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Notizie brevi , Articoli 15/06/2012

Campobello di Mazara: nell’incidente provocato dal ragazzo in stato di ebbrezza morirono due bambini e la loro madre
Il padre, ferito, si uccise mesi dopo

Due anni di carcere al guidatore e neppure il ritiro della patente: ingiustizia è fatta

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di Lorenzo Borselli

 

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(ASAPS) MARSALA (TRAPANI), 15 giugno 2012 – La giustizia va veloce, a volte. Va così forte che non facciamo nemmeno in tempo a smettere di piangere Martina e Vito Quinci, di 12 e 10 anni, la loro madre Lidia Mangiaracina, di 37, e il loro padre Baldassare, 43enne maresciallo dell’Aeronautica, ed ecco che bisogna farlo di nuovo. E qui bisogna rifare, per la milionesima volta, la milionesima premessa: rispettiamo le sentenze e rispettiamo chi le emette.
Però, diciamo che a volte non siamo d’accordo, come in questo caso.
A un anno e cinque mesi dalla sciagura di Campobello di Mazara (Trapani), avvenuta il 15 gennaio 2011 e provocata dal 22enne Fabio Gulotta in stato di ebbrezza alcolica, il GIP di Marsala ha condannato il giovane a due anni di carcere e neppure il ritiro della patente.
Pena, ovviamente, sospesa. Inutile dire che il Gulotta non ha fatto nemmeno un giorno di carcere, visto che anche se scontasse due interi anni in cella, la pena ci sembrerebbe comunque esigua.


Guidare a velocità altissima (si disse che l’impatto avvenne a 120 orari, 33 metri al secondo) e con 0,72 grammi di alcol per litro di sangue, è, dunque, omicidio colposo.
Due bambini e la loro madre morirono per colpa “parziale” di un giovane. Il loro padre, sopravvissuto all’incidente, non si sarebbe fermato a uno stop, e quindi si è preso un po’ di colpa anche lui che, distrutto dal dolore, si è poi impiccato qualche mese dopo, il 10 luglio.
Che storia eh?
Un film dell’orrore così non lo scrive nessuno e figuriamoci se in una pellicola horror poteva esserci il lieto fine.
Ma si, ma si…
In fondo, che lieto fine avrebbe potuto esserci in una storia così, anche se il GIP avesse optato per un dolo eventuale, invece che per una colpa (parziale)?
Sia bene inteso: noi non ce l’abbiamo con Fabio Gulotta. Non ci importa se a soli 22 anni aveva già alle spalle un incidente stradale con feriti.
A noi importa il fatto che uccidere due bambini, la loro madre, e creare, seppur involontariamente, la condizione perché cessi la voglia di vivere di un uomo di 43 anni al quale un bicchiere di vino in più e la leggerezza di avere un bel piede pesante avevano strappato tutto, sia considerato più o meno pari al furto di una mela.
A noi importa che esista una giustizia che non è equa.
A noi importa che mentre cerchiamo di dare dignità a una morte violenta, mentre cerchiamo di fare in modo che si definisca strage anche l’uccisione di una pluralità di persone da parte di un conducente dalla guida sconsiderata, che anche definire temeraria parrebbe davvero un eufemismo, qualcuno abbia ancora il coraggio di dire che chi vuole il reato di omicidio stradale, lo fa per avere un qualche ritorno mediatico su di sé.


Se la giustizia in Italia fosse in grado di riparare, almeno formalmente, a tragedie come questa, alla quale si attribuisce un valore in termini di pena di due anni per tre morti (dunque, più o meno 8 mesi a vita, escludendo la quarta, suicida, di Baldassare), noi ci saremmo concentrati sulle cinture di sicurezza. O sul costo della carta per i nostri prontuari.
E invece siamo qua, attestati sulla prima linea di una guerra che combattiamo ancora più decisi di prima, perché qualcuno deve andare avanti nel proposito di cambiare una legge che non ripara. Che, purtroppo, guasta. (ASAPS)

 


 

Venerdì, 15 Giugno 2012
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