Due sentenze della Cassazione meritevoli di attenzione
Se la pattuglia è sprovvista di etilometro il conducente non deve seguire gli agenti
Lo stato di ebbrezza può essere provato con qualsiasi mezzo.
Commento a cura di Girolamo Simonato *
Prendo spunto dalle sentenze della Cassazione penale , sezione IV, n° 21192 del 31.05.2012 e sentenza del 01.02.2012 n° 4402.
La prima che afferma che se la pattuglia è sprovvista di etilometro il conducente non deve seguire gli agenti, mentre, la seconda afferma che lo stato di ebbrezza può essere provato con qualsiasi mezzo.
La Cassazione penale , sez. IV, con sentenza 31.05.2012 n° 21192, sotto riportata, ha di fatto escluso impianto contravvenzionale contestato ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 186, settimo comma, del codice della strada, per l’automobilista, alla richiesta degli operatori di polizia stradale, si rifiuta di seguire gli operatori di polizia al fine di sottoporsi al test alcolemico.
Trattasi di accertamento a seguito di un controllo stradale, quindi non in presenza di alcun incidente stradale.
Così hanno precisato i giudici della Corte di Cassazione, nella sezione quarta penale, con la sentenza 31 maggio 2012, n. 21192.
Come noto, la guida in stato di ebbrezza è sanzionata dall’art. 186 del d.lgs. 285/92, il quale prevede alcune fattispecie che si suddividono per fascia del tasso alcolimetrico.
Nella fattispecie oggetto di controversia un automobilista era stato fermato da una pattuglia sprovvista dello strumento per l’alcool test; avevano, quindi, chiesto al conducente di seguirli al fine di sottoporsi, appunto, a tale test presso un comando della polizia stradale (distanza oltre 30 km).
Il conducente, però, rifiutava di seguirli e si allontanava, quindi, a piedi.
Tale soggetto, in conseguenza di ciò, veniva indagato per la violazione del combinato disposto dei commi 2 2. Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato e 3 Al fine di acquisire elementi utili per motivare l'obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili. dell’articolo 186 del codice della strada; con sentenza del 18/l/2011 il G.I.P. dei Tribunale di Belluno assolveva, perché il fatto non sussiste.
La Procura della Repubblica presso lo stesso Tribunale, impugnava la già citata sentenza con la seguente motivazione: non era condivisibile l'esclusione della ricorrenza dell'ipotesi prevista dal 3 comma, in quanto la norma non prevede necessariamente che l'etilometro sia nella disponibilità della polizia operante "hinc et nunc". Pertanto, l'accompagnamento presso un posto di polizia sito a pochi chilometri di distanza non costituiva una violazione di legge, né determinava una illegittima compressione della libertà individuale.
Il rappresentante della pubblica accusa riteneva che, al contrario di quanto asserito dal tribunale, non si poteva escludere nella fattispecie concreta l’applicazione dell’articolo 186, comma 3, del codice della strada.
I giudici della Suprema Corte di Cassazione respingono il ricorso evocando, prima di tutto, il rispetto del principio di legalità in materia penale e affermando che il ricorso è infondato e deve essere rigettato, perché il settimo comma dell'art. 186 C.d.S. punisce con le pene previste dal secondo comma, lettera e), il rifiuto del conducente dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5.
Nel caso di specie, sottoposto all’attenzione della Corte, il conducente si era rifiutato di seguire gli agenti in assenza di un obbligo in tal senso, dato che gli stessi non avevano, sul luogo, lo strumento per la misurazione del tasso di alcool nel sangue e che il luogo ove recarsi distava circa una trentina di chilometri.
Ciò detto va ricordato che nel nostro ordinamento vige il "principio di legalità" secondo il quale l'esercizio del potere pubblico deve essere fondato sulla legge. Tale principio mira a preservare i cittadini dal pericolo di arbitri.
Da ciò ne consegue il rigetto del ricorso in quanto il fatto non sussiste.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 14 marzo – 31 maggio 2012, n. 21192
(Presidente Sirena - Relatore Izzo)
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18/l/2011 il G.I.P. dei Tribunale di Belluno assolveva, perché il fatto non sussiste, B.L. dalla contravvenzione di cui al settimo comma dell'art. 186 C.d.S. (acc. in (omissis)).
All'imputato era stato addebitato che, fermato dai Carabinieri alla guida di un'auto BMW, invitato a sottoporsi all'accertamento dell'alcoltest, dopo avere assentito, rifiutava l'esecuzione degli accertamenti allontanandosi a piedi dal luogo del fatto.
