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da Il Centauro n.98 - Settembre 2005 - Happy Hour, binge driwking, alcolpops. Viaggio nelle nuove mode e nuovi rischi dell’alcol

da Il Centauro n.98 - Settembre 2005

Happy Hour, binge driwking,
alcolpops. Viaggio nelle nuove mode e nuovi rischi dell’alcol

di Roberto Rocchi

Più di una volta abbiamo parlato delle nuove droghe che, soprattutto fra i giovani, sostituiscono quegli stupefacenti oramai considerati superati o che trovano interesse soltanto in quelle categorie di persone spesso agli ultimi posti della scala sociale.
Analogamente, anche il modo di bere si evolve e cerca di presentarsi alla giovane utenza in maniera più dinamica e accattivante possibile e non è un caso se in questi ultimi anni sono nate nuove “mode” rivolte proprio ai ragazzi ed alle persone giovani in genere.
Prima fra tutte “l’happy hour”, cioè l’ora dell’aperitivo, un rito che pare avere conquistato larghe fette di giovani e giovanissimi e che si consuma sempre in compagnia. Nulla di particolarmente strano: si tratta di andare in uno di quei whine-bar che spuntano come funghi in tutte le città italiane e sedersi al tavolo con gli amici sorseggiando, per qualche ora, l’aperitivo proposto dalla casa.
La cosa funziona e mentre negli ultimi vent’anni pare sensibilmente diminuito il consumo generale di alcolici, quello degli aperitivi è un mercato in costante crescita e che anche quest’anno ha permesso di realizzare un incremento del 12 per cento.
Non è un caso se tra il 1998 ed il 2001, dicono le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il numero di giovani di età compresa tra i 14 ed i 16 anni che bevono alcolici è cresciuto del 13 per cento, mentre analizzando l’intera popolazione la percentuale di coloro che consumano abitualmente bevande a base di alcol è prossima al 75 per cento. Lo conferma anche un’indagine compiuta dal ministero della Salute nel 2002, che ha messo in evidenza come il “battesimo” del primo bicchiere avviene in Italia attorno agli 11-12 anni, quando la media europea non scende sotto i 14 anni.
Fra le altre cose, oltre il 12 per cento dei giovani italiani preferisce bere lontano dai pasti ed ogni anno cresce il numero dei ragazzi che consumano abitualmente alcolici (870 mila nel 2001, contro gli 848 mila del 2000 ed i 781 mila del 1998).
Non solo.
L’Oms ha più volte ribadito come il consumo di alcolici non dovrebbe cominciare prima dei 16 anni e questo per permettere all’organismo di possedere un sistema enzimatico capace di smaltire l’alcol che, altrimenti, anche se assunto in modestissime quantità potrebbe nuocere eccessivamente ad alcune funzioni vitali del corpo.
Per questo motivo, vige anche in Italia il divieto di vendita degli alcolici ai minori di 16 anni all’interno dei locali pubblici, anche se la legge può comodamente (e legittimamente) essere aggirata acquistando un’intera bottiglia al supermercato o nei negozi specializzati.
Secondo i ricercatori dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol, si beve per socializzare e sentirsi più sicuri di sé e superare quei piccoli difetti che sono tipici di ogni ragazzo in età adolescenziale (timidezza, difficoltà ad instaurare dialogo coi coetanei, presunti difetti fisici, ecc…).
A onor del vero, la situazione italiana non è fra le peggiori in assoluto.
Anzi, da un certo punto di vista potrebbe anche soddisfare, soprattutto per quanto riguarda la frequenza con cui si beve: in Danimarca, ad esempio, il 36 per cento degli adolescenti dichiara di ubriacarsi tre volte la settimana, contro il 7 per cento della media italiana.
Ed anche il cosiddetto “binge drinking”, cioè il consumo in una sola volta di almeno quattro o cinque bicchieri contenenti alcolici diversi fra loro per ottenere immediatamente lo sballo, è un fenomeno poco diffuso dalle nostre parti: si parla di una media nazionale del 13-15 per cento, contro il 40 per cento che si registra in Gran Bretagna.
Eppure, l’andamento della curva commerciale che riguarda gli alcolici “non tradizionali”, come lo sono appunto gli aperitivi, è in costante incremento e nel corso del 2003 il fatturato ha superato in Italia i 130milioni di euro. In gran parte consumati proprio nei locali giovanili.
La tendenza è stata infatti oggetto di studio da parte dei grandi comunicatori di mercato e per attirare l’interesse dei giovanissimi sono state “create” nuove bevande, coloratissime, che hanno preso il nome di “alcolpops”.
