Mercoledì 17 Luglio 2024
area riservata
ASAPS.it su

Rassegna stampa alcol e guida del 28 ottobre 2005

RASSEGNA STAMPA "ALCOL E GUIDA"

Note a cura di Alessandro Sbarbada
Servitore-insegnante in un Club degli Alcolisti in trattamento a Mantova.


SALUTE di REPUBBLICA
Resveratrolo, arma in più.
  

DAL segreto del vino rosso un’altra arma contro l’influenza (*). I prodotti a base di resveratrolo, l’antiossidante che spiega i benefici del "bicchiere" consumato durante i pasti, possono rappresentare "un aiuto importante per "armare" il nostro organismo contro i virus influenzali, soprattutto quello di tipo A" sostiene Carlo Grassi, professore emerito di Malattie respiratorie all’università di Pavia. Secondo Grassi il resveratrolo rafforza le risposte immunitarie contro virus influenzali ed erpetici (Herpes simplex e Citomegalovirus) e Hiv. E’ comunque un "coadiuvante ai farmaci antivirali". Inoltre, dice Grassi, la scoperta di alti livelli di resveratrolo nelle radici dell’erba medicinale Polygonum cuspidatum, ha permesso e la produzione di composti a base del principio attivo".
 
(*) Nota: arma segreta o kriptonite? (vedi articolo successivo).

ADNKRONOS
Aveva bevuto litri di vino rosso in compagnia di un amico
Austria, crede di essere Superman e si lancia dal quarto piano
Un giovane di 23 anni, alle prime ore di martedì, è saltato urlando: ’’Non può succedermi niente!’’. Ha riportato ferite non gravi a testa e schiena.

Roma, 27 ott. (Ign) - ‘’Sono Superman, non può succedermi niente!’’… non è una battuta dell’ultimo film della saga del supereroe venuto da Kripton, ma il grido lanciato da un giovane 23enne prima di ‘’volare’’ dal quarto piano di un edificio. E’ successo alle 4.00 del mattino di martedì, secondo quanto riporta l’Austria Presse Agentur citata dal quotidiano on line derStandard.at. Il ragazzo, che prima di tentare il salto aveva bevuto con un amico diversi litri di vino rosso, ha riportato ferite alla testa ed alla schiena ed è stato ricoverato all’ospedale di Graz, 200 chilometri a sud di Vienna. Condizioni non gravi, dunque, ma solo grazie ad un pizzico di fortuna. Il giovane è infatti atterrato sul tetto di una sezione più bassa del palazzo dal quale si è lanciato. La vera identità dell’aspirante Superman ovviamente non è stata rivelata!.

IL MESSAGGERO (Viterbo)
L’inchiesta si è avvalsa della collaborazione di Erinna, associazione contro la violenza sulle donne
Violentava la moglie davanti alla bimba
Rumeno di 30 anni arrestato dagli agenti della Squadra mobile.

Violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, corruzione di minorenne e lesioni. Sono questi i capi di imputazione con i quali gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Viterbo, diretti da Salvatore Gava, ieri mattina hanno fatto scattare le manette ai polsi di un immigrato rumeno di 30 anni, clandestino, domiciliato con la moglie e la figlia di 3 anni a San Martino al Cimino. Accuse pesantissime alle quali, non è escluso, potrebbero aggiungersene altre.
L’inchiesta che ha portato il rumeno in carcere, coordinata dal sostituto procuratore Stefano D’Arma, iniziata nei primi di ottobre, si è avvalsa anche della fattiva collaborazione di Erinna ,l’associazione contro la violenza sulle donne.
I fatti. L’uomo, che saltuariamente fa il boscaiolo, la sera rientrava a casa ubriaco e si scagliava contro la moglie picchiandola e, in più occasioni, obbligandola a sottostare alle sue voglie sessuali. Episodi di violenza che, come avrebbero accertato gli inquirenti, un paio di volte si sono verificati davanti agli occhi impauriti della figlioletta (da qui l’accusa di corruzione di minore).
Alcune volte la vittima ha dovuto far ricorso alle cure dei sanitari del pronto soccorso; altre, invece, non ha potuto in quanto il marito la rinchiudeva in una stanza.
Venuti a conoscenza di quanto accadeva in quella casa di San Martino, in cui vivono anche altre persone, gli agenti della Mobile hanno indagato a fondo e quegli episodi di inaudita violenza sarebbero stati confermati anche dagli altri connazionali che avevano subaffittato la casa al rumeno arrestato.
Mas.Luz.

