persona offesa ha utilizzato come fonte probatoria le dichiarazioni rese dalla teste V. ai Vigili urbani anteriormente al giudizio, mentre avrebbe potuto farne uso esclusiva ente come strumento di contestazione ex art. 500 c.p.p.; parimenti errata è la valutazione delle dichiarazioni in atti relative alla velocità della vettura e della ricostruzione circa lo stato della luce semaforica;
2. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento alla valutazione agli elementi di prova provenienti dall'attività del verbalizzante e alla legittimità del prelievo e dell'esame del sangue della persona offesa, non permessi dall'ordinamento senza il consenso dell'interessato:
3. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in particolare sussistendo violazione dell'art. 2054 cod. civ. in relazione agli obblighi di prudenza fissati per il conducente dall'art. 141 C.d.S., comma 4, essendo evidente che le modalità di caduta del pedone e le lesioni sul corpo depongono per una velocità del mezzo e una condotta del conducente non aderenti alla situazione di fatto;
4. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per avere il Tribunale pronunciato assoluzione ex art. 530 c.p.p., prima parte, mentre il Giudice di Pace aveva applicato il secondo comma di tale disposizione di legge;
5. Errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento al mancato completamento dell'istruttoria dibattimentale, che è stata limitata al solo accertamento sull'an debeatur.
Con atto depositato in data 18 novembre 2011 il ricorrente propone un motivo aggiunto con cui lamenta:
- errata applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione alla valutazione della testimonianza V., sussistendo violazione del principio di immediatezza della prova per essere stato considerato in motivazione il contenuto del telefax che la teste inviò in corso di indagini ai Vigili urbani e che risulta smentito nei suoi punti essenziali dalle dichiarazioni che la medesima teste ha reso in corso di udienza.

 

Motivi della decisione

 

Ritiene la Corte che le censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata meritino parziale accoglimento.
La motivazione risulta viziata, in primo luogo, nella parte in cui assume come fonte diretta di prova le dichiarazioni che la teste V. ha reso anteriormente al dibattimento e non ha, invece, confermato nel corso dell'escussione dibattimentale. Correttamente il ricorrente riconduce tale elemento alla disposizione prevista dall'art. 500 c.p.p., comma 4, e ne assume la violazione. Si tratta, a parere della Corte, di un vizio investe un aspetto essenziale della decisione, riguardando la valutazione delle dichiarazioni dell'unico testimone oculare circa l'andatura del pedone in fase di attraversamento in un contesto in cui la conducente afferma di non avere avvistato la presenza del pedone se non al momento dell'impatto e il cui il pedone afferma di non essersi avveduto della vettura che sopraggiungeva.
Non può, dunque, essere accolta la prospettazione emersa in sede di discussione, secondo la quale il vizio che concerne l'applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 4, vizio effettivamente esistente, sarebbe superato dalla complessiva motivazione della sentenza.
In secondo luogo, la motivazione risulta viziata nella parte in cui omette di prendere in esame la circostanza relativa alla distanza del punto d'impatto dal luogo di inizio dell'attraversamento, trattandosi di elemento di fatto rilevante al fine di valutare la correttezza della condotta del conducente in relazione ai doveri di prudenza previsti in zona di incrocio dall'art. 141 C.d.S. e di valutare l'esistenza di una eventuale cooperazione colposa del conducente stesso. Si è in presenza di carenza di motivazione che concerne profili essenziali della vicenda e che incide sulle conclusioni adottate dal giudice di merito.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso della sola parte civile deve essere accolto limitatamente alle statuizioni civili della sentenza impugnata e, in applicazione dell'art. 622 c.p.p., gli atti devono essere trasmessi al giudice civile competente per valore in grado d'appello.
Considerata la complessità della questione relativa alla responsabilità e tenuto conto del contenuto dell'impugnazione, la Corte decide di rinviare alla sentenza definitiva le decisioni in ordine alle spese sostenute dalle parti.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili con rinvio a giudice civile competente per valore in grado d'appello.
Spese tra le parti al definitivo.

 


 

Giovedì, 29 Marzo 2012
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