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Rassegna stampa alcol e guida del 10 luglio 2005

RASSEGNA STAMPA "ALCOL E GUIDA"

Note a cura di Alessandro Sbarbada
Servitore-insegnante in un Club degli Alcolisti in trattamento a Mantova.


IL GIORNALE DI VICENZA
Clandestino in coma vegetativo «Non si può pensare solo ai costi»
Botta e risposta tra la Caritas e l’Ulss 6 per il caso del marocchino per cui l’azienda sanitaria non ottiene alcun rimborso: «Dobbiamo pensare anche ai nostri pazienti, e lui occupa un posto-letto per acuti».

«Strano che l’Ulss non sapesse. Certamente la prefettura e il Comune erano a conoscenza dei fatti. Li avevo informati io il 24 gennaio». Don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas, contesta ma - precisa - «senza alcuna vena polemica».
I chiarimenti sono necessari - spiega - perché «situazioni del genere sono destinate a moltiplicarsi». Mohammed S., il marocchino di 30 anni che giace in coma vegetativo in un letto dell’Unità spinale del S. Bortolo, continua a far parlare di sé. Era stato rinvenuto esanime ai piedi di una panchina dei giardini Salvi. Era un etilista. Non mangiava da giorni, era denutrito, senza forze, il cuore si è fermato e l’anossia cerebrale lo ha condotto nel limbo che sta fra la vita e la morte. E l’Ulss fa anche i conti. Il magrebino costa all’Ulss una diaria giornaliera di oltre 700 euro. Una spesa enorme, destinata a crescere sempre di più. Mohammed - aveva fatto sapere il direttore medico Edoardo Vanzetto - è un clandestino, i parenti non si vedono, la degenza la dovrebbe pagare il Ministero dell’interno. La prefettura ha scritto a Roma, agli uffici dell’ambasciata marocchina, ma non si è fatto vivo mai nessuno.
Il problema dell’extracomunitario in coma è anche assistenziale e organizzativo. «Occupa un posto destinato a un malato acuto», aveva detto il primario dell’Unità spinale Feliciana Cortese al dg Alessandri.
Don Giovanni prende le distanze: «Non è vero che fosse clandestino. È entrato in Italia a dicembre del ’98 con un permesso di soggiorno scaduto il 24 giugno del 2001. Si trova a Vicenza dal 2000 e ha una carta d’identità che scade il 13 aprile del 2007. Quando radio-strada mi ha informato che Mohammed stava male mi sono mosso subito. Ho chiesto in pronto soccorso, ho saputo che era stato inviato in rianimazione a Bassano, e a quel punto ho inviato tutta la documentazione in prefettura e al Comune. Non è neppure vero che i parenti non si siano fatti vivi. È arrivato il fratello che lavora in Libano, è rimasto un mese ospite da noi, è andato a trovarlo in ospedale, ed è andato in Comune per la nomina del tutore. Ha chiamato anche la madre che abita in Francia. E anche ora Mohammed non è abbandonato. Va regolarmente a trovarlo una suora, vanno dei volontari della parrocchia di S. Marco».
Don Giovanni fa un’analisi umana e sociale. Un’analisi accorata. «Siamo in un periodo di recessione economica. I primi a soffrirne sono gli immigrati e le persone meno qualificate, aumenta il lavoro nero, si innesca un circolo vizioso che porta all’irregolarità, al caporalato, che favorisce tutto un sottobosco di criminalità organizzata, e chi è fragile come Mohammed comincia a bere. L’Ulss diventa il secchio impotente di problemi che si rincorrono indietro e non si governano davanti. Quei poveretti del lavoro nero scaricati in qualche angolo con traumi spinali o gente come Mohammed finiscono in carico all’Ulss. Questi casi si moltiplicheranno. E poi come uomo e come prete mi dà fastidio che se ne faccia un problema economico. Uno slogan recente diceva: la vita non si mette ai voti. Ma questo vale sempre? O solo quando fa comodo? Perché si fa questo discorso per il marocchino e non per il giovane spinellato che finisce contro un tronco? La vita non è un prezzo».
