Sinistri stradali: GdP di Napoli ''aggira'' la mediazione obbligatoria
L'interessante sentenza 23 marzo 2012 del GdP di Napoli aggira il problema della mediazione obbligatoria per quanto riguarda le cause rientranti nella competenza del Giudice di Pace.
Nella causa in questione, la controparte aveva sollevato l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatorio di cui al D.Lgs. 28/2010, trattandosi di controversia concernente il risarcimento di danni derivanti dalla circolazione di autoveicoli.
Il GdP di Napoli rigetta l'eccezione, sostenendo che il procedimento dinanzi al Giudice di Pace già prevede sia la conciliazione in sede contenziosa, in virtù dell'art. 320 comma 1 c.p.c, che in sede non contenziosa ai sensi dell'art. 322 c.p.c.
Per cui, non avendo il D.Lgs. 28/2010 previsto alcuna abrogazione delle suddette norme del codice di procedura civile, "nel procedimento dinanzi al giudice di pace vanno applicate le disposizioni di cui al libro II, titolo II, dall'art. 11 al 322 c.p.c.".
"Una diversa interpretazione", continua il giudice, "non solo sarebbe in contrasto con il delineato quadro sistemico ma si rivelerebbe manifestamente illogica. Ed invero l'intento deflattivo che si è proposto il legislatore è stato assecondato proprio dall'istituto del giudice di pace che è nato (nomen omen) con lo scopo di favorire la conciliazione delle controversie che può avvenire nella fase giudiziale ex art. 320 c.p.c. Ovvero in quella stragiudiziale azionabile ex art. 322 c.p.c. E pertanto sarebbe paradossale escludere dal processo conciliativo un istituto che è nato precipuamente per lo svolgimento di tale finalità".
Quindi, il Gdp di Napoli ha statuito che, nei giudizi instaurati innanzi al Giudice di Pace ed aventi ad oggetto controversie su materie in ordine a cui costituisca condizione di procedibilità il previo esperimento del tentativo di mediazione ex art. 5 del D.Lgs. 28/2010, non si debba applicare la disposizione normativa medesima in quanto a ciò osta la sussistenza degli artt. 320 e 322 del codice di procedura civile, in base ai quali nell'ambito del rito dinanzi al GdP sono già contemplati istituti di composizione bonaria delle controversie.
Il giudice aggiunge, inoltre, che comunque il mancato esperimento del tentativo di mediazione non comporta affatto l'improcedibilità della domanda, quanto piuttosto obbliga il giudice ad assegnare alle parti un termine di 15 giorni per la proposizione dell'istante con la fissazione di una successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 6 del decreto suddetto (cioè 4 mesi dalla scadenza dei 15 giorni).
La sentenza, ben argomentata, presenta un vizio di fondo, in quanto dinanzi ad una eccezione di parte avrebbe dovuto applicare correttamente la disciplina legislativa, nel senso di riaffermare la obbligatorietà del tentativo di mediazione dinanzi ad uno degli organismi accreditati presso il Ministero della Giustizia, adottando i provvedimenti di cui all’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 28/2010 e disponendo il rinvio della udienza, anziché procedere oltre nell’esame del merito.
Il non averlo fatto getta un’ombra sulla sentenza del GdP di Napoli, che significa di fatto la sostanziale abrogazione della mediazione obbligatoria, e sulla iniziativa di matrice forense volta a riportare dinanzi al Giudice di Pace la conciliazione nella materia delle controversie concernenti le controversie relative al risarcimento danni da circolazione di veicoli (e natanti), che trae spunto dalla pronuncia che si annota.
( Nota di Vittorio Raeli)
Giudice di Pace di Napoli
Sezione II
Sentenza 23 marzo 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Napoli Avv. Felice Alberto D'Onofrio, II Sezione,
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
...omissis...
Oggetto: risarcimento danni Conclusioni: come da verbali ed atti di causa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificato, l'istante, il quale aveva stipulato con la convenuta polizza ...omissis....
