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L’alcol: dalle origini ai giorni nostri

da Il Centauro n.98 - Settembre 2005

L’alcol: dalle origini ai giorni nostri

di Roberto Rocchi

Il consumo di alcolici non è cosa recente e fa parte a pieno titolo della storia e della tradizione di ciascun popolo. In ogni cultura, infatti, sono sempre esistite sostanze in grado di alterare lo stato psico-fisico della persona e l’alcol è fra queste sostanze, il cui capostipite è senza ombra di dubbio il vino.
Non è un caso se la “passione” per questa bevanda era già in uso ai tempi dei Sumeri, ma anche di Egizi ed Ebrei, per non parlare dei cristiani che l’hanno inserita nella liturgia ecclesiale a pieno titolo e non solo simbolico. Nel più antico poema al mondo che si conosca, Utnapishtim, colui che potremmo definire il Noè dei Sumeri, voleva salvare il genere umano da morte certa e per questo offrì vino bianco e rosso ai carpentieri che stavano costruendo l’arca per accelerarne il lavoro. Sarà pure una strana coincidenza, ma anche nella Bibbia cristiana la scoperta del vino è attribuita proprio a Noé. Molti teologi si sono domandati se dietro questa inconsueta casualità vi fosse qualcosa di più arcaico e profondo.
Persino Socrate e Platone ne facevano abbondante uso e questo perché nell’antichità si pensava che il vino potesse “aprire le menti” e per lo stesso motivo doveva essere privilegio di pochi. Senza poi considerare il fatto che alcune religioni vedevano nell’ubriacatura il modo migliore per raggiungere l’estasi mistica.
In Europa il vino giunse dalla Mesopotamia prima e dall’Egitto poi, tanto che lo storico greco Erodoto ne attribuì la conoscenza alla festa che si svolgeva ogni anno nella città sacra di Bubasti, sulle rive del Nilo. In quel contesto uomini e donne giungevano già ubriachi e festanti e si continuava così per diversi giorni come fosse l’anticipazione della più moderna ma ugualmente frastornante “Oktoberfest” bavarese.
Al dio egiziano Dioniso, inoltre, erano consacrate le “baccanti”, cioè le sacerdotesse che dopo essersi ubriacate danzavano ed organizzavano orge rituali. Anche nell’Odissea si parla di vino, anzi di “nettare degli Dei” e Ulisse lo offrì a Polifemo per poterlo colpire nell’unico occhio che sotto i lumi dell’alcol non poteva vedere le sue abili mosse. Si potrebbe proprio dire che l’alcol toglie il lume dagli occhi. I greci, dunque, ben conoscevano gli effetti deleteri di questa bevanda e non è un caso se la storia ci insegna che persino i Pitagorici si riunivano per bere e discutere, senza però mai esagerare per conservare un poco di lucidità. Anche la filosofia diede il suo contributo di pensiero, in quanto si racconta che Platone beveva ma non si ubriacava, pensando che il vino fosse un mezzo per pensare al di fuori dagli inganni del corpo, facendo così emergere le verità nascoste. In sostanza, secondo Platone, l’alcol era una sorta di banco di prova, nel quale si poteva capire se una persona era in grado di non farsi travolgere dalle vaghe emozioni, rappresentando nel contempo come egli era realmente attraverso l’accentuazione dei pregi e dei difetti. Di parere opposto Aristotele, che fu invece il primo studioso degli effetti deleteri dell’alcol e fondò persino una corrente critica a quanti consumavano vino. Quanto più si diffondeva la bevanda, infatti, tanto più si formava una morale di contrasto.
In Italia la vite fu diffusa dai Greci e gli Etruschi ed i Romani ne fecero immediato uso (quale farmaco e persino doping) per i soldati in battaglia. Per Orazio il vino alleggeriva l’esistenza ed era una comoda “via di fuga”. Attenzione però… nell’antichità nessuno guidava la macchina!
Con l’avvento del Cristianesimo, invece, il vino assume una forte valenza simbolica che si tradusse poi in qualcosa di ancor più importante: dalle parabole sulla vite, al miracolo delle nozze di Cana, fino all’ultima cena, il vino dei cristiani si tramuta nel sangue di Cristo. Un vero miracolo su cui fondare la Fede.    Un uso simile a quello dei Romani avvenne nel Medioevo, quando le masse contadine assunsero il vino come alimento per alleviare la dura fatica dei campi, mentre col successivo Razionalismo esso divenne una sostanza inebriante da evitare a tutti i costi per far risaltare il primato dell’uomo. A rivalutarlo sarà il Romanticismo fino ai giorni nostri, quando al vino e più in generale agli alcolici, sarà dato un significato festante e di allegria: lo dimostra il fatto che si consumano vino, birra, spumanti e champagne in occasione di battesimi, matrimoni, feste e persino per augurare ogni buon auspicio a Capodanno.
Infine, appare curioso e divertente terminare l’analisi storica sul consumo di alcolici e del vino in particolare, con le massime di alcuni importanti scrittori e persino di premi Nobel.   Alessandro Manzoni: “Alle volte quando il vino va giù è lui che parla e non l’uomo che lo beve”.
Giacomo Leopardi: “Il vino è il più grande ed efficace consolatore”.
Lord Byron: “Non esistono donne brutte, dipende solo da quanta wodka bevi”.
Oscar Wilde: “In casa della gente sposata lo champagne raramente è di marca”.
Francis Scott Fitzgerald: “Prima prendi un drink, poi il drink ne prende un altro e infine prende te”.
Allora molta attenzione all’alcol e sempre assolutamente lontano dalla guida!

 



di Roberto Rocchi

da Il Centauro n.98 - Settembre 2005
Giovedì, 13 Ottobre 2005
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