Edoardo Vanzetto riceve e replica: «Rispetto la Caritas per il ruolo importante che svolge e ringrazio don Giovanni Sandonà per le precisazioni semantiche su situazioni che non conosciamo bene. La Caritas però non deve venire sempre all’ultimo momento, ma, visto che si dedica agli aspetti sociali e agli emarginati, dovrebbe entrare più spesso in ospedale per rendersi conto delle difficoltà che abbiamo nella gestione di questi pazienti. E le difficoltà non si limitano a casi come quello di Mohammed. Ci sono le violenze al pronto soccorso, le difficoltà linguistiche nei momenti di urgenza, nelle emergenze, senza che nessuno ci dia un mediatore culturale, ci dia una mano. E non si spaventi il direttore della Caritas se facciamo anche i conti. Certo, la salute è indipendente dall’aspetto economico, ma poi quando presentiamo i bilanci hanno peso anche questi. I soldi li tira fuori sempre e solo l’Ulss. E poi non capisco queste prese di posizione. Dobbiamo pensare agli extracomunitari ma anche ai nostri pazienti vicentini. Il S. Bortolo è un ospedale per acuti e quello è un posto che si porta via a un malato che potrebbe essere curato».

IL GIORNALE
La promessa al padre sul letto di morte.
La sera dopo si chiacchierava, davanti al caminetto. L’Agnata era quieta, immersa nell’autunno di piombo. Dodici anni prima, in quella stessa sala, avevo visto Dori creare il pesto più ligure che mani brianzole abbiano mai cucinato. E intanto lei e Fabrizio parlavano il gergo attonito dell’amore, lei lo chiamava Bi e lui Bo, come in un’infanzia restituita. Adesso era l’ultima volta che andavo all’Agnata, e non lo sapevo. Filippo il fattore adagiava le teste di fungo sulle foglie di vite: aggiungeva olio e vino, il caminetto sprizzava vampate ilari, piano piano le patate s’indoravano. Fuori? Le nubi gravavano, basse, sulla pietra e sul verde. La notte, appressandosi, bruniva il cremisi dei rampicanti sul grigio petroso della facciata. Quasi le udivi mormorare, le mille anime acquattate nel buio, a popolare la notte. Gli animali dei boschi, i maiali chiusi nell’angustia della porcilaia, le mucche dal loro castello di odori e sull’uscio due gatti: uno nero, l’altro chiazzato di grigio, ad ascoltare il creato col loro talento telepatico.
Il mio ultimo ricordo di quel paradiso si lega dunque a un velluto di bruma e al pioviggine lieve d’una sera d’ottobre. Ci sedemmo al lungo tavolo di legno a mangiare l’esito di quella liturgia cuciniera. Bevendo il vino tosto e giovane di Filippo: a larghe spanne il fattore e l’ospite, niente a Fabrizio, che l’alcol aveva ormai ripudiato. Era stato un miracolo, compiuto dal padre sul letto di morte, ché, racconterà poi lui stesso in Un destino ridicolo, «mi ubriacavo quasi ogni sera, perfino ai concerti tenevo la bottiglia sotto il leggio.
Poi andai a trovare mio padre in clinica, quando era ormai al termine; riuscì a raccogliere in un sorriso le forze che gli restavano e tenendomi la mano mi domandò quasi con innocenza: “Fabrizio, me la fai una promessa?”. Si fece poi improvvisamente serio e sollevando le palpebre a fatica quasi mi intimò: “Giurami che smetti di bere”. Lo baciai sulla guancia e mi diressi in bagno, vuotando nel cesso l’ultimo whisky della mia vita».

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
RUFFANO Pensionato in manette
Col piccone contro la moglie.