Osservava il Tribunale che il B., in mancanza della dotazione dell’etilometro da parte dei Carabinieri, era stato invitato da costoro a seguirlo presso un comando della Polizia Stradale sito a circa 30 km. di distanza e tale inviato era stato rifiutato dall'imputato. L'accertamento richiesto, non era riconducibile al 5 comma dell'art. 186, perché non si era verificato alcun incidente stradale; non al 3 comma, perché i Carabinieri non avevano al seguito l'etilometro; non al 4 comma, in quanto tale disposizione consente di accompagnare la persona da sottoporre ad esame "presso il più vicino ufficio o comando", circostanza non ricorrente nel caso di specie, in quanto Tesarne doveva essere svolto presso altro corpo di polizia, ad una distanza di circa 30 km. dal luogo dei fatti, in tal modo comprimendo la libertà individuale al di fuori della previsione normativa.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Belluno, lamentando la erronea applicazione della legge. Infatti, premessa la correttezza del ragionamento del giudice di merito in relazione alla non ricorrenza delle ipotesi previste dai commi 4 e 5 dell'art. 186, non era condivisibile l'esclusione della ricorrenza dell'ipotesi prevista dal 3 comma, in quanto la norma non prevede necessariamente che l'etilometro sia nella disponibilità della polizia operante "hinc et nunc". Pertanto, l'accompagnamento presso un posto di polizia sito a pochi chilometri di distanza non costituiva una violazione di legge, né determinava una illegittima compressione della libertà individuale.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Il settimo comma dell'art. 186 C.d.S. punisce con le pene previste dal secondo comma, lettera e), il rifiuto del conducente dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5.
Trattandosi di materia penale, perché possa dirsi integrata la contravvenzione contestata, è necessario che il conducente rifiuti l'accertamento così come tassativamente previsto dai commi richiamati nella norma che descrive la condotta tipica.
Nello stesso ricorso correttamente il P.M. ha ritenuto non essere stato rifiutato l'accertamento ai sensi del quarto comma, in quanto i Carabinieri non avevano "invitato" il conducente "presso il più vicino ufficio o comando" e, soprattutto, difettando il presupposto del preventivo accertamento qualitativo di cui al terzo comma (esame con etilometro).
Né il rifiuto era stato opposto ai sensi del quinto comma, difettando il presupposto di operatività della norma e cioè l'accadimento di un incidente stradale.
Il P.M. ricorrente ha valutato sussistere la tipicità del fatto del rifiuto, ai sensi del terzo comma, laddove è previsto che ".... gli organi di Polizia stradale...., nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili".
Nel caso di specie i Carabinieri, non avendo al seguito l'etilometro, avevano deciso di accompagnare il B. presso un comando della Polizia Stradale, sito a circa 30 km. dal luogo del fatto. Il B. aveva rifiutato l'accompagnamento, così vedendosi denunciato ai sensi del citato settimo comma dell'art. 186.
3.2. Ciò detto va ricordato che nel nostro ordinamento vige il "principio di legalità" secondo il quale l'esercizio del potere pubblico deve essere fondato sulla legge. Tale principio mira a preservare i cittadini dal pericolo di arbitri.
Con particolare riferimento alle modalità di espletamento degli accertamenti di cui al terzo comma dell'art. 186, la disposizione non prevede la possibilità di accompagnamento coattivo del conducente.
Né può dirsi che tale potere sia implicito nella disposizione in quanto, costituendo l'accompagnamento una limitazione della libertà personale, esso deve essere esplicitamente previsto dalla legge.
La fondatezza di tale assunto è rinvenibile nelle norme del codice di procedura penale che, nel prevedere ipotesi di accompagnamento coattivo, non solo le tipizzano, ma ne prevedono specifici presupposti e modalità di attuazione: art. 132 (accompagnamento coattivo dell'imputato); art. 133 (accompagnamento coattivo di altre persone); art. 349, c. 4, (accompagnamento per identificazione); art. 376 (accompagnamento coattivo per procedere ad interrogatorio o confronto); art. 399 (accompagnamento coattivo in sede di incidente probatorio); art. 490 (accompagnamento coattivo dell'imputato in dibattimento).
