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Sicurezza stradale in Europa: una balena spiaggiata
Viaggio tra i dati, inconcludenze e qualche cialtroneria di troppo…
Nel 2011 ottenuto solo un calo del 2% dei morti. Malissimo i virtuosi. Nuovi programmi da qui al 2020

Di Lorenzo Borselli
Foto di repertorio dalla rete

(ASAPS) FORLÌ, 17 aprile 2012 – L’Europa della sicurezza stradale sta per spiaggiarsi: come un immenso cetaceo ha nuotato senza sosta per oltre un decennio ma la stanchezza, la crisi economica, la perdita di vista degli obiettivi e qualche cialtroneria di troppo, cominciano a farsi sentire e proprio quando le acque più tranquille erano ormai in vista, è sopraggiunta una secca.
La secca dei numeri: nel 2011 la mortalità stradale in Europa è diminuita solo del 2% e ogni giorno muoiono ancora 85 persone, secondo quando reso noto dalla Commissione Europea con un comunicato stampa dello scorso 29 marzo  (clicca qui).


I progressi del passato
E dire che nel 2010 Bruxelles era riuscita a far segnare un più che incoraggiante meno 10% del numero delle vittime, pur essendo ancora molto lontani dall’idea della Visione Zero  che si era fatta largo sulla scia delle esperienze scandinave degli anni 2000 anche nei corridoi di governi più mediterranei. 
Un progetto ambizioso che ora, purtroppo, dobbiamo nuovamente abbandonare per studiare nuove strategie. Le idee ci sono e il parlamento europeo ne parla da tempo, ma ciò che manca, secondo ASAPS, è una strategia di impegni e di scambi, la quale dovrebbe essere condivisa da tutti gli stati membri.
Dovremmo cominciare da un codice della strada armonizzato (ad esempio valori alcolemici e limiti di velocità), da una patente di guida unica per ogni cittadino dell’UE e da un sistema comunitario di rilevazione, contestazione e oblazione delle infrazioni, che garantisca, ad esempio, uniformità di pene e al contempo certezza nella riscossione delle sanzioni amministrative e nella decurtazione dei punti.
Perché, allora, non seguire la traccia del trattato di Schengen, che rende le segnalazioni di polizia, i mandati di cattura, le informazioni su persone, banconote, documenti, armi e veicoli rubati un patrimonio condiviso?
Nonostante si tratti di questioni fin troppo ovvie, di primaria importanza in una società che dovrebbe mettere il rispetto della legalità (e della vita) ai primissimi punti dell’agenda politica, non sembra che si facciano progressi sostanziali.
Il 6 luglio dello scorso anno l’Europarlamento aveva votato una risoluzione  contro i quattro comportamenti definiti “big killers” della strada e ritenuti la causa del 75% delle vittime (clicca qui): la velocità, il mancato rispetto dei semafori, il mancato uso delle cinture di sicurezza e la guida in stato di ebbrezza. A queste cause si legano, molto da vicino, quattro ulteriori comportamenti letali: la guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti, il mancato uso del casco, quello che ASAPS definisce l'abuso della corsia di emergenza e l'uso del telefono cellulare.
Secondo una ricerca della Commissione Europea citata in aula da Siim Kallas, vicepresidente della Commissione e responsabile per i trasporti, “le probabilità che un conducente straniero commetta un'infrazione sono tre volte superiori rispetto ad un residente. Queste nuove disposizioni dovrebbero avere un forte effetto deterrente e indurre i conducenti a modificare il loro comportamento. Molti sembrano ancora ritenere che quando sono all'estero le norme non valgano nei loro confronti. Voglio ribadire invece che esse valgono per tutti e intendiamo farle applicare".


Multe senza frontiere?
Sulla carta sì, ma di applicazioni concrete, di disegni di legge, di studi di fattibilità, nemmeno l’ombra.
I dati dell’Unione Europea indicano che nonostante il conducente straniero rappresenti il 5% del traffico, è comunque responsabile del 15% delle infrazioni per eccesso di velocità, la gran parte delle quali restano del tutto impunite a causa dell’impossibilità, per le autorità locali, di ottenere informazioni circa l’identificazione dei contravventori e, quand’anche ciò fosse in qualche modo possibile, per la riscossione delle multe o l’applicazione delle sanzioni accessorie, quali la sospensione della patente o la decurtazione dei punti.
La proposta di direttiva illustrata da mister Kallas  mira a porre un “virtuale” rimedio all’impunità stradale frontaliera con l’istituzione di una rete elettronica comune alle forze di polizia, che permetterebbe di identificare i conducenti UE, rendendo possibile il loro rintraccio anagrafico in uno Stato membro diverso da quello di immatricolazione del loro veicolo: una volta conosciuti nome e indirizzo del proprietario del veicolo, gli sarà inviata una lettera di informazione, il cui modello è stabilito nella proposta di direttiva.
 