Litiga con la moglie armato di piccone. Tutta colpa dell’alcol, forse. E alla fine Antonio Vinciguerra, 65 anni, di Ruffano, è finito dietro le sbarre con le accuse di lesioni personali volontarie, minaccia grave e violenza privata. E’ accaduto ieri mattina. L’uomo ha aggredito la moglie con pugni e calci e, minacciandola con un piccone, l’ha costretta ad uscire dall’abitazione. Per i carabinieri della stazione, intervenuti in via Zezza, non è stato facile ricondurre alla ragione il pensionato a causa, anche, di un forte stato di alterazione psichica. Non appena, però, sono riusciti a bloccarlo, i militari, su disposizione del magistrato di turno, il sostituto procuratore Guglielmo Cataldi, hanno accompagnato l’esagitato dietro le sbarre. La moglie, invece, ha dovuto fare ricorso alle cure dei sanitari. Accompagnata e medicata in ospedale, è stata giudicata guaribile nel volgere di cinque giorni. Nelle prossime ore l’uomo sarà interrogato dal giudice per le indagini preliminari per la convalida dell’arresto.
IL GAZZETTINO (Vicenza)
THIENE/1 Highway truck team
I bisonti della strada tra sfide e problemi.
"Arrivano i Bisonti". E a Thiene oggi è in pieno svolgimento l’annuale raduno dei 22.000 soci del Highway truck team, l’associazione di camionisti e simpatizzanti con sede a Thiene, ma con amici ormai in tutta Europa. Nella cittadella dello sport cittadino, già da venerdì sono iniziati a confluire centinaia di Tir, che si sono schierati secondo uno schema preciso. Vasto il programma della manifestazione che vede tutte le marche nazionali ed internazionali di camion sfidarsi in numerose competizioni, tra cui l’avvincente gara dei camion da corsa. Numerosi quanto coloratissimi sono gli stand presenti che vendono un po’ di tutto, dall’abbigliamento ai pezzi di ricambio, ai viaggi esotici. Fedele alla tradizione che vuole il camionista gran bevitore e conquistatore di ragazze, la birra tra gli autisti dei Bisonti della strada scorre a fiumi (*) e ovunque si vedono belle ragazze posare in microscopiche minigonne davanti a Man, Scania, Volvo, Fiat da 19 - 20 mila e più di cilindrata. A farla da padrone sono i Mac statunitensi, camion resi famosi dal nero "Anatra di Gomma" immortalato nel celebre film Convoy. Non mancano gli automezzi dipinti nei modi più svariati, autentici pezzi d’arte in movimento. Commovente il saluto dei presenti, alla città, con il suono contemporaneo di centinaia di clacson. Un suono che per un attimo a sovrastato ogni altro suono. Interessanti da seguire, le prove di confronto tra i vari automezzi, svoltesi presso la E.G.I. Zanotto di Marano, dove le varie marche si sono confrontate sui mezzi da cava. In pieno stile rodeo, si sono svolte le gare di "tiro al Tir" che hanno visto impegnati uomini contro camion. «E’ un momento che attendiamo per tutto l’anno - commenta il vice presidente del club Lorenzino Bressan - Un momento nel quale possiamo stare tutti assieme, divertirci, ma anche scambiarci opinioni, pareri, e parlare dei problemi della nostra categoria. Al di là del folclore, per noi camionisti, questo raduno è soprattutto un momento di presa di coscienza dei tanti problemi che affliggono la categoria».
CORRIERE DELLA SERA
Italia a tutta birra. Anzi no Chiude la fabbrica storica
Conto alla rovescia per la Pedavena, marchio delle Dolomiti
I bevitori insorgono: deve restare qui, questa bionda è un mito.
