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Corte di Cassazione 27/08/2012

Non costituisce reato l’acquisto di merce contraffatta

(Cass. Pen., sez. Unite, 8 giugno 2012, n. 22225)

Reati contro il patrimonio – Delitti - Ricettazione – In genere – Acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata – Illecito configurabile - Definizione.

Per acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99, si intende colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli per uso personale.


Reati contro il patrimonio – Delitti - Ricettazione – In genere – Acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata – Illecito configurabile – Ragioni.


L’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde dell’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99, e non di ricettazione (art. 648 c.p.) o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.), attesa la prevalenza del primo rispetto ai predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall’avvenuta eliminazione della clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca reato”, dalla precisa individuazione del soggetto agente e dell’oggetto della condotta nonché dalla rinuncia legislativa alla formula “senza averne accertata la legittima provenienza”, il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo o colpa.


Giudizio – In genere – Prodotti con marchio contraffatto – Richiesta di trasmissione degli atti alla Corte europea di Giustizia per accertare e dichiarare la necessità della sanzione penale – Inammissibilità - Ragioni.


In tema di prodotti con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, è inammissibile la richiesta di trasmissione degli atti alla Corte europea di giustizia, in via incidentale e interpretativa, al fine di sentir dichiarare che alla legislazione nazionale è imposto l'uso delle sanzioni penali con esclusione di quelle di natura amministrativa, in quanto detto rinvio, essendo finalizzato ad una disapplicazione della norma interna per contrasto con il diritto comunitario (nella specie, la direttiva Enforcement n. 2004/48/CE), si tradurrebbe in una interpretazione in “malam partem” con conseguente punibilità di fatti non previsti come reato dallo Stato italiano al tempo della condotta.

 

SINTESI NORMATIVA

 

Il corretto inquadramento giuridico della condotta di acquisto di merce contraffatta (nella specie un orologio recante il marchio Rolex contraffatto) ha offerto alle Sezioni Unite l’occasione per tracciare in modo chiaro i confini operativi e i rapporti reciproci tra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 1, comma 7, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80, il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.) e la contravvenzione dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.).


La fattispecie delittuosa e quella contravvenzionale, in particolare, sono perfettamente sovrapponibili sul piano oggettivo, posto che la ricettazione incrimina, fuori dei casi di concorso nel reato, la condotta di chi “acquista, riceve ed occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette per farle acquistare, ricevere o occultare”, mentre il c.d. incauto acquisto riguarda la condotta di chi “senza prima averne accettata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi la offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato”. Secondo un orientamento consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza, il criterio distintivo tra le due fattispecie in esame deve ricercarsi sul piano dell’elemento psicologico; invero, per aversi ricettazione è necessaria la certezza della provenienza delittuosa della cosa ricevuta, acquistata o occultata mentre nell’ipotesi dell’incauto acquisto è sufficiente il colposo mancato accertamento di quella provenienza, sulla base dei dati indizianti menzionati dallo stesso art. 712 c.p.


Più problematica è la questione se la ricettazione si possa configurare anche a titolo di dolo eventuale; sul punto, di recente, sono intervenute le stesse Sezioni Unite (Cass. pen., SS.U.U, ud. 26 novembre 2009, dep. 30 marzo 2010, n. 12433, Nocera), riconoscendo che l’elemento psicologico dell’art. 648 c.p. può essere integrato anche dal dolo eventuale, allorquando vi sia più di un semplice motivo di sospetto da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio. Al fine della configurazione della ricettazione è necessario che la situazione fattuale sia di significato inequivoco e che, quindi, determini nell’agente una scelta consapevole tra l’agire, ovvero accettare l’eventualità di commettere il reato de quo, e il non agire. L’elemento soggettivo, consistente nel dolo eventuale, pertanto, sussiste allorquando l’agente, pur rappresentandosi la provenienza delittuosa della res, non avrebbe agito diversamente anche nell’eventualità che di tale provenienza delittuosa avesse avuto la certezza.

 
Particolarmente travagliato è stato l’iter legislativo che ha interessato l’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, sul quale, infatti, hanno inciso diversi interventi di modifica. Nella versione originaria, la norma, che portava in rubrica il riferimento alla “lotta alla contraffazione”, prevedeva che “salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a € 10.000 l’acquisto o l’accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale”.

 
Rilevanti modifiche al dettato normative sono state apportate dall’art. 2, comma 4-bis, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. con modificazioni nella l. 2 dicembre 2005, n. 248, dall’art. 5-bis, d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, conv. con modificazione nella l. 21 febbraio 2006, n. 49, dall’art. 17, l. 23 luglio 2009, n. 99, che ne ha determinato l’attuale conformazione, in base alla quale “è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 100 fino a € 7.000 l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. […] Salvo che il fatto costituisca reato, qualora l’acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria è stabilita da un minimo di € 20.000 fino ad un milione di Euro”.


Dal raffronto tra la prima e l’ultima versione, tre sono le novità più importanti che è possibile riscontrare: 1) in primo luogo, la previsione, diversamente dal passato, di una sanzione “rafforzata” per gli operatori commerciali o importatori o, comunque, soggetti diversi dall’acquirente finale; 2) in secondo luogo, sul piano della modalità di acquisto, l’eliminazione della formula “senza averne prima accertata la legittima provenienza”; 3) infine, la soppressione della clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato” con riferimento specifico all’acquirente finale.

 

Avv. Caterina Paonessa, a cura di Lex2
da ilsole24ore.com

 

 


 

Lunedì, 27 Agosto 2012
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