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
Manfredonia E’ quanto emerge dall’imputazione contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini
Il pescatore agì da solo
Omicidio Giusy, il pm gli contesta l’aggravante della crudeltà.

MANFREDONIA Omicidio aggravato dalla crudeltà e dall’aver agito sotto l’effetto di sostanze alcoliche e stupefacenti: è questa l’accusa che viene contestata a Giovanni Potenza dal pm Vincenzo Maria Bafundi nell’avviso di conclusione delle indagini che nelle prossime ore verrà notificato in carcere al presunto assassino di Giusy, la quindicenne ammazzata a colpi di pietra su una scogliera il pomeriggio del 12 novembre di un anno fa. «Agì da solo» L’avviso di conclusione delle indagini che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio dice che la Procura ritiene, in base alle indagini compiute, che Giovanni Potenza - il pescatore di 27 anni procugino della vittima fermato il 23 dicembre - abbia agito da solo. Altrimenti gli avrebbe dovuto contestare di aver agito in concorso con persone allo stato ignote e ancora da identificare. Circostanza da rimarcare visto che qualche organo d’informazione ha detto che il pm ritiene ancora credibile l’ipotesi iniziale del branco. Che all’omicidio della quindicenne possano aver partecipato più persone è ovviamente possibile (ne è convinta ad esempio la famiglia della vittima), ma le inchieste si devono attenere ai dati processuali che - secondo l’ottica accusatoria - non indicano la presenza di complici per quanto emerso in un anno di indagini. Confessione e dubbi Ci sono dubbi sulla confessione di Giovanni Potenza, ma evidentemente non tali da aver indotto pm e investigatori a pensare che altre persone l’abbiano aiutato a uccidere Giusy. Il pescatore ha raccontato che il giorno del delitto lui e la procugina fecero l’amore in auto, litigarono perchè lei voleva che lui lasciasse moglie e figli. Al che la ragazza scese dall’auto e cadde dalla scogliera ferendosi alla testa: lui la riportò sul tratturo, Giusy si riprese, ribadì l’intenzione di svelare la loro relazione che andava avanti da due mesi, e fu a questo punto che il pescatore la colpì due volte con pietre di grosse dimensioni. E il punteruolo? Versione che coincide solo in parte con gli esiti dell’autopsia. I colpi al volto sarebbero più di due; se Giusy fosse caduta dalla scogliera da un’altezza di quattro o cinque metri, avrebbe dovuto riportare ferite e/o fratture non riscontrate sul cadavere; sull’addome aveva due ferite non letali inferte con un punteruolo e Potenza (che pure dice di ricordare poco di quei momenti) esclude d’averla ferita. Stupro sì, stupro no C’è poi la violenza sessuale inizialmente ipotizzata dalla Procura ma che ora non viene contestata all’indiziato. Il medico legale che eseguì l’autopsia inizialmente aveva parlato di «lesioni emorragiche nella zona genitale difficilmente compatibili con un rapporto sessuale consenziente». Potenza quando confessò il delitto raccontò d’aver fatto l’amore con Giusy che però si lamentava per la posizione scomoda all’interno dell’auto. Il medico legale che aveva eseguito l’autopsia, alla luce della spiegazione fornita dal presunto assassino, ha considerato compatibili le lesioni riscontrate sugli organi genitali della ragazza con un rapporto scomodo all’interno dell’auto, ma consenziente. Ma la famiglia dice... L’avvocato di parte civile Innocenza Starace, che ha condotto indagini difensive, prospetta un’altra ricostruzione che collima poco o nulla con quella di polizia e Procura. Innanzitutto l’indiziato mentirebbe quando parla della relazione clandestina con la procugina, perchè il suo racconto è smentito dai tabulati telefonici che dimostrano come non ci sia stata alcuna telefonata dell’uomo alla ragazza per fissare gli appuntamenti. A dire della parte civile, Giusy sarebbe stata stuprata da Giovanni Potenza (il suo liquido seminale è stato trovato sul cadavere) in una spiaggia di Siponto, quindi condotta per chissà quali motivi nella scogliera dove è avvenuto l’omicidio al quale hanno partecipato altre persone. Ricostruzione quella della parte civile che si basa su una consulenza geologica: l’avv. Starace ha fatto analizzare da un esperto le tracce di sabbia trovate sul corpo di Giusy. La sabbia non è la stessa del luogo del delitto ma si troverebbe soltanto su una spiaggia di Siponto.