I “latitanti” del codice della strada
A leggere la proposta con la mentalità di un abitante del Nord Europa (dove progetti del tipo Visione Zero sono divenuti parte integrante di un modo di pensare “stradale”), si avrebbe probabilmente l’impressione di aver compiuto un importante passo avanti, ma per un cittadino dell’area mediterranea o balcanica, purtroppo, servirebbe ben altro.
Senza la certezza di una sanzione, senza un preciso obbligo per ogni stato membro di allineare il proprio sistema informativo alle esigenze di perfezionare anche all’estero il processo amministrativo della contestazione, l’unica attenzione che lo straniero porrà all’estero sarà senz’altro quella di non farsi beccare, di riparare nel proprio paese e di sottrarsi alle proprie responsabilità divenendo una sorta di latitante del codice della strada.
Lasciare allo Stato membro in cui è stata commessa una determinata infrazione decidere quale seguito darvi, senza conferirgli il dovere/potere di esigere il perseguimento di un trasgressore nel proprio paese d’origine, costituisce un atto privo di sostanziale concretezza.
Inoltre la direttiva non prevede un’armonizzazione delle infrazioni né delle sanzioni previste, dando l’impressione di essere soltanto un fischio per fare silenzio nel bailamme delle singole autonomie, lasciando poi che ognuno torni a gridare le proprie ragioni in barba alla federalistica aspirazione che ne costituiva l’eziologia.
Così, anche se entro luglio 2013 ogni stato si adeguerà e fornirà le credenziali d’accesso agli archivi della propria motorizzazione civile (o, nel caso dell’Italia, anche del Pubblico Registro Automobilistico), l’unico fattore di cambiamento sarà rappresentato dal fatto che un trasgressore italiano potrà essere identificato all’estero, ma difficilmente pagherà la multa…
Dovremo forse attendere un Simon Wiesenthal dei pirati della strada?
Non sarebbe meglio riflettere a quanto allarme sociale potremo far fuori, su quanta giustizia in più potremmo contare con un bel programma europeo unanime, ad esempio, sui delitti e sulle pene stradali?
 

Gli incidenti stradali esodati e “the italian job”
Torniamo ai dati, la cui pubblicazione, avvenuta il 29 marzo scorso, inquieta moltissimo e il perché è molto semplice: accanto a paesi come l’Estonia, Cipro e Malta, che vedono crescere il numero delle persone uccise sulla strada rispettivamente del 29, del 18 e del 13 per cento, ci sono  numeri di stati tradizionalmente virtuosi che fanno accapponare la pelle: in testa la nazione che ha inventato Visione Zero, la Svezia, che vede crescere la mortalità d’asfalto del 18%, seguito dal Lussemburgo (+13%), dalla Germania (+10%) e dal Regno Unito (+5%).
Spiccano anche i casi della Polonia e del Belgio, rispettivamente +7 e +4%, che confermano quanta trasversale e nefasta democrazia corra (e non è un eufemismo) sulla strada…
Cosa accade?
Si tratta di dati ancora provvisori, almeno fino al novembre 2012, periodo nel quale l’Italia – ultima tra i partner europei – renderà noto il proprio bollettino.
Il nostro paese, lo ribadiamo, è quello che fornisce il dato più lacunoso (e spesso più sbagliato) di tutti: nel rapporto che l’UE elabora a proposito del 2011 e che fonda le nostre ricerche, l’Italia appare come un paese dalla sinistrosità sostanzialmente stagnante, con una diminuzione della letalità pari al 4%. Il problema è che si tratta di dati parzialissimi, riferiti al numero degli incidenti rilevati da Polizia Stradale e Carabinieri, ai quali mancano i numeri della Polizia Locale che, sia ben inteso, rileva il 65,5% dei sinistri.
La Polizia Stradale ricostruisce solo il 18,2% dei sinistri, mentre il 16,1% delle dinamiche è frutto del lavoro dei Carabinieri: il restante 0,2% è opera di non meglio precisati altri organi di rilevazione.
Dove sono gli incidenti? Quanti sono? Riusciamo a sapere perché avvengono?
La risposta è purtroppo semplice: no.
L’Associazione Lorenzo Guarnieri ha effettuato uno studio sui dati Aci/Istat riscontrando  pesanti difformità nella provincia di Firenze nel 2010: 69 persone sono morte in incidenti stradali, ma il rapporto ne cita solo 58…
L’ASAPS  ha effettuato lo stesso controllo sulla provincia di Forlì Cesena, scoprendo che le vittime vere sono 39, ma quelle citate nell’annuario statistico solo 34: parliamo di 16 persone non solo morte, ma anche scomparse, in due province in cui è stato sufficiente collezionare articoli di stampa.
Dunque, è vero che l’Italia non sa fare i conti proprio su nulla? Non bastavano i pensionati senza pensione, ora abbiamo anche gli incidenti stradali mortali senza morti?
Questa difformità dei dati raccolti richiama l'improrogabile esigenza di rivedere le modalità di raccolta degli elementi valutativi degli incidenti prima di tutto da parte delle varie forze di polizia che li rilevano, insieme ad un riesame delle modalità di elaborazione dei report finali sugli incidenti da parte dell'Istituto nazionale di statistica, che dovrebbe poi contare su maggiori energie per la raccolta ed elaborazione di dati molto importanti come quelli degli incidenti stradali che altrimenti rischiano di essere assurdamente sottostimati.
Fossimo in uno di quei corridoi immaginati da Ridley Scott per ambientare il suo “Alien”, la sirena d’allarme sarebbe una costante agghiacciante: per cui non possiamo non immaginare il disappunto del commissario europeo ai trasporti  Siim Kallas, già primo ministro estone fino al 2003, letteralmente inorridito davanti all’impennata di vittime registrata nel suo paese, definito uno dei più virtuosi tra quelli dell’est europeo.
In Estonia, nel 2010, si contavano 58 vittime per milione di abitanti, mentre nel 2011 ha raggiunto quota 71. E dire che l’Estonia aveva centrato l’obiettivo europeo di dimezzare la mortalità nel decennio 2001-2010, ottenendo un eccezionale -61%, con una diminuzione annua del 10%.
“Non possiamo che definire questa situazione allarmante e inaccettabile” ha spiegato Kallas nel comunicato stampa della Commissione, precisando che “che per la prima in dieci anni assistiamo a un dato così negativo”.