PEDAVENA (Belluno) - Chiude una delle fabbriche di birra più antiche d’Italia, quella di Pedavena, nelle Dolomiti Bellunesi. Ha 108 anni e non è in crisi, ma l’Heineken - il colosso olandese che l’ha acquistata nel 1974 - se ne vuole liberare. Per risparmiare, meglio concentrare tutta la produzione a Comun Nuovo, in provincia di Bergamo: ecco quello che pensa la multinazionale. Lo stabilimento lombardo produce poco più di 2 milioni di ettolitri di birra all’anno, ma potrebbe arrivare fino a 3 milioni. Perché non accorpare i 600 mila ettolitri prodotti a Pedavena? La chiusura di un’azienda, una delle tante. Ma questa volta è diverso. Gli amanti della birra sono insorti e tutto il paese bellunese, con tenacia, ha puntato in piedi: «La fabbrica da qui non se ne va - dicono -, questa birra è un pezzo della nostra storia». Trecento artisti, da tutta l’Italia, sono scesi in trincea: hanno aderito all’idea del comitato salva-birreria realizzando un tela d’autore. E adesso tutte queste tele messe insieme raccontano in una «striscia» già lunga 600 metri la storia dello stabilimento.
Si fa di tutto, insomma, perché non venga posta la parola fine su una storia iniziata nel 1897 dai fratelli Luigi, Sante e Giovanni Luciani, originari di Canale d’Agordo (il paese di Papa Luciani). Ma la strada è in salita. Il 23 giugno è stata fatta l’ultima «cotta», la preparazione del semilavorato che poi darà la birra. Il 30 luglio il ciclo si chiude. Un paio di mesi per sbrigare le ultime formalità e il 30 settembre lo stop definitivo dello stabilimento. Ottantacinque lavoratori saranno messi in cassa integrazione per due anni, chi vorrà potrà fare i bagagli e trasferirsi a lavorare a Comun Nuovo. «Un buon accordo sindacale - dice il sindaco di Pedavena, Franco Zaetta - ma qui, diamine, non si tratta solo di questione occupazionale. Si sta distruggendo il nostro tessuto sociale, la nostra cultura. La birreria per noi è vita, una questione anche legata al turismo, per il bel parco che la circonda, un pezzo di storia del nostro paese».
Il comune ai piedi del Monte Avena, a tre chilometri da Feltre, è nel Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi. Quella birra fu subito un successo. Nel 1927 venne costruita una sala cottura completa di mosaici e stucchi, ancora oggi uno splendore. Poi l’entrata in scena della Heineken, che acquisì il sito nel 1974. «Noi non vogliamo per forza essere legati all’Heineken - mette la mani avanti il sindaco -: l’azienda faccia un po’ quello che vuole. Ma vogliamo che la birreria continui a vivere, nella migliore tradizione dei prodotti italiani. C’è gente interessata ad acquistarla, fa gola a tanti, la nostra birreria».
L’amministratore delegato di Heineken Italia, Massimo von Wunster, replica che la chiusura è stata decisa per recuperare competitività, che lo stabilimento ha costi fissi per ettolitro superiori del 68% a quelli della fabbrica di Comun Nuovo, che la birreria soffre di gravi problemi logistici e che l’Heineken, insomma, non ha certo intenzione di penalizzare l’Italia.
Fatto sta che a Pedavena non si danno per vinti. Sono già 40 mila le firme di sostegno raccolte dal comitato salva-birreria. E dalla posta del paese sono partite valanghe di lettere: tutte le cariche dello Stato ne hanno ricevuta una. Domani l’incontro tra i sindacati e l’azienda, poi giovedì tutti al ministero del Welfare. E gli amanti della birra italiana incrociano le dita.
CORRIERE DELLA SERA
«C’è un libro che spiega il bello di bersi una "bionda", ….
«C’è un libro che spiega il bello di bersi una "bionda", La prima sorsata di birra di Philippe Delerm...». Ecco, dice lo scrittore Carlo Lucarelli, perché la birra è speciale, «è fresca, dissetante, leggera: e poi dà un tale piacere affondare i baffi in quella schiuma bianca...».
Lei è un bevitore di birra?
«Sì, quando fa caldo è il modo migliore per far passare la sete. Ma da questo si capisce che non sono un esperto...».
Perché?
«Gli estimatori mi obietterebbero che la birra si beve anche d’inverno spiegando che ci sono tante qualità, più pesanti e mielose, perfette anche per le basse temperature. Ma per me la birra invece è una bevanda estiva, perché l’associo a quell’idea di dissetante».