WINENEWS
E’ COOL, DI OTTIMA QUALITA’, SE NE PARLA IN TV E SUI GIORNALI, IMPAZZA NEI CORSI DI DEGUSTAZIONE, MA SE NE BEVE SEMPRE MENO: IL VINO ITALIANO, IN PROFONDA CRISI ESISTENZIALE, SI RIVOLGE ALLO PSICOLOGO.

Tutti ne parlano, tutti lo amano, tutti ne leggono e se ne occupano, ma sono sempre meno quelli che lo bevono: il vino italiano vive una profonda crisi esistenziale, sdoppiato tra la sua immagine esteriore, cool e modaiola, contesa da trasmissioni televisive e riviste patinate, e la triste realtà, che vede in Italia un calo inarrestabile dei consumi, scesi a 48 litri pro capite all’anno (solo negli ultimi quattro anni il consumo di vino si è contratto dell’11%).
Il “paradosso italiano” esplode al Salone del Vino di Torino (27-30 ottobre), che in questi giorni vede riuniti i massimi esponenti dell’enologia del nostro Paese: produttori, enotecari, giornalisti, buyers e opinion leader. Il vino italiano è lacerato da una profonda scissione interiore, e ha bisogno di andare in analisi.
Il dottor Alessandro Meluzzi, noto psicologo, afferma a WineNews: “Quello che succede al vino si può paragonare a quello che succede al sesso: più se ne parla, meno lo si fa, in questo caso meno lo si beve. Il consumo di vino ha subito una profonda evoluzione nel tempo: nelle usanze contadine era un alimento considerato al pari del pane, e se ne beveva in grandi quantità, pur se di cattiva qualità e di sapore incerto. Gli italiani ne consumavano molto quando erano poveri, con il crescere della ricchezza è diminuito sia il consumo di pane che quello di vino. Oggi siamo “ricchi” e si beve poco vino, ma di qualità. Bere vino è considerato un evento: estetico, sociale, culturale. Certo la gente è sempre più perplessa da questo vino ormai diventato un costoso status symbol: basti pensare che per la classe dirigente è un segno di distinzione produrre bottiglie con la propria etichetta. Se il vino fosse una persona direi che questa “altezzosità” non giova alla sua immagine: il mio suggerimento è che prenda esempio dalle monarchie nordeuropee, aristocratiche ma con understatement. Il vino deve tornare ad essere più accessibile, più abbordabile, senza naturalmente perdere la sua eleganza. Proporsi senza eccessi, né di alterigia, né - lasciatemelo dire - di prezzo”.
Ma com’è possibile che in Italia più si parla di vino, meno se ne beva? Solo nel 1975 il consumo di vino si attestava su circa 100 litri pro capite. Da allora è calato a 48 litri, e secondo le ultime proiezioni questo dato è destinato a diminuire ulteriormente. Nello stesso tempo il vino è diventato un fenomeno di costume, che vede il moltiplicarsi di trasmissioni televisive e riviste specializzate, il proliferare di scuole e corsi di degustazione, il dilagare di wine bar ed enoteche, per non parlare delle mille fiere ed eventi che affollano il territorio nazionale. In più il vino è un prodotto profondamente radicato nella nostra storia e nelle nostre tradizioni, è un elemento-base della tanto raccomandata dieta mediterranea (al pari della pasta, dei pomodori, dell’olio extravergine d’oliva), l’enologia italiana si colloca ai primi posti del mondo per livello qualitativo, e soprattutto lo strettissimo legame tra vino e salute è stato confermato da centinaia di ricerche scientifiche, che hanno dimostrato che il vino possiede un’azione protettiva nei confronti delle malattie cardiovascolari, aumenta il colesterolo buono nel sangue (Hdl), vanta un’azione preventiva sui tumori, e persino una potente azione anti-aging (*). Eppure gli italiani non ne bevono nemmeno un bicchiere al giorno ciascuno. E non può non saltare agli occhi l’enorme divario con un altro simbolo dell’alimentazione made in Italy, la pasta: nel 1954 i consumi di pasta toccavano i 28 kg pro capite annui. La stessa cifra di oggi, tanto che l’Italia si colloca al primo posto assoluto nei consumi mondiali. Più di sessant’anni dopo il mito italiano della pasta resiste e si è diffuso nel mondo come “vessillo della cucina italiana nel mondo”. Eppure alla pasta non è dedicato lo stesso spazio mediatico riservato al vino.
Il “gastronauta” Davide Paolini, uno dei maggiori esperti delle tendenze del wine & food, afferma: “Negli ultimi anni si è instaurato questo meccanismo perverso per cui il vino è sempre più al centro dell’attenzione mediatica ma se ne consuma sempre meno: fa chic parlare di vino ed esibire la propria cultura sull’argomento, ma la realtà è che tutti bevono acqua, al massimo un assaggio di vino a buon mercato la sera a casa, mentre le bottiglie importanti sono relegate ad occasioni sempre più rare, come le cene di lavoro o con gli amici al ristorante”.
 
