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Notizie brevi 20/08/2012

«Fermati, siamo carabinieri!». Reagisce con un pugno, ma la fa (in parte) franca

Foto di repertorio dalla rete

È labile il confine tra la condotta di lesioni e quella di resistenza a pubblico ufficiale. Per configurare gli estremi della seconda, è necessario che il rappresentante dell’arma – in caso di colluttazione – specifichi subito che l’interevento sia volto a ristabilire l’ordine pubblico. Non basta proclamare il proprio ruolo nella concitazione del momento. Lo afferma la Cassazione Penale nella sentenza 19063/12.

 
Il caso


Un soggetto è ritenuto colpevole in appello per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni, mentre è assolto – in relazione a un primo pugno sferrato – per difetto di querela. L’uomo contesta in Cassazione il travisamento della prova: le dichiarazione delle parti sarebbero state ritenute credibili senza riscontro. I testi, a discolpa, hanno invero affermato che i due bersagli erano stati aggrediti per errore, in quanto scambiati dal picchiatore per le persone che poco prima avevano molestato la sua convivente. Le forze dell’ordine, inoltre, non si sarebbero prontamente qualificate come tali, mancando quindi i presupposti del dolo. Un secondo motivo di ricorrenza presso la Suprema Corte riguardava la mancata esplicitazione dei presupposti del nesso teleologico costituenti l’aggravante.
La sentenza è da annullare con rinvio al giudice di seconda istanza per un nuovo esame in punto di responsabilità per il delitto contestato. Nel dispositivo, l’affermazione di colpevolezza si basa sulla circostanza che l’ignoranza della qualifica giuridica (pubblico ufficiale) della persona offesa non vale a escludere l’elemento psicologico del delitto di resistenza; e si sottolinea anche come i carabinieri avessero indicato l’appartenenza all’arma. La Cassazione denota come il principio, esatto in tesi, si scontri tuttavia con la contestazione che è comunque imprescindibile per la configurabilità del delitto di resistenza che l’agente debba necessariamente capire l’effettivo svolgimento di funzione pubblica, volta al mantenimento dell’ordine o ad altra analoga finalità. In sede di appello, la Corte ha esplicitamente ritenuto che solo la conoscenza delle qualità dei due aggrediti avesse valenza al fine della sussumibilità della condotta – altrimenti qualificabile di lesioni – in quella specifica di resistenza. Ma la decisione ha così aggirato un passaggio preliminare cruciale. Non è stato individuato quale fosse l’atto dei pubblici ufficiali in essere: la sola frase «fermati siamo carabinieri» non colma a dovere la rilevata lacuna. Al Giudice di appello, in sostanza, il compito di individuare la disposizione legale effettivamente data al cittadino durante la bagarre e quale ne fosse la finalità pubblica.

 

da lastampa.it

Lunedì, 20 Agosto 2012
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