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Corte di Cassazione 09/07/2012

Guida in stato di ebbrezza - conducente di un velocipede - Iimpossibilità di applicare la sospensione o revoca della patente o del CIGC 

(Cass. Pen., sez. IV, del 12 giugno 2012, n. 23148)

Guida in stato di ebbrezza - conducente di un velocipede - impossibilità di applicare la sospensione o revoca della patente o del CIGC
Corte di Cassazione Penale sez.IV 12/6/2012 n. 23148
Sussiste l’illecito previsto e punito dall’articolo 186 del codice della strada (guida in stato di ebbrezza) anche a carico del conducente di un velocipede, con l’unico limite dell’impossibilità di applicare la sospensione o la revoca della patente o del CIGC , ovvero la decurtazione del punti, ove il conducente sia titolare di una abilitazione alla guida

 

RITENUTO IN FATTO


Il Tribunale di omissis a seguito di opposizione a decreto penale di condanna - condannava omissis alla pena ritenuta di giustizia per il reato di guida in stato di ebbrezza di cui all'articolo 186 comma 2, lett. c) del codice della strada. Il giudicante motivava il suo convincimento, circa la ritenuta colpevolezza dell'imputato, evidenziando che:
a) dalle acquisite risultanze probatorie era emerso che il omissis, dopo essere rimasto coinvolto in un incidente stradale mentre era alla guida di una bicicletta, stava per essere portato via a mezzo di un'ambulanza del 118 allorquando erano giunti sul posto gli agenti della Polizia Municipale;
b) la bicicletta del omissis si trovava a lato della strada e non era stato possibile verificare se il velocipede era stato spostato dopo l'urto oppure era stato proiettato in posizione di quiete a seguito dell'urto stesso;
c) la Polizia Municipale aveva sentito anche l'altra persona coinvolta nel sinistro che si trovava alla guida di un motoveicolo;
d) era stato quindi richiesto ai sanitari del Pronto Soccorso - presso il quale era stato trasportato il omissis - l'accertamento dell'eventuale stato di ebbrezza di quest'ultimo a mezzo prelievo ematico al quale il omissis aveva prestato il consenso;
e) tale esame aveva permesso di appurare la presenza nell'organismo del omissis di un tasso alcolemico pari a 3,75 g/l; f) la eventualità che il omissis non guidasse la bicicletta, ma la conducesse a mano, era stata prospettata dal difensore solo in sede di discussione; siffatta prospettazione difensiva non poteva comunque trovare condivisione posto che dal verbale di contestazione amministrativa acquisito agli atti sull'accordo delle parti si evinceva che il omissis era alla guida della bicicletta, come peraltro desumibile anche dall'esame testimoniale del verbalizzante omissis: inoltre detto accertamento non era mai stato oggetto di contestazione nel corso dell'intero procedimento.
A seguito di gravame ritualmente proposto nell'interesse dell'imputato, la Corte d'Appello di Bologna confermava l'impugnata decisione e, per la parte che in questa sede rileva - ed in risposta alle deduzioni difensive secondo cui non poteva dirsi raggiunta la prova che al momento del fatto il omissis fosse alla guida della bicicletta - richiamava le acquisizioni probatorie e le argomentazioni già svolte al riguardo dal primo giudice ritenendole dei tutto condivisibili a fronte di una prospettazione difensiva che doveva considerarsi quale mera ed astratta congettura.
Ricorre per Cassazione l’omissis, tramite il difensore, denunciando vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle risultanze processuali, ribadendo che a suo avviso nulla proverebbe che il l’omissis fosse alla guida del velocipede e non lo conducesse, invece, per mano, con equiparazione, in tal caso, alla figura del pedone, a norma dell'articolo 182 comma 4 del codice della strada e conseguente insussistenza del reato contestato.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO


Il ricorso deve essere rigettato perchè basato su doglianze ai limiti della inammissibilità, in quanto tendenti sostanzialmente, per lo più, ad una rivalutazione delle risultanze processuali non consentita nel giudizio di Cassazione. Giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità, nelle sue varie e concrete espressioni - contraddittorietà, illogicità, etc. - deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Sez. III, N. 4115/96, RV. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, dopo aver già in passato precisato che "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (N. 6402/97, imp. omissis ed altri, RV. 207944), hanno poi avuto ancora modo di puntualizzare tale concetto enunciando un principio di diritto che può così riassumersi: l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'articolo 606 comma 1, lett. e), c.p.p., &egra ve; quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (cfr: SSUU ric. omissis, 24/11/1999, RV. 214793; SSUU ric. omissis, ud. 31/5/2000, RV. 216260; SSUU ric. omissis, ud. 24/9/2003, RV. 226074). Nel caso di specie, il Tribunale prima, e la Corte territoriale poi, non hanno mancato di indicare esplicitamente gli elementi probatori acquisiti a carico dell'imputato, ritenuti ulteriormente corroborati anche da considerazioni logiche sul piano deduttivo; né può ritenersi connotata da illogicità la motivazione del l'impugnata sentenza laddove i giudici di seconda istanza hanno osservato che sarebbe stato "opportuno e più lineare assumere la testimonianza del motociclista": trattasi solo di una considerazione circa la possibilità di una maggiore completezza istruttoria, a fronte di una deduzione difensiva che, peraltro, non poteva considerarsi se non una mera congettura priva di qualsiasi concreto riscontro.
Dovendo conclusivamente ritenersi accertato che omissis guidasse la bicicletta, e non la conducesse a mano, mette conto infine evidenziare che, quanto alla configurabilità del reato di guida in stato di ebbrezza, in relazione alla guida di un velocipede, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi in senso affermativo (cfr., in tal senso, Sez. IV, n. 2021 del 9 luglio 1997 - dep. 08/10/1997 - Rv. 209287: fattispecie concernente guida in stato di ebbrezza di una bicicletta, in relazione alla quale è stata esclusa la possibilità di applicare anche la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida).
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

da Polnews

 

 

Lunedì, 09 Luglio 2012
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