(*) Nota: riguardo a vino e salute sappiamo che la questione è decisamente meno chiara di come viene presentata…
Riguardo al resto dell’articolo, viene da pensare che i produttori di vino non sanno più che pesci pigliare, sono disperati.
Vale ancora la pena di investire così tanto lavoro e denaro su un prodotto con risultati commerciali così disastrosi, e con controindicazioni tanto nefaste per la salute? (decine di migliaia di morti vinocorrelate ogni anno in Italia, per non parlare della eno-sofferenza umana che devasta milioni di famiglie nel nostro paese).

CORRIERE DELLA SERA
Esami sulle brocche del faraone Tutankhamon beveva vino rosso .

Il faraone Tutankhamon beveva vino rosso. Lo rivela un team di scienziati spagnoli che ha studiato i residui rimasti su alcune brocche seppellite assieme a lui nella tomba. Finora non era stato stabilito che il vino fosse rosso, particolare ricavato adesso dalla scoperta di un acido che si può ricondurre, appunto, soltanto al vino rosso. Al «re bambino», che morì nel 1352 avanti Cristo, quella bevanda d’uva doveva piacere molto se si è deciso di non fargliene mancare nemmeno nell’aldilà, «luogo» dove ai faraoni era concesso portare i beni più preziosi di cui avevano potuto disporre nella vita terrena. Fra quei beni, nel caso di Tutankhamon, c’era anche un discreto numero di brocche di vino. Di più: ciascuna era marcata con dettagli sulla provenienza e l’invecchiamento del contenuto. Così è stato possibile sapere che, per esempio, in alcuni dei contenitori c’era vino di cinque anni. Dopo secoli passati nella tomba, ora le brocche del faraone sono state spostate al museo egizio e al British museum di Londra.

PAGINEMEDICHE.IT
Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal, i pazienti britannici affetti da malattie epatiche non riceverebbero le cure adeguate negli ospedali del Regno Unito.

Una ricerca condotta dal team del professor Roger Williams dell’Institute of Hepatology dello University College di Londra ha studiato le procedure terapeutiche adottate dagli ospedali britannici in presenza di pazienti affetti da patologie a carattere epatico.
Lo studio – pubblicato sulle pagine del British Medical Journal – ha preso in esame ventotto presidi ospedalieri del Regno Unito dotati di centri per le cure epatiche. Secondo Williams, in Regno Unito meno del 10% dei 300.000 casi stimati di infezioni di epatite C sono stati sinora effettivamente diagnosticati: questo preoccupante dato contribuirà a incrementare il rischio-malattie epatiche in Regno Unito fino a raggiungere il suo apice nel 2020.
Un terzo dei centri presi in esame non hanno designato un consultant hepatologist responsabile e, in ben undici dei ventotto centri, le patologie epatiche vengono seguite da medici generici in collaborazione con gastroenterologi. Cinque centri non presentano specialisti per le malattie del fegato nell’infanzia e in quattro centri gli unici specialisti presenti si occupano soltanto di patologie epatiche causate da consumo di alcol.
“Dalle nostre ricerche è emerso che soltanto sette ospedali sono attualmente in grado di garantire una terapia d’urgenza nell’arco di due settimane” ha spiegato Williams sulle pagine del British Medical Journal.

SALUTE di Repubblica
Artrite reumatoide, biofarmaci.