Da abbinare con quali cibi?
«Mi piace con la pizza, anzi, meglio con salsicce e crauti: secondo me sono nati insieme».
Mai presa una sbornia di birra?
«Altroché! Molte quando ero ragazzino, anche perché costa poco rispetto al vino e prima di "partire" ne devi bere molta di più. L’ubriacatura da birra ti prende alla testa e ti fa perdere parecchio il controllo. Può diventare rischiosa per quello che puoi dire...».
Un consiglio per bere senza star male (e gustarsi una «bionda» per bene)?
«Evitare di mischiarla con altri alcolici».

LA GAZZETTA DI PARMA
Musica e fiumi di birra al Lido
Sul palco i Terramare, i Gianburrasta e la chiratta di Flaco Biondini.

TRAVERSETOLO C’è grande attesa a Traversetolo, per la nona edizione della « Festa della Birra bavarese » che si svolgerà nelle sere del 15, 16 e 17 luglio, al lido Valtermina, con inizio alle 19 e con ingresso libero. E’ stata organizzata dal Circolo culturale, ricreativo e sportivo, « Puerto Libre » in collaborazione con l’amministrazione comunale, assessorato alla Cultura e alle Politiche giovanili. L’iniziativa è stata presentata e illustrata durante una conferenza stampa giovedí scorso al museo Renato Brozzi, con l’intervento del sindaco Alberto Pazzoni, della presidente del Consiglio comunale Paola d’Amelio, dell’assessore alla Cultura, Giacomo Pellegri, e il presidente del Circolo Puerto Libre, Cristian Morini. Venerdí 15 luglio in concerto si esibiranno Me, Pek e Barbara in « Terramare » , un complesso nella migliore tradizione di cantautori e musica mediterranea che ultimamente ha ricevuto parecchi consensi. Sabato 16 luglio in concerto sarà la volta di Comedí Club « Giamburrasta » Roots Reggae Band. Il loro progetto è quello di suonare cover di Reggae dei primi tempi a cavallo degli anni Settanta. Domenica prossima in concerto sarà la serata clou della «Festa della birra bavarese» ,  perchè si potrà ascoltare Flaco Biondini Quartet. Un concerto di grande impatto sonoro ed emotivo che sempre coinvolge completamente lo spettatore.
   La cena per tutte e tre le sere comincerà sempre alle 19 e sarà a base di cucina bavarese: brezel, Wurstel bavaresi, grigliata mista, crauti, stinco di maiale, senape dolce e contorni.
   Il logo delle tre serate, a ingresso libero, dice: Venite a cena. Gustatevi il concerto.
   Questo è lo spirito giusto » .
   Gli organizzatori si raccomandano ai cittadini di non mancare alla cena il cui ricavato sarà devoluto in gran parte in beneficenza. E in minima   parte per l’autogestione.
   Il circolo « Puerto Libre » , come ha rilavato anche il sindaco e l’assessore, si è sempre distinto per la immancabile partecipazione a tutte le manifestazioni del volontariato locale: Avis, Pellicano, Croce Azzurra, quelle dei giovane e quelle degli anziani.
   « E si sono anche sempre distinti ha detto l’assessore alla Cultura Giacomo Pellegri - perchè al termine delle loro esibizioni, anche se a notte fonda, tutti soci si fermano per pulire la piazza da ogni rifiuto. E il fatto è molto ammirevole, oltre ad essere esemplare ».
IL TEMPO
GLI abruzzesi amano bere, soprattutto vino e birra, ma propendono per il consumo fuori dai pasti, un’abitudine ….
... che sta consolidandosi e che è superiore alla media nazionale. È quanto emerge da una ricerca di Eurispes secondo la quale è elevato il numero degli abruzzesi che non rinuncia, anche in spiaggia, all’appuntamento con il cosiddetto «happy hour» e, tra questi, il 29% consuma aperitivi alcolici. Non solo, la regione abruzzese supera la media italiana anche per il consumo di birra.