Si tratta di prodotti alcolici camuffati da bibite analcoliche e che richiamano mode e tendenze giovanili e per questo vengono proposte proprio nei locali di divertimento.
La legge vieterebbe qualsiasi forma di pubblicità rivolta ad un pubblico minorenne, ma i “cavilli giuridici” che le grandi aziende produttrici sanno sfruttare, rendono sempre più difficile la possibilità di controllo ed i messaggi pubblicitari riescono a trovare spazio in ogni ambito sociale.
Per accorgersene basti pensare ai quasi 3 milioni di italiani che soffrono periodicamente di disturbi legati al consumo di alcol (e non all’abuso, si badi bene) oppure al milione di alcolisti costantemente seguiti dalle strutture sanitarie. 
Senza poi considerare che il 10 per cento dei ricoveri ospedalieri trova ragione proprio nell’alcol (sono quasi 40 mila coloro che muoiono per cause dirette o indirette legate all’alcol), così come una larga parte dei circa 8.000 morti che si registrano sulle strade italiane come conseguenza diretta degli incidenti stradali.
Il pericolo maggiore, sottolineano però i funzionari dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, nasce dal fatto che non tutti si accorgono di bere eccessivamente e spesso si ritiene di avere bevuto in maniera moderata. Ecco perché si verificano numerosi sinistri stradali, soprattutto nelle notti di fine settimana.
Altro dato saliente riguarda la possibilità di capire quale sia il limite massimo di ciascuno.
Poiché non si può pretendere di fornire di un etilometro ogni consumatore, allora occorre fare un raffronto sulla quantità bevuta.
Tralasciando il vecchio e non efficace metodo di provare a camminare su di una striscia diritta, molto meglio è sapere che due o al massimo tre bicchieri di vino sono sufficienti per entrare nella zona “Cesarini” del limite alcolemico, mentre se agli stessi viene associato anche un solo bicchiere di superalcolico (whischy, grappa, gin), il risultato positivo è scontato.          Non esiste tuttavia un preciso indicatore entro il quale si possa ritenere di essere nel limite di legge, anche perché molto dipende dal peso, dall’età e dalle condizioni di salute del soggetto bevitore.
Molto più facile è sapere che il fegato può smaltire in un’ora un solo bicchiere di alcol, così chi ne ingerisce tre o quattro dovrebbe attendere almeno lo stesso numero di ore prima di mettersi al volante di un auto o cominciare una qualsiasi attività che richieda prudenza o attenzione.
E sarà forse per questo motivo che negli Stati Uniti, pur potendo conseguire la patente di guida tra i 14 ed i 16 anni (a seconda dello Stato federale), non è possibile acquistare alcolici se non si sono compiuti 21 anni e coloro che vengono fermati per guida in stato di ebbrezza possono finire in galera anche per 30 giorni!
Questo significa che un giovane neopatentato americano, almeno in teoria, diventa prima conducente e soltanto 5-6 anni dopo può rischiare di sbronzarsi, mentre in Europa ed in Italia succede l’esatto contrario.
Come influenzare allora i giovani e convincerli che bere è un forte rischio?
L’ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia, ha lasciato al suo successore il compito di programmare la campagna contro l’alcol.
Entro breve, infatti, l’Istituto superiore della sanità metterà a punto un kit informativo da distribuire nelle scuole superiori e che potrà essere richiesto gratuitamente dagli insegnanti.   Nel video si racconta di una storia di amore nel quale l’alcol gioca la sua parte ed attraverso il lieto fine si manderà un messaggio chiaro ai ragazzi: non bere ti aiuta a vivere meglio, anche quando sei solo.
Nonostante questi buoni intenti, molti dubitano che le strategie allo studio possano andare in porto e come al solito ci si limiti a enunciare grandi proclami per andare poi ad affrontare una guerra senza armi: sono tanti, infatti, gli interessi in gioco, fermo restando che qualsiasi tipo di divieto sui giovani fatica ad attecchire.
Molto meglio, sostengono dalla rivista medica “The Lancet”, limitare ad informare senza nulla vietare.
Molto meglio, diciamo noi, evitare di bere quando poi ci si deve mettere alla guida.
Le cosiddette “stragi del sabato sera” non sortiscono grandi effetti fra gli adolescenti, ma le famiglie che ne rimangono le inconsapevoli e innocenti vittime, invece, trascinano il loro dramma per l’intera vita.

 


Giovedì, 13 Ottobre 2005
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