BOSTON- Allacciarsi le stringhe o svitare il tappo di una bottiglia: gesti abituali per la maggior parte delle persone, una tortura quotidiana per chi convive con l’artrite reumatoide che in Italia fa registrare 5 mila nuovi casi l’anno. Per risparmiare sofferenze e invalidità a 7 milioni di europei, basterebbe una diagnosi entro 4 mesi dalla comparsa dei sintomi e non dopo 7 come sovente accade. È l’appello che gli esperti lanciano durante un incontro, a Boston, organizzato da Abbott, impegnata nello studio dei farmaci biologici che oggi consentono ai pazienti di condurre una vita quasi normale. "Spesso confusa con osteoporosi e artrosi, l’artrite reumatoide è una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni provocando infiammazione, dolore, gonfiore e rigidità al mattino" spiega Oscar Segurado, direttore medico di Abbott Immunology. "Interessa soprattutto le donne ed esordisce tra i 30 e i 50 anni". Tipicamente colpisce in modo simmetrico: due polsi, due mani che iniziano a far male fino a deformarsi e a impedire i movimenti. Entro 10 anni dalla diagnosi la metà dei pazienti non riesce più a lavorare. La cura con antinfiammatori e cortisone è efficace sui sintomi, non sulla progressione del male. Per questo i riflettori sono puntati sui farmaci biologici che bloccano le citochine, le proteine responsabili del male in particolare sulla molecola adalimumab."È un anticorpo monoclonale completamente umano. Per questo il rischio di reazioni allergiche ed effetti collaterali è basso", dice il vice presidente Peter Isakson. Già disponibile in Italia da un anno, si somministra con un’iniezione sottopelle con siringa da insulina una volta ogni 2 settimane ed è prescritto nei centri di reumatologia. Dal 2006 potrà essere usato anche per combattere l’artrite psoriasica che colpisce circa il 3 per cento di chi soffre di psoriasi per la quale il 29 ottobre è stata fissata la giornata mondiale. Assieme ai farmaci contro l’artrite reumatoide, nella cura c’è la riabilitazione per tonificare i muscoli senza logorare le articolazioni, la raccomandazione di evitare sovrappeso, alcol e fumo e di usare scarpe e plantari speciali.
Anna Fregonara.

SALUTE di Repubblica
Cosa mangiare
I grassi riscaldano. L’alcol no.

Una delle prime reazioni del nostro organismo al calar delle temperature, è l’aumento dell’appetito. È come se, messi da parte i sensi di colpa dell’estate che ci vuole tutti più magri, potessimo finalmente liberare la nostra fame e mangiare di gusto con la giustificazione che abbiamo bisogno di nutrirci per scaldarci. In effetti, però, il maggior appetito è dovuto più a motivazioni psicologiche che a effettivi stimoli fisiologici. Infatti, anche se è vero che l’organismo brucia più calorie rispetto all’estate, la differenza è solo di 400 chilocalorie. Dunque, per evitare malattie dismetaboliche, è sconsigliabile adottare un’alimentazione ricca di grassi e zuccheri.
Meglio adottare un menu a base dei prodotti della terra che giungono a maturazione proprio nei mesi freddi come patate, cavolo, rape, castagne. "I cibi che riscaldano maggiormente", spiega la professoressa Daniela D’Alessandro, ordinario di Igiene Ambientale, presso l’Università "La Sapienza" di Roma, "sono i cibi ad elevato contenuto energetico come ad esempio i grassi, nonché i cibi rapidamente assimilabili come gli zuccheri. Se si desidera avere una sensazione di riscaldamento immediata, conviene assumere bevande calde ed energetiche come, per esempio, cioccolato caldo, brodo e minestre. Sbagliato, invece, ricorrere agli alcolici che aumentano la temperatura corporea, ma con un effetto che si esaurisce rapidamente a causa della forte vasodilatazione da questi indotta".

IL GAZZETTINO (Udine)
Gemona
Resta a piedi, va a rubare.

Alle 2.45 di ieri la Polstrada di Tolmezzo gli ha ritirato la patente di guida e gli ha sequestrato il camion. Kurt Kahlpacher, 35 anni, di Koflach, è infatti risultato positivo alla prova dell’etilometro. Un’ora e mezza dopo il camionista austriaco è stato arrestato dai carabinieri del Radiomobile di Tolmezzo in via Osoppo a Gemona. Lo hanno sorpreso nel giardino di una casa, dove stava rubando due spatole edili del valore di 40 euro. Kahlpacher ha reagito violentemente. Era fuori di sè, quando si è scagliato contro i militari che cercavano di capire come mai si trovasse all’interno di un cortile privato e perchè fosse a piedi. L’uomo ha colpito il caposquadra procurandogli una contusione alla spalla ed è stato arrestato, oltre che per furto aggravato, anche per lesioni aggravate, violenza e resistenza. È stato accompagnato nel carcere di Tolmezzo. Il suo camion è stato affidato dalla polizia stradale a una carrozzeria della zona.