L’olocausto dei motociclisti
Il tallone d’Achille restano, purtroppo, i motociclisti il cui numero di vittime rende molto difficile il conseguimento del secondo step indicato dall’Europa, che vorrebbe un ulteriore dimezzamento della mortalità entro il 2020. Le dueruote, infatti, non hanno accennato ad alcuna diminuzione nei dieci anni passati ed è proprio guardando alla preda preferita della strada che la Commissione intende impostare la propria attività nell’anno già in corso.
La tabella che pubblichiamo di seguito (mortalità stradale per Stato) mostra certamente i progressi ottenuti dal 2001:  il numero generale delle vittime, in Europa, è diminuito del 45%, con un calo medio annuo del 6% (la miglior annata è stata il 2010, con un calo dell’11%), il che significa aver salvato la vita a qualcosa come 125mila persone.
 

Il programma per il futuro: intelligenza
Nel giugno 2010, proprio quando l’Europa stava facendo del suo meglio, la Commissione ha adottato un piano molto ambizioso (lo step n. 2 a cui abbiamo fatto riferimento poco sopra) denominato “Programma d’azione dell’UE per la sicurezza stradale 2011/2020”, che mira, come già detto, a dimezzare il numero delle vittime nel prossimo decennio agendo sul fronte puro della prevenzione: normative più rigide per l’immatricolazione e la circolazione dei veicoli (tra questi sia quelli commerciali che le dueruote), miglioramento della formazione degli utenti della strada, “law enforcement” mirato al rafforzamento di controllo del rispetto delle regole.
Si dice che molto si cercherà di fare sul fronte della progettazione e messa in commercio di veicoli intelligenti. Una sconfitta per l’uomo: non credeva forse di essere lui, l’unico essere intelligente sulla terra?
Beh… se non fa di conto della sua vita, poveri noi.

* Redazione ASAPS

 

Blibliografia e Fonti

 

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/12/326&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=en

VISIONE ZERO è un progetto di sicurezza stradale ideato e adottato in Svezia nel 1997 con il proposito di ottenere un sistema di autostrade con nessun incidente o ferito grave. Il principio su cui si basa la visione è che "la vita e la salute non possono mai essere scambiati per altri benefit” (ad esempio un rimborso assicurativo) all'interno della società.  Si spera cioè l’approccio convenzionale per il quale  alla vita e alla salute viene associato un valore monetario che viene poi utilizzato per fare una valutazione costi benefici prima di investire denaro nel sistema stradale, per diminuirne i rischi.

 http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/11/843&format=HTML&aged=0&language=IT&guiLanguage=en
 Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 6 luglio 2011 relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale (17506/1/2010 – C7-0074/2011 – 2008/0062(COD)

 Rapporto ACI-Istat sulla sinistrosità italiana del 2010. Dati diffusi in data 9 novembre 2011.
 Road Safety Programme 2011-2020: detailed measures

 

 

 

 

Fonte COMMISSIONE EUROPEA

Lunedì, 23 Aprile 2012
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