LIBERTA’ONLINE del 9/07/2005
Partita la crociata della polizia contro ubriachi e fracassoni
Città al setaccio: motociclista denunciato per guida in stato di ebbrezza, sventato il furto di un’autoradio.
(er.ma) Un incidente stradale provocato da una guida in stato di ebbrezza, un caso di ubriachezza molesta, un pluripregiudicato che all’ospedale ha dato in escandescenze, un tentato furto a bordo di una macchina in sosta, un intervento a causa di alcuni stranieri che disturbavano automobilisti intenti a parcheggiare le proprie automobili, controlli a cittadini stranieri che sono risultati non avere permessi di soggiorno regolari. Sono una serie di interventi compiuti dalla polizia nel corso dei controlli denominati “Estate serena” e finalizzati ad arginare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e fenomeni di microcriminalità ma si tratta anche di interventi effettuati dalle pattuglie nel contesto di ordinari controlli. Nel corso della serata la polizia è intervenuta in via XXIV Maggio a causa di un incidente stradale. Giunti sul posto, gli agenti della Volante hanno trovato una donna equadoriana di 27 anni stesa sull’asfalto e con una gamba spezzata. La giovane ha raccontato di essere caduta da un ciclomotore guidato da un connazionale che è stato rintracciato poco dopo dagli stessi agenti. Il connazionale della donna, identificato per un equadoriano di 30 anni è apparso visibilmente ubriaco e sottoposto a test alcolimetrico è risultato positivo. Per questo motivo è stato denunciato a piede libero per guida in stato di ebbrezza. La sua connazionale è stata ricoverata nel reparto di ortopedia. Alle 22 circa, in via Neve una pattuglia della Volante ha fermato due persone: un palestinese ventunenne e un algerino di 22 anni. Il primo non è in regola con il permesso di soggiorno ed è stato condotto in questura e messo a disposizione del personale dell’ufficio stranieri per l’espulsione. Alle 22 e 45 gli agenti sono stati chiamati all’ospedale per un uomo che era stato ricoverato per un malore e che aveva poi dato in escandescenze insultando e minacciando il personale medico. L’individuo, identificato per un pluripregiudicato milanese di 62 anni, alla vista dei poliziotti si è subito calmato ed è stato accompagnato in stazione e fatto salire sul primo treno per il capoluogo lombardo. Intorno alle 23 in seguito a segnalazioni di automobilisti che lamentavano di essere stati avvicinati da stranieri un po’ troppo petulanti nel domandare denaro, la Volante è intervenuta in piazza Cittadella. Qui due senegalesi alla vista degli agenti hanno tentato di scappare ma sono stati fermati, ma non risultando nulla a loro carico sono stati rilasciati poco dopo. A mezzanotte e mezzo una volante è intervenuta in via Rio Farnese per un marocchino di 26 anni che continuava a suonare ad un campanello di un inquilino di un appartamento. Il nordafricano è stato multato per ubriachezza. Alle 7 del mattino grazie alla chiamata di un cittadino la polizia ha potuto evitare un furto di un autoradio a bordo di una macchina parcheggiata in via Broni. Il ladro, vistosi scoperto da un cittadino, è fuggito di corsa abbandonando l’autoradio in parte già smontata.
IL SECOLO XIX
Centauri, è qui la festa
Alessandria e Castellazzo capitali del raduno per la patrona delle due ruote
Oggi il clou, in arrivo diecimila motociclisti da tutta Europa
Il vescovo apre il corteo al Santuario della Vergine della Creta.
 Alessandria È il grande giorno dei motociclisti - la stima è di diecimila centauri - in arrivo da tutta Europa per rendere omaggio alla loro patrona, la Beata Vergine della Creta. Il raduno internazionale si snoda tra Alessandria e Castellazzo Bormida, dove sorge il santuario con la statua della Madonna ma tocca anche altre località della provincia. Ieri un folto gruppo di centauri ha visitato la zona del Gavi; un altro il museo della grappa, ad Altavilla Monferrato. Il sessantesimo raduno segnerà probabilmente il record di iscritti: ieri si era già registrato un 15 per cento in più rispetto agli scorsi anni. Sono attesi almeno diecimila motociclisti. Belgi e francesi battono danesi, svedesi e norvegesi; moltissimi gli italiani.