IL MATTINO (Salerno)
Ubriaco, si stende sull’asfalto e blocca il traffico.

Battipaglia. Ubriaco inveisce contro i clienti di una pizzeria nel centro di Battipaglia, si sdraia per strada impedendo il transito delle auto e, poi, tenta di aggredire i poliziotti che riescono a bloccarlo. Attimi di tensione nella tarda serata di ieri in via Paolo Baratta. Un polacco sanguinante ad un braccio ha infastidito i clienti della pizzeria "Francos pizza" , poi, si è steso sull’asfalto per ed ha bloccato il traffico. Ha impedito alle auto di percorrere via Baratta. Barcollante si è alzato e con fare minaccioso si è scagliato anche contro gli automobilisti. Nel frattempo, il titolare della pizzeria e alcuni clienti in preda al panico hanno allertato telefonicamente il 113. Sul posto è giunta una pattuglia del commissariato di polizia e gli agenti hanno dovuto faticare non poco per riportare la calma. Appena gli uomini in divisa si sono avvicinati allo straniero, non ancora identificato, si è gettato anche contro di loro apostrofandoli in malo modo e spintonandoli. Poi, è ripiombato di nuovo nella pizzeria. Poco dopo finalmente gli agenti sono riusciti a bloccarlo. Intanto, sono stati allertati i sanitari del 118 che hanno provveduto ad accompagnare il polacco furibondo al pronto soccorso per medicargli la ferita al braccio. In tilt il traffico per più di mezzora a causa della scorribanda del polacco inferocito che si era scagliato contro gli automobilisti e alcuni passanti che percorrevano tranquillamente via Baratta. I poliziotti, agli ordini del vicequestore aggiunto Maurizio Fiorillo, sono ancora a lavoro per identificare lo straniero che per il momento è stato denunciato a piede libero.

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
Dopo i dati choc nazionali sulla diffusione delle droghe a Bari, abbiamo chiesto ai giovanissimi le loro opinioni
«Uno spinello, che male fa?»
Parlano i ragazzi: tra birra, canne e pasticche. «Nessuno vieta l’alcol».