3.3. Ne consegue da quanto detto, che essendo stato intimato al B., da parte dei Carabinieri, un accompagnamento presso un distaccamento della Polizia Stradale sito ad una rilevante distanza del luogo del fatto, con conseguente sensibile limitazione della libertà del predetto B.; il suo rifiuto all'adempimento di un obbligo non dettato dall'invocato combinato disposto dei commi settimo e terzo dell'art. 186, non integra la contravvenzione prevista da dette disposizioni. Si impone pertanto il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
La Cassazione penale , sez. IV, con sentenza 01.02.2012 n° 4402 , affermando che lo stato di ebbrezza del conducente del veicolo può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente né unicamente attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'articolo 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice stradale.
Nel caso di specie, viene proposto ricorso avverso la sentenza che, a seguito di giudizio abbreviato, riconosce un conducente di auto colpevole della contravvenzione di cui all’articolo 186, lettera a) del Codice della strada, nella fascia tra 0.5 g/l e 0.8 g/l, del codice della strada, assolvendolo invece dal reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoli metrico perché (all'epoca) il fatto non era previsto dalla legge come reato (fatti accertati in data 20 maggio 2006).
Nella sentenza di condanna si rileva che si contesta l'apprezzamento sul punto sviluppato dal giudicante, sostenendosi, come ipotesi ritenuta ragionevole, che il rifiuto alla seconda prova "più verosimilmente" poteva dipendere dal malfunzionamento dell'apparecchiatura, più che al contestato rifiuto dell'imputato.
I giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso presentato, basandosi tuttavia su motivazioni diverse da quelle prospettate dalla difesa, asserendo che lo stato di ebbrezza può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo, etilometro, prova ematica, e circostanza sintomatiche del conducente, accertate dagli agenti, quali l’ammissione del conducente, l’alterazione della deambulazione, la difficoltà del movimento, l’eloquio sconnesso o l’alito vinoso.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, nel caso di specie, il giudice di merito sulla base delle risultanze ha ritenuto il comportamento dell’automobilista proprio della fattispecie di cui all’art. 186, comma 2, lett. a) del codice della strada, che tuttavia nelle more del ricorso , è stata depenalizzata.
Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 7 dicembre 2011 – 1° febbraio 2012, n. 4402
(Presidente Marzano – Relatore Piccialli)
Ritenuto in fatto
P.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in esito a giudizio abbreviato, lo ha riconosciuto colpevole della contravvenzione di cui all'articolo 186, lettera a) del codice della strada, assolvendolo invece dal reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoli metrico perché (all'epoca) il fatto non era previsto dalla legge come reato (fatti accertati in data 20 maggio 2006).
Il giudicante riteneva che a causa del mancato completamento della seconda prova alcolimetrica non era stato determinato il tasso alcolemico lettera a) per essersi rifiutato di sottoporsi ritualmente all'accertamento tecnico [segnatamente, dopo una prima prova, si sarebbe rifiutato di eseguire la seconda].
Con il ricorso si contesta l'apprezzamento sul punto sviluppato dal giudicante, sostenendosi, come ipotesi ritenuta ragionevole, che il rifiuto alla seconda prova "più verosimilmente" poteva dipendere dal malfunzionamento dell'apparecchiatura, più che al contestato rifiuto dell'imputato.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato, anche se per motivi diversi da quelli prospettati dal ricorrente.
Come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all'articolo 186 del codice della strada, lo stato di ebbrezza del conducente del veicolo può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente né unicamente attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'articolo 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice stradale (dpr 16 dicembre 1992 n. 495, e succ. modif.): infatti, per il principio del libero convincimento, per l'assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice può desumere lo stato di alterazione psicofisica, derivante dall'influenza dell'alcool, da qualsiasi elemento sintomatico dell'ebbrezza o dell'ubriachezza (tra cui l'ammissione del conducente, l'alterazione della deambulazione, la difficoltà del movimento, l'eloquio sconnesso, l'alito vinoso, ecc); così come può anche disattendere l'esito fornito dall'"etilometro", sempreché del suo convincimento fornisca una motivazione logica ed esauriente (tra le tante, Sezione IV, 4 dicembre 2009, PG in proc. Falaguerra, rv 245802). Va anzi ricordato che tale orientamento è stato ribadito dalla giurisprudenza anche a seguito della novella riformatrice di cui al decreto legge 7 agosto 2007 n. 117, convertito in legge 2 ottobre 2007 n. 160, che, sostituendo il comma 2 della suddetta norma incriminatrice, ha determinato un differenziato trattamento sanzionatorio a seconda del valore del tasso alcolemico riscontrato, configurando in proposito tre distinte fattispecie incriminatrici. Si è infatti ancora sostenuto, pur dopo il novum normativo, che il giudice ben può formare il suo libero convincimento anche in base alle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori, con l'unica [ovvia] precisazione che tale possibilità deve circoscriversi alla sola fattispecie meno grave prevista dalla lettera a), del comma 2 dell'articolo 186, imponendosi, invece, per le ipotesi più gravi (lettere b) e c) del citato comma 2) l'accertamento tecnico del livello effettivo di alcool (di recente, oltre la sentenza sopra indicata, anche Sezione IV, 5 febbraio 2009, PG in proc. Quintini).
Nella specie, per quanto interessa, è evidente - anche dalla pena sola pena pecuniaria inflitta - che il giudice abbia individuato nel caso in esame la fattispecie meno grave di cui all'art. 186, comma 2, lettera a) del codice della strada, che, nelle more del ricorso, a seguito del novum normativo introdotto con l'articolo 33, comma 4, della legge 29 luglio 2010 n. 120, è stata depenalizzata.
Ne deriva l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Non si devono, peraltro, trasmettere gli atti al prefetto: ciò in considerazione del principio di legalità-irretroattività operante sia per gli illeciti penali (articolo 2 c.p.), sia per gli illeciti amministrativi (articolo 1 della legge 24 novembre 1981 n. 689, richiamato dall'articolo 194 del codice della strada) e tenuto conto che tale principio non è stato espressamente derogato dal legislatore come, invece, è avvenuto, nella stessa materia della circolazione stradale, in occasione della depenalizzazione del rifiuto a sottoporsi all'esame alcolimetrico introdotta con il decreto legge n. 117 del 2007, convertito nella legge 160 del 2007, allorquando l'articolo 7 della citata normativa ebbe appunto a prevedere un'esplicita deroga al principio di irretroattività (cfr. Sezione IV, 17 settembre 2010, Proc. Gen. App. Firenze in proc. Piccinelli, non massimata).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui all'art. 186, 2 comma, lett. a) C.d.S., perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Da queste due sentenze ho colto un fatto comune che è il principio di legalità.
Và ricordato che il principio di legalità afferma che tutti gli organi dello Stato sono tenuti ad agire secondo la legge.
Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo discrezionale, ma non in modo arbitrario.
Si distingue in: principio di legalità formale e sostanziale:
➢ il primo afferma che l'amministrazione pubblica e la giurisdizione non hanno altri poteri se non quelli conferiti dalla legge. Esso si atteggia, quindi, come necessità di una previa norma di legge attributiva del potere;
➢ il secondo aggiunge che amministrazione e giurisdizione devono esercitare i loro poteri in conformità con i contenuti prescritti dalla legge. L'amministrazione è tenuta non solo a perseguire i fini determinati dalla legge (legalità-indirizzo), ma anche a operare in conformità alle disposizioni normative stesse (legalità-garanzia).
In virtù del principio di legalità penale sia il fatto che costituisce reato sia la sanzione che si ricollega alla sua commissione devono essere espressamente previsti dalla legge.
Il principio di legalità è il principio che vieta di punire qualunque fatto che, al momento della commissione, non sia espressamente previsto come reato e di sanzionarlo con pene che non siano espressamente previste dalla legge.
Il diritto penale, lungo l'arco della sua storia, è stato contrassegnato dalla contrapposizione dialettica di due diversi modi di intendere il principio di legalità, che riflettono due diversi modi di concepire il rapporto tra individuo e Stato. Così, fra le esigenze della certezza del diritto da una parte e di giustizia sostanziale dall'altra, si è pervenuti all'elaborazione di due diversi principi: Legalità Formale e Legalità Sostanziale.
Art. 1.c.p. Reati e pene: disposizione espressa di legge.
Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.
Il principio di legalità amministrativa stabilisce che la pubblica amministrazione trova nella legge i fini della propria azione e i poteri giuridici che può esercitare e non può esercitare alcun potere al di fuori di quelli che la legge le attribuisce.
È espressione del principio democratico e della supremazia della volontà popolare.
Oltre al Diritto Penale, è bene ricordare che l’art. 1. della Legge 689/81, definisce: “Principio di legalità. Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.
Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
Nel diritto italiano viene quindi elevato a principio di legalità di rango costituzionale dall'art.25 della Carta Costituzionale, Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge, che ne assume il significato in termini garantistici.
Il principio di legalità è previsto dunque al comma 2° che stabilisce che Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
* Comandante PL Montagnana