Radicatosi il contraddittorio, si costituiva la convenuta che impugnava la domanda chiedendone il rigetto preliminarmente eccependo improcedibilità della domanda per mancato esperimento della media-conciliazione nonché incompetenza per valore, indi disposto decidersi le eccezioni preliminari unitamente al merito della controversia ex art. 187 c.p.c. - 321 c.p.c., precisate le conclusioni di cui in epigrafe, all'udienza del 12/03/12, la causa veniva riservata a sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminatala questione della applicabilità al presente giudizio della media-conciliazione. Invero, non vi è dubbio che la materia trattata rientri in quelle previste dall'art 5 comma I del d.lgs. 28/10 tuttavia, va osservato che una nuova norma non può essere considerata avulsa dal contesto preesistente ma va applicata ed interpretata all'interno dell'ordinamento giuridico nel quale si inserisce.
Nel caso specifico va affrontato il rapporto tra il predetto d.lgs., il giudizio dinanzi al giudice di pace e l'art. 322 c.p.c.
Ebbene per risolvere eventuali antinomie l'ordinamento giuridico deve avere una propria coerenza sistemica con la conseguenza che il giudice secondo criteri logici o positivamente presenti, deve stabilire quale sia la norma da eliminare o da applicare al caso concreto.
Come è noto i criteri di risoluzione delle antinomie, sono quattro quello cronologico (lex posterior derogat priori), quello della specialità (lex specialis derogat generali), quello gerarchico (lex superior derogat interiori), ed, infine quello della competenza.
In particolare secondo il criterio di specialità va considerato il brocardo "lex posterior generalis non derogat priori speciali". Detto criterio, anche questo avente natura logico teoretica, limita l'applicazione di quello cronologico, poichè nel caso della norma speciale il rapporto contenutistico prevale sulla dimensione temporale.
In questo quadro va contestualizzato l'art. 311 c.p.c. il quale prevede espressamente che "il procedimento dinanzi al giudice di pace per tutto ciò che non è regolato nel presente titolo o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica in quanto applicabili".
Ebbene, la predetta disposizione, come già puntualmente evidenziato dalla Suprema Corte con ord. n. 21416/08, non soltanto si pone in rapporto di specialità rispetto al procedimento dinanzi al Tribunale, ma si configura come "metanorma" in quanto indica il modo di legiferare in ordine al rito processuale applicabile dinanzi al giudice cui si riferisce.
In particolare, la norma dispone in via diretta che il procedimento dinanzi al giudice di pace è regolato dalle norme del titolo secondo del libro secondo e, per ciò che esse non regolano, da quelle sul procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica (di cui al capo terzo del titolo primo di detto libro), ed esige che un diverso regolamento risulti da altre espresse disposizioni. Ne discende che una norma sul rito può essere applicata al Giudice di Pace solo se essa lo disponga espressamente altrimenti continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al predetto titolo II.
Va, altresì, osservato che il procedimento dinanzi al Giudice di Pace già prevede sia la conciliazione in sede contenziosa in virtù dell'art. 320 comma I che e in sede non contenziosa (non prevista invece dinanzi al Tribunale) ai sensi dell'art. 322 c.p.c. e tale istituto preesistente al d.lgs. 28/2010, de quo vertitur, essendo stato introdotto sin dall'istituzione del giudice di Pace (L. 374/91).
Il predetto art. 322 c.p.c. detta al primo comma le modalità di presentazione della istanza, la quale può essere proposta anche verbalmente al giudice di Pace competente per territorio secondo le disposizioni della sezione III, capo I, titolo, I libro I mentre al comma 2 precisa che il processo verbale di conciliazione non contenziosa costituisce titolo esecutivo, a norma dell'art. 185, ultimo comma, se la controversia rientra nella competenza del giudice di Pace.
Dunque il d.lgs.28/10 non contiene alcun richiamo al giudice di Pace nè dispone espressamente l'abrogazione degli art. 320 e art. 322 c.p.c. ne deriva che in conformità a quanto affermato dalla Suprema Corte, nel procedimento dinanzi al giudice di Pace vanno applicate le disposizioni di cui al libro II, titolo II, dall'art.311 al 322 c.p.c..
Una diversa interpretazione non solo sarebbe in contrasto con il delineato quadro sistemico ma si rivelerebbe manifestamente illogica. Ed invero l'intento deflattivo che si è proposto il legislatore è stato assecondato proprio dall'istituto del giudice di pace che è nato (nomen omen) con lo scopo di favorire la conciliazione delle controversie che può avvenire nella fase giudiziale ex art. 320 c.p.c. ovvero in quella stragiudiziale azionabile ex art. 322 c.p.c. e pertanto sarebbe paradossale escludere dal processo conciliativo un istituto che è nato precipuamente per lo svolgimento di tale finalità.
Sotto altro profilo va, in ogni caso, rilevato che il mancato esperimento o conclusione della mediazione, laddove applicabile, non comporta l'improcedibilità della domanda ma ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 28/10 l'assegnazione da parte del Giudice di 15 giorni per la proposizione della istanza con la fissazione di una successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dall' art. 6 del citato d.lgs.
Va, altresì, rigettata l'eccezione di incompetenza per valore tenuto conto che, anche senza la formulazione della clausola di contenimento, il cumulo delle domande non supera la somma prevista dall'art. 7 comma 1 c.p.c..
La legittimazione delle parti, intesa come titolarità del rapporto controverso, a differenza della Legitimatio ad causam, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (ex multis Cass. n. 21192/06, Cass. n. 4796/06, trib. Napoli XI del 28/02/06).
Nel caso di specie, non solo non è stata contestata e quindi non può essere rilevata di ufficio, ma è stata documentata dall'attestato di rischio versato in atti.
Nel merito la domanda è fondata e va accolta. Invero l'art 5 comma 2 D.L. n.7 del 31/01/01 (cd. decreto Bersani Bis) convertito in legge n. 40 del 02/04/07, aggiungendo all'art. 134 i commi 4 ter e quater ha espressamente previsto al predetto comma 4 ter: "Conseguentemente al verificarsi di un sinistro, le imprese di assicurazione non possono applicare alcuna variazione di classe di merito prima di aver accertato l'effettiva responsabilità del contraente, che è individuata nel responsabile principale del sinistro, secondo la liquidazione effettuata in relazione al danno e fatto salvo un diverso accertamento in sede giudiziale.
Ove non sia possibile accertare la responsabilità principale, (ovvero, in via provvisoria, salvo conguaglio, in caso di liquidazione parziale.) la responsabilità si computa pro quota in relazione al numero dei conducenti coinvolti, ai fini della eventuale variazione di classe a seguito di più sinistri" ed al successivo comma 4 - quater : "È fatto comunque obbligo alle imprese di assicurazione di comunicare tempestivamente al contraente le variazioni peggiorative apportate alla classe di merito.»
Nel caso di specie a fronte di quanto lamentato dall'attore il quale ha documentato il declassamento versando in atti l'attestato di rischio, l'onere della prova incombeva sulla impresa assicurativa.
Di contro l'assicuratore non ha documentato di aver interpellato l'istante, posto che per esplicita statuizione normativa sull' assicuratore ricade l'onere, prima di liquidare il danno, di accertare la responsabilità dell'incidente nè di avergli comunicato, in violazione dell'art. 1917 C.C., la volontà di voler pagare al danneggiato l'indennità dovuta; infine, in violazione a quanto previsto dal citato art. 4 ter non ha dato prova di aver tempestivamente avvisato l'assicurato della variazione della classe di merito.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità del declassamento con la condanna della impresa assicurativa ad assegnare all'attrice la 2° classe.
Per quanto concerne la ripetizione delle somme indebitamente percepite va osservato che l'istante non ha versato in atti le relative polizze e quindi non è possibile quantificare l'importo indebitamente pagato. In ogni caso, ritenuta l'esistenza ontologica del danno, stante la difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare, si procede alla liquidazione in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c.
Ed invero è pacifico in giurisprudenza che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli art, 1226 e 2056 cod. civ., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (ex plurimis Cass. 22447/11, 10607/10) e pertanto la convenuta va condannata al pagamento di euro 300,00 oltre interessi dalla domanda. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
pronunciando definitivamente sulla causa promossa come in narrativa, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, cosi provvede:
- accoglie la domanda principale e condanna l'impresa assicurativa convenuta ad assegnare alla società istante la 2° classe di merito nonché la condanna al pagamento in favore della predetta attrice della somma di euro 300,00, oltre interessi;
- condanna, infine, la convenuta al pagamento in favore dell'avv A., distrattario, delle spese di lite che liquida, di ufficio in assenza di nota spese, in euro 40,00 per spese, euro 300,00 per diritti ed euro 190,00 per onorario di avvocato, oltre rimborso spese forfettarie, cpa, iva.
Napoli, li 23/03/12
Il Giudice di Pace
Avv. Felice A. D'Onofrio
da Altalex