«In galera tutti gli spacciatori? Ok, vuol dire che dovranno costruire carceri pari almeno a un terzo della popolazione giovanile». Alessandro ha 20 anni, un diploma di ragioniere preso in un istituto privato dopo aver tentato senza successo la strada liceale, e la valigia pronta: «Parto per Londra, non vedo l’ora di cambiare aria e di vivere in una città libera e multietnica». Ieri pomeriggio con coraggio ha alzato la mano e preso la parola: «La legge Fini è un mix di contraddizioni oltre ad essere anacronistica. Il "fumo", le canne ormai alla portata di tutti sono cosa diversa dal "buco". Le sostanze leggere molto diffuse fra i giovani non possono essere paragonate alle droghe pesanti». L’attacco al Governo: «In pratica, secondo il vicepresidente del Consiglio dei ministri saremmo tutti criminali». La proposta di legge che porta la firma di Fini è al centro del dibattito. La platea che affolla la sala Giuseppina del Kursaal Santalucia è in fermento. Le sedie sono occupate in prevalenza dagli operatori del terzo settore e dai rappresentanti delle associazioni che si occupano di tossicodipendenze. I giovani, protagonisti della giornata di riflessione promossa dal Cama (centro assistenza ai malati di Aids) sede Lila (lega italiana per la lotta all’Aids) di Bari, ci sono ma non in tanti. Angela Calluso, presidente del Cama, riepiloga: «Chiediamo la legalizzazione degli stupefacenti però differenziata; siamo contrari alla criminalizzazione dei consumatori occasionali; vorremmo che lo Stato spendesse energie per contrastare le narcomafie e che investisse nella prevenzione». Il riferimento alle attività nelle scuole: «Le campagne di sensibilizzazione devono diventare capillari». Alessandro, che sui banchi ha passato qualche anno in più del dovuto, mormora: «Un incontro all’anno è ininfluente. Quando mi sono reso conto degli effetti devastanti delle pasticche, degli acidi, dell’ecstasy ho osservato un lungo periodo di astinenza». La confessione: «Devo ammettere che ho ricominciato, ma in maniera consapevole e quindi meno rischiosa per la salute». Alessandro è un esperto. Il primo «tiro» a 14 anni, con i compagni di classe. Eppure non è a favore della liberalizzazione delle droghe leggere. Spiega: «Il fenomeno coinvolgerebbe la totalità degli adolescenti, nessuno escluso. Un grammo di hashish costa 3-4 euro e persino i bambini girano con gli spiccioli in tasca». Al microfono Alberto Santamaria, coordinatore dei Sert della Asl Ba4, grida che «uno studente su tre fa uso di sostanze stupefacenti». Che «i giovani non frequentano i Sert». Che «il carcere non è la soluzione». Ne è convinto pure Fabrizio Giannelli, che siede al tavolo dei relatori nella veste di rappresentante degli studenti: «I "grandi" dovrebbero piuttosto indagare le motivazioni alla base della diffusione delle droghe, non perseguire la via della repressione. La storia insegna che le politiche del proibizionismo non sono servite a centrare l’obiettivo». Franco Corleone, ospite d’eccezione perché presidente del Forum nazionale droghe (e ex sottosegretario nell’ultimo governo D’Alema), ragiona: «La verità, i valori, l’etica non si possono imporre né sanzionare. Secondo Fini tutte le droghe sono uguali e quindi tutti i consumatori devono essere perseguiti con pene che vanno dai 6 ai 20 anni di reclusione». Riporta la sua esperienza: «Cresce la percentuale degli habitué del week end. Professionisti, impiegati, manager, uomini e donne in carriera che dopo essersi strafatti di lavoro dal lunedì al venerdì, il sabato e la domenica si fanno di cocaina. Carcere per tutti»? Filippo Melchiorre, capogruppo di An al Comune di Bari e ex assessore ai diritti civili e sociali con il centrodestra, ricorda i percorsi di riduzione del danno, avviati dalla passata amministrazione in collaborazione con il privato sociale, «ma affossati - dice - dalla giunta Emiliano». Alessandro ascolta e ragiona a voce alta: «La verità è che lo spinello rilassa, ti dà una sensazione di benessere. Per non andare in overdose i giovani dovrebbero essere più informati. Potendone discutere, senza paura, con gli adulti». Antonella Fanizzi.

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
Franco Corleone, presidente del forum droghe, punta alla consapevolezza e all’informazione. «Diffusione quasi come il vino»
L’esperto: la repressione non serve.

