Verbale per l'uso del cellulare alla guida
Secondo la Cassazione si può contestare solo con querela di falso
La Suprema Corte dà l'alt alle disinvolte sentenze di alcuni giudici di pace
(ASAPS) Noi italiani - è noto - siamo fra i più ciarlieri al mondo anche al telefonino. Non ci risparmiamo neppure quando siamo alla guida. Siamo talmente chiacchieroni che rischiamo spesso una sanzione che ci costa 5 punti della patente, per questo con gli anni abbiamo assistito ad una sorta di evoluzione della specie che ci ha trasformati in campioni olimpici di lancio del cellulare alla vista della pattuglia: "Scusa ti richiamo dopo c'è la pula..."
Sono decine le testimonianze di questo tipo che ci arrivano dalle varie polizie locali e statali. Abbiamo talmente poco pudore da negare che stavamo telefonando anche quando, dopo l'alt della pattuglia, si sente gracchiare la voce che esce dal cellulare lanciato sul seggiolino se non sul tappetino: "cosa succede? Tutto bene? Perché non rispondi più...?" "Taci, taci..."
Eppure il rischio dell'uso del cellulare alla guida è elevatissimo ed accettato con indifferenza, sufficienza, incoscienza da molti conducenti.
Una sanzione però difficile da dimostrare, non esiste un tutor, un autovelox o un etilometro delle nostre chiacchiere senza vivavoce o auricolare, per cui non rimane altro che lo strumento della verbalizzazione diretta dell'agente, con una conseguente serie di ricorsi a raffica e con la premurosa attenzione e comprensione di tanti giudici di pace che in molti casi li accolgono.
Ma ogni tanto capita che la Cassazione metta uno stop e ricomponga come si deve le regole del gioco
Questa volta ci ha pensato la Suprema Corte con la sentenza n° 3336 del 2012 che ha stabilito che l’automobilista sanzionato per utilizzo del cellulare durante la guida può impugnare il verbale solo attraverso la querela di falso contro il Pubblico Ufficiale verbalizzante.
Il Giudice di Pace aveva accolto l’opposizione proposta dall’automobilista ritenendo “non sufficientemente provato l’addebito dall’attestazione del pubblico ufficiale verbalizzante facente fede soltanto degli elementi oggettivi non suscettibili di una valutazione sensoriale, e non anche di quelle percezioni caratterizzate da margini di apprezzamento fallibili, in quanto aventi a oggetto accadimenti repentini”.
La Corte di Cassazione interpellata dalla Prefettura di Firenze ha, invece, cassato il precedente giudizio poiché “nel giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà o dell’effettivo svolgersi dei fatti”.
Quindi gli ermellini hanno ribadito ancora a qualche disinvolto giudice di pace che l’unico rimedio ammissibile per opporsi al verbale è l’impugnazione tramite una querela di falso non risultando sufficiente il normale ricorso amministrativo.
Ci auguriamo quindi che questa freschissima sentenza ponga un freno ai ricorsi proposti senza alcuna motivazione reale ma solo allo scopo di evitare le sanzioni stabilite dalla legge. La parola dell'agente che verbalizza ciò che ha semplicemente visto con i suoi occhi ha ancora un qualche valore.
Pronto, pronto mi senti...? (ASAPS)