Pirateria stradale e incidenti
Essere testimone: la situazione italiana fra senso civico e noncuranza
L’incidente stradale è un evento complesso.
L'incidente stradale è definito dalla convenzione di Vienna del 1968 come un evento in cui rimangano coinvolti veicoli, esseri umani o animali fermi o in movimento e dal quale derivino lesioni a cose, animali, o persone.
Più in genere un incidente si verifica quando uno o più veicoli si trovano ad occupare spazi che non sono i propri.
La Corte di Cassazione lo definisce come una “… qualunque situazione che esorbiti alla normale marcia del veicolo in area aperta alla pubblica circolazione, con pericolo per l’incolumità altrui e dello stesso conducente…”. (1)
Non solo.
"…La delicata linea di confine tra il "dolo eventuale" e la "colpa cosciente" o "con previsione" e l'esigenza di non svuotare di significato la dimensione psicologica dell'imputazione soggettiva connessa alla specificità del caso concreto, impongono al giudice di attribuire rilievo centrale al momento dell'accertamento e di effettuare con approccio critico un'acuta, penetrante indagine in ordine al fatto unitariamente inteso, alle sue probabilità di verificarsi, alla percezione soggettiva della probabilità, ai segni della percezione del rischio, ai dati obiettivi capaci di fornire una dimensione riconoscibile dei reali processi interiori e della loro proiezione finalistica. Si tratta di un'indagine di particolare complessità, dovendo si inferire atteggiamenti interni, processi psicologici attraverso un procedimento di verifica dell'id quod plerumque accidit alla luce delle circostanze esteriori che normalmente costituiscono l'espressione o sono, comunque, collegate agli stati psichici…". (2)
Non si può prescindere da questo, se decidiamo di parlare di Pirateria Stradale. Non è possibile farlo, perché un incidente stradale è sempre il prodotto di una somma di fattori: a volte – come suggerisce l’etimologia latina (3) – avviene per effettiva fatalità, come ad esempio la foratura di un pneumatico o la rottura di un componente meccanico.
A Cessalto, l’8 agosto 2008, un autocarro sbandò dopo un cedimento meccanico, attraversò le barriere di contenimento tra le due carreggiate e si piantò di traverso sulla carreggiata opposta, impattando con un’autovettura e un autotreno e provocando la morte di 7 persone. Per quanto legata a una serie di fatalità, l’incidente di Cessalto ha i connotati di una vera e propria sciagura e per questo motivo la scena del sinistro è divenuta la scena di un crimine.
Si sono risalite le catene delle responsabilità e alla fine, nel processo tuttora in corso, si discute se la società proprietaria del camion sia stata negligente nella manutenzione e se costringesse l’autista a turni eccessivamente pesanti; si dibatte sulla responsabilità dell’ente proprietario in relazione alla leggerezza del guardrail centrale; si è arrivati perfino a ipotizzare un difetto tecnico.
Ciò, ovviamente, non accade per tutti gli incidenti stradali, ma anche nel più classico dei tamponamenti, quando il veicolo B urta con la parte frontale il veicolo A, vi sono elementi che riconducono sempre al comportamento umano che, ovviamente, è trasgressivo.
La pirateria stradale è, tecnicamente, una condotta criminale che segue un comportamento trasgressivo, appunto, in relazione al quale si è verificato un sinistro: e qui entra in gioco la testimonianza. Si tratta di un ruolo chiave perché spesso il Pirata resta anonimo solo per poche ore, prima di consegnarsi o essere catturato, ma quando ciò avviene, colui (o colei) che prima si era dato alla fuga, non è più la stessa persona. Può, ad esempio, aver concordato una versione o aver smaltito una sbronza e allora, avere a disposizione qualcuno che collochi una persona sulla scena del crimine e che ne descriva la condotta, si rivela un fattore decisivo.
Perché, come ci ricorda la convenzione di Vienna del 1968, e come ci ricorda la locuzione “incidente stradale”, l’evento infortunistico ha come teatro la strada o, più propriamente come gli stessi giudici della Corte Suprema hanno ribadito più volte, in quell’area a uso pubblico su cui circolano pedoni, veicoli e, anche, animali. In moltissimi, di questi eventi, il ruolo del testimone è essenziale perché un operatore di polizia stradale è certamente addestrato al rilievo del campo del sinistro, sul quale raccogliere tutti gli elementi utili alla ricostruzione del caso ma quando una persona assiste alla fase antecedente, a quella culminante ed a quella successiva di un incidente stradale, la questione è diversa.
Entriamo nel vivo e poniamoci una domanda: esiste una forma di “omertà stradale”?
Sembra possibile che chi assiste a un incidente stradale, poi decida di darsi a sua volta alla fuga e lasci la vittima (o le vittime) al proprio destino?
Può essere: sappiamo, ad esempio, che chi assiste a un incidente provocato da un conducente che poi si da alla fuga, può patologicamente non ricordare nulla o quasi di quello che ha visto. L’incidente stradale è un evento inatteso, traumatico, fonte di forte stress per chi lo provoca, per chi lo subisce e per chi vi assiste. Per quest’ultimo soggetto, chiaramente, la priorità sarà quella di correre verso la scena dell’evento e prestare soccorsi e così, quando ci si accorge che uno dei coinvolti è fuggito, non ci ricordiamo nemmeno più il colore o il tipo dell’auto in cui si trovava.
Chi invece scappa, secondo noi, commette il delitto di fuga, visto che gli elementi che caratterizzano questa fattispecie di reato sono:
a) la conduzione di un veicolo;
b) la coscienza di aver causato o favorito un incidente stradale;
c) la volontà di sottrarsi alla propria responsabilità, sia essa penale o civile;
d) la mancata identificazione del conducente.
Secondo l’osservatorio ASAPS sui Pirati della Strada, due fuggiaschi su tre vengono identificati: in caso di incidenti mortali la percentuale è particolarmente alta: siamo al 73% e questo avviene non solo grazie alla crescente presenza di sistemi di sorveglianza e di controllo del traffico. Il testimone resta al centro della scena: a volte è sufficiente ricordare tipo e colore di un’auto allontanatasi, il numero parziale della targa, la direzione di fuga e così via.
Il “però” esiste. Il 10 ottobre 2010, a Milano, il tassista Luca Massari investe un cane. Si ferma e viene ammazzato di botte. Ai fatti assistono almeno venti persone, la cui testimonianza è decisiva. Uno degli imputati è stato condannato a 16 anni, con rito abbreviato, ma al processo per i complici qualcosa non funziona e solo quattro si presentano in aula. Per gli altri ci sarebbero state minacce e paure, auto incendiate e ritorsioni.
Non è un atto di pirateria, ma la scena del crimine è la stessa: la strada.
È più probabile che il cittadino, però, decida di non vedere per non avere grane, per non finire schiacciato nelle maglie di una giustizia spesso lentissima e cieca, che rimanda processi di anno in anno e che sembra, in alcune occasioni, lontana dalla sua stessa funzione per la quale la società ne ha bisogno: accertare la verità.
Se accettiamo questa ipotesi, possiamo anche desumere che a risentirne non sono tanto gli episodi di pirateria ma – piuttosto – quelli della sinistrosità stradale pura, in cui, di contro, non mancano invero le false testimonianze che alimentano il mercato delle frodi assicurative.
Concludendo: esiste un fenomeno di fuga dei testimoni che segue la fuga di pirati della strada?
Qualcuno ricorda la filastrocca: “chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù”? La giornalista Olimpia Rescigno ha scritto un bellissimo articolo su Il Corriere della Sera, proprio su questo argomento.
Spesso, nelle attività di Polizia Giudiziaria più semplici, gli investigatori incontrano testimoni che negano di esserlo stati, nonostante l’evidenza. Stiamo parlando di piccole cose, ma ogni volta è sempre la stessa storia. È come se esistesse un codice etico popolare, in base al quale certe cose non vanno dette.
Dunque, è possibile che in una società in cui si insegnano (o si sono insegnate) filastrocche come questa, esista una sorta di predisposizione all’omertà, anche stradale?
Difficile dirlo, anche perché basterebbe un eccezione a confermare la regola. Soffermarsi sul significato della filastrocca, significa farsi venire la pelle d’oca. Ci hanno insegnato l’inno della malavita? Com’è possibile pretendere di insegnare a un giovane i valori fondanti del patto sociale se insegniamo loro che svelare le malefatte di un compagno è un atto così infame da finire poi all’inferno? Facciamo perno sul senso di colpa cristiano per trasformare in peccato un dovere civico?
Come si può insegnare che un comportamento criminale non è solo quello che riguarda gli altri ma anche i nostri atteggiamenti apparentemente più insignificanti, del quotidiano?
“Nel passaggio tra la teoria e la pratica – scrive la Rescigno – ci si perde, accecati dall’illusione che certi problemi non ci appartengano, che certe questioni riguardino solo i delitti o le tragedie della cronaca”.
E invece, no.
La testimonianza costituisce un dovere, a cui la persona non può sottrarsi, pirata della strada o no.
* Responsabile Comunicazione ASAPS
Note
(1) Corte di Cassazione Penale sez. IV 26/2/2012 n. 6381.
(2)Corte di Cassazione Penale, se. I 15/03/2012. n.10411
(3) Incidente: dal latino Incidentem, participio presente di INCIDERE, accadere, sopravvenire […] Che accade o avviene di passaggio, ossia indirettamente, mentre si fanno altre cose […]