«Se parliamo del consumo di droghe leggere, nella società italiana e occidentale è entrato nell’uso accettato e in qualche misura banalizzato, non caricato di particolari valori o legato a fenomeni di contestazione della società e neppure collegato a una categoria evanescente come quella del disagio giovanile. Insomma, spiegare oggi l’uso diffuso di droghe leggere quali hashish o marijuana sarebbe un po’ come se dovessi spiegare perché bevo ogni giorno un bicchiere di vino durante i pasti». È il primo commento di Franco Corleone, già sottosegretario dell’ultimo governo D’Alema e ora presidente nazionale del forum droghe, all’esito della ricerca ministeriale sull’uso della droga a Bari (di cui parliamo qui a fianco). Ieri Corleone era a Bari per partecipare al dibattito sul disegno di legge firmato dal vicepresidente del Consiglio dei ministri Gianfranco Fini, che intende imprimere un deciso giro di vite all’uso, anche di modiche quantità e per uso personale, di sostanze stupefacenti. Presidente Corleone, per molti può essere uno choc scoprire che un così alto numero di giovani ormai ammetta di avere rapporti con la droga, dal classico spinello alla pasticca presa in discoteca. Perché, invece, lei sostiene che si tratti di un "uso banalizzato"? «Perché fino a un decennio fa, queste sostanze non appartenevano alla nostra cultura e chi voleva cercarle lo faceva andando all’estero. In un mondo globalizzato come il nostro, questo non è più vero. Per molti giovani, ormai, il fumo di uno spinello è paragonabile a bere birra o vino. Piuttosto il problema è un altro. L’uso di tutte le sostanze, legali o illegali che siano, deve essere fatto con consapevolezza e informazione. Purtroppo, invece, se dall’altra parte non c’è costruzione di consapevolezza, ma solo proibizione, ci si trova di fronte al rischio serio di acquistare un prodotto sconosciuto che può avere effetti devastanti su un organo delicato come il cervello». In effetti, molti tra i ragazzi intervistati confessano di non conoscere affatto e comunque di non avere idea degli effetti legati all’assunzione di nuovissime sostanze chimiche di sintesi appena immesse sul mercato. «Purtroppo è con questo che ci dobbiamo misurare. Ci vorrebbe, più che una politica proibizionista, una politica di riduzione del danno. In alcuni paesi hanno sperimentato positivamente il controllo delle pasticche che vengono diffuse in discoteca o durante i rave. Questo in Italia è molto difficile perché anche la sola cessione, anche gratuita, di sostanze è considerata reato». Che ci sia un problema di percezione sbagliata degli effetti procurati dall’assunzione di sostanze euforizzanti è peraltro dimostrato dall’assoluta sottovalutazione con la quale i giovani baresi intervistati affrontano il problema dell’alcol. E’ così anche in altri contesti? «Non c’è dubbio che il problema alcol sia sottovalutato. In Italia vi è una stratificazione: il consumo cronico, quello degli alcolisti, per lo più di vino, i nuovi consumi e la moda dei superalcolici sui quali si continua a consentire una smodata pubblicità su tutti i canali mediatici. Si consuma molta più birra, secondo il modello anglosassone, e poi ci sono i mix tra cocaina, ecstasy e alcol. Secondo la percezione soggettiva di molti giovani, chi fa consumo di queste sostanze non si sente, o quasi mai si sente di essere tossicodipendente. Siamo a un uso di sostanze legato a stili di vita competitivi e a modalità che non portano immediatamente condizioni di dipendenza. Se ne fa uso nel fine settimana o in relazione a eventi o luoghi, per darsi carica o coraggio. Tutto questo imporrebbe una rivisitazione dei modelli intervento. Non esistono più comunità chiuse come quelle degli eroinomani di un tempo. Occorrono servizi di prevenzione sul territorio in grado di offrire assistenza, ma soprattutto di aiutare le persone a conoscersi e a conoscere le sostanze. Il problema è sempre lo stesso. Tutto questo, in un modello legislativo repressivo come il nostro non è possibile e induce solo alla clandestinità». Giuseppe Armenise.

YAHOO SALUTE
Suicidio: più di un intervento per prevenirlo
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore.

Il suicidio può essere considerato un serio problema di salute pubblica. Per questo, deve essere pianificata una serie di interventi efficaci, tesi a diminuirne la frequenza. Un articolo pubblicato sul Journal of the American Medical Association spiega, analizzando diversi studi, quali sono le strategie più efficaci nel contrastare questo problema.
Nel 2002 in tutto il mondo sono stati registrati 877.000 casi di suicidio. Agli estremi della tabella di distribuzione delle percentuali si trovano i paesi dell’Europa orientale con il tasso più alto, e l’America Latina e i paesi musulmani con quello più basso. Tra le diverse cause identificate, gli eventi stressanti di vita, la disponibilità di armi, droghe e alcol, la predisposizione a causa di malattie mentali. Circa il 90 per cento dei suicidi aveva alla base un problema psichiatrico diagnosticato, più frequentemente depressione o disturbo bipolare.
Gli interventi preventivi sono possibili sia nello stadio iniziale di ideazione che in quello di realizzazione. Per quanto riguarda lo stadio di ideazione del suicidio, l’intervento che è risultato più efficace è stata una migliore preparazione del personale medico psichiatrico, che consente la diagnosi precoce di un disturbo e quindi una tempestiva risoluzione. Ridurre la disponibilità di strumenti e sostanze mortali, invece, incide più di ogni altro intervento nel limitare la realizzazione materiale dell’intento suicida. Altre strategie come psicoterapia e somministrazione di psicofarmaci necessitano di maggiori prove e studi.
Ogni intervento ha comunque un suo impatto che deve essere tenuto nella giusta considerazione per poter pianificare al meglio una strategia generale ma che si realizzi su livelli diversi e che sia la migliore possibile.
Fonte: Mann JJ, Apter A et al. Suicide prevention strategies. JAMA 2005; 294:2064-2074.
Caterina Visco.



Giovedì, 27 Ottobre 2005
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK