CRONACA DI UN DESOLANTE VIAGGIO NELLE ZONE COLPITE DAL TERREMOTO
Di Roberto Rocchi
Consigliere nazionale ASAPS e responsabile settore protezione civile
Rientro in fretta da Roma, l’ennesima violenta scossa tellurica che ha riportato il terrore sui volti delle genti emiliane non lascia tregua e mi si chiede un sopralluogo sul posto per calibrare al meglio gli aiuti del gruppo di protezione sociale dell’Asaps, sempre pronto a partire.
Parto da Bologna e mi dirigo verso la campagna, costeggiando piccoli centri quali Stiatico, Malacappa, Padulle, Argelato. Si nota qualche vecchio fienile con il tetto abbattuto, forse il terremoto ha ulteriormente danneggiato ciò che lo era già da tempo, le persone paiono tranquille, continuano a svolgere le loro attività attorno a casa, sui campi, lungo le strade. Proseguo per alcuni chilometri e giungo nei pressi di Cento, dove si cominciano a intravedere mezzi della protezione civile e della polizia di Stato che fanno rientro a Bologna. Qualche fettuccia plastificata a strisce bianco-rosse è posta attorno a vecchi stabili, pezzi di cornicione sono visibili attorno a un paio di case, la gente mi sembra serena.
Mi dirigo verso Crevalcore e decido di fermarmi nei pressi di alcune abitazioni disseminate nella fertile pianura bolognese. Parlo con alcuni contadini intenti a sistemare gli animali nella stalla e mi accorgo che dietro l’apparente calma c’è tanta inquietudine. Gli animali sono stati agitati tutto il giorno, le mucche producono meno latte e pare che abbiano gli occhi sgranati dal terrore, i cani stanno rintanati nelle cucce e non abbaiano. Si vedono le prime roulotte e camper sistemati fuori dalle abitazioni: sono di proprietà o prestati dai parenti che abitano lontano da queste zone.
Arrivo a Crevalcore. Il paese lo conosco bene, la via centrale racchiusa tra i due torrioni è un simbolo e insieme un riferimento. Le transenne vietano il passaggio, alcuni volontari cacciano i curiosi che intendono scattare fotografie e non si capisce per ricordare cosa. Dicono che persino la caserma dei carabinieri ha subito danni. Proseguo.
Lungo la provinciale che porta a Camposanto (che ironia il nome…) le abitazioni sono costellate da tende da campeggio, camper, gazebi, persino tendoni di plastica opportunamente sistemati su pali in legno così da costituire un riparo per la notte. Tutte le vetture sono in strada, fuori dai garage, lontane dalle case. Nei pressi di Finale Emilia si legge la disperazioni sui volti delle persone, sono stanche, esauste da un sisma che non accenna a finire e si fa sempre più rabbioso. Alcune persone sono all’interno delle vetture, c’è chi ha sistemato coperte e cuscini sui monovolume e persino a bordo delle utilitarie. Alcuni mezzi della croce rossa e delle pubbliche assistenze girano fra i paesi per verificare eventuali necessità sanitarie.
Arrivo a Finale Emilia, nel modenese. E’ un dramma. Il cuore dell’Emilia, di quel territorio formato da gente accogliente e laboriosa è in ginocchio. Dietro una delle tante tendopoli allestite dalla protezione civile alcuni bambini giocano a calcio incuranti delle scosse che, di tanto in tanto, ricordano lo stato delle cose. Le decine di lampeggianti dei mezzi di soccorso rendono ancor più inquieto il tramonto che preannuncia un’altra notte di paura. C’è una scossa, qualche grido, un sorriso, una frase: “oramai siamo abituati”.
Mi dicono che a Cavezzo, subito dopo Mirandola, il paese è in ginocchio. Parto. Passando da Mirandola incontro un paio di pattuglie della Polizia Stradale. I ragazzi sono in piedi dalle prime ore del mattino, non hanno smesso di fare servizio nemmeno per mangiare, chiamano continuamente casa, rassicurano i tanti rimasti fuori dalle abitazioni, accolgono i grossi mezzi della protezione civile che trasportano gru e attrezzature. Sono provati, alcuni di loro senzatetto, ma continuano a fare il loro dovere. Bravi.
Alle porte di Cavezzo si presenta l’ennesimo dramma: il paese è pressoché “recintato” da transenne e fettuccine bianco/rosse, solo i residenti possono transitare. Il centro storico è presidiato da alcuni agenti del Corpo Forestale dello Stato. Un intero edificio è crollato, idem il tetto della chiesa, alcuni vecchi edifici sono fortemente lesionati. Il pericolo di crollo è imminente. Intanto, sul mio telefonino decine di persone mi chiamano chiedendo cosa abbiamo intenzione di fare, garantiscono disponibilità, sostegno, eventuali contributi.
Lungo la striscia verde che costeggia il paese si è formata una sorta di tendopoli spontanea: tende di ogni genere, roulotte, gazebo di forme e colori diversi accolgono decine di famiglie. La protezione civile ancora non ha impiantato un sistema organizzato di soccorso. Mi fermo, parlo con alcune persone, un signore sulla cinquantina è appena tornato dalla propria abitazione dove si è recato per prendere coperte e pigiami. Ha sentito una piccola scossa, è fuggito spaventato lasciando quanto aveva in mano.
Un’anziana signora piange, ha male al piede, chiede quando la sistemeranno in maniera più dignitosa, un’amica la conforta e piange anch’essa. Un paio di volontari della protezione civile rassicurano che una colonna di aiuti è partita da Roma, giungerà l’indomani, invitano ad avere pazienza, raccontano cosa sta succedendo negli altri paesi.
Il terremoto che ha attraversato l’Emilia, e l’ha tagliata come il burro, è davvero di portata disastrosa, non fosse per il sottosuolo argilloso e la qualità costruttiva delle abitazioni il numero delle vittime sarebbe ben diverso e più tragico. Il fenomeno sismico è anomalo, mai si erano registrate così tante scosse della stessa portata e in breve tempo. Il terrore è sul volto delle persone, la stanchezza idem, ma la voglia di reagire la si denota anche fra le persone più anziane. Si chiedono mezzi e strumenti per ricominciare, subito, senza attese.
Ora però si vive ancora la fase di prima emergenza. Occorrono aiuti organizzati, mirati, efficaci. Ci siamo anche noi dell’ASAPS, vogliamo dare il nostro contributo che non abbiamo mai fatto mancare come a L’Aquila, come in Umbria, come per l’inondazione in Liguria e Lunigiana a chi si è trovato difficoltà. Il tempo di riordinare le idee e poi partiremo.
Il terremoto è in casa nostra questa volta, non possiamo mancare.