Il programma della giornata prevede la partenza del corteo guidato dal vescovo Fernando Charrier, per il santuario del vicino paese dove alle 10 sarà celebrata la messa. I primi centauri, rappresentanti i club ufficiali esteri entrano in moto. Dopo la benedizione di monsignor Charrier, alle 11 la colonna rombante rientra a Alessandria con la consueta sfilata percorrendo corso Acqui, via Carlo Alberto, viale Brigata Ravenna, corso Borsalino spalto Gimondio, via Marengo, piazza Matteotti, corso Lamarmora, piazza Valfrè, corso Cento Cannoni, piazza Garibaldi e viale della Repubblica.
Durante il passaggio le vie saranno momentaneamente chiuse e riaperte al traffico a rotazione. Nel pomeriggio si svolgeranno le premiazioni. Il raduno è momento di incontro tra appassionati delle due ruote: nella piazza della Madonnina come nel viale dei giardini in Alessandria, si sentono parlare le lingue di tutto il mondo, si rafforzano vecchie amicizie e se ne allacciano di nuove, tra persone di etnie radicalmente diverse. «Sono convinto che i centauri, con la loro passione nel viaggiare per incontrare nuove persone, nuovi popoli, nuovi amici - ha scritto il vescovo nel suo messaggio - siano dei sani portatori di un messaggio di pace e di fraternità. E riescano in modo evidente a confermare, con la loro gioia di vivere, che gli uomini hanno il dovere di scambiarsi pacificamente quelle ricchezze che sono racchiuse nelle loro culture e nella loro storia». Il presidente della Provincia, Paolo Filippi, sottolinea: «Il tradizionale raduno della Madonnina, davvero unico al mondo, si presenta sempre come un preciso richiamo all’amicizia, al profondo rispetto di idee ed anche di fedi religiose differenti, appartiene ormai in modo radicato alla tradizione alessandrina e contribuisce a richiamare l’attenzione sull’intero territorio».
I primi centauri sono arrivati sin da giovedì, in sella alle loro moto moderne e super-accessoriate ma non mancano i sidecar di chi ha figli piccoli. Esauriti i campeggi, grande successo delle manifestazioni collaterali: la mostra delle moto d’epoca, aperta sino a questa sera, le degustazioni di prodotti tipici. Per la prima volta, in piazza Santa Maria di Castellazzo, si svolge il festival della birra artigianale. Dalle 11 a mezzanotte è possibile assaggiare 8 tipologie dei birrifici Beba di Villar Perosa, Petenaschese e di Apricale.
BRESCIA OGGI
Botte, auto rovinate e rissa: denunciato un giovane carpentiere
Bresciano violento a Massa
Scene da «Arancia meccanica» nella zona turistica.
Volevano vivere emozioni forti come Alex e i Drughi del capolavoro di Stanley Kubrick «Arancia Meccanica», un giovane carpentiere bresciano e due suoi colleghi in trasferta di lavoro a Marina di Massa, in Toscana.
L’episodio è avvenuto nei giorni scorsi con protagonista un bresciano di 27 anni le cui iniziali sono G.R., figlio di un noto imprenditore edile della città, residente nel centro cittadino. Il giovane e i due colleghi, forse stanchi dal duro lavoro di costruzione e sicuramente alterati dall’alcool, hanno seminato il terrore tra le vie della tranquilla località marittima e in particolare nel negozio Undercolor di via Rinchiosa, al centro del quadrilatero dello shopping.
Tutto è avvenuto attorno alle 23.30, a negozi ancora aperti, quando i tre teppisti da Arancia Meccanica sono stati notati passeggiare tra la gente con in mano un bastone e una roncola. Vittime dell’ira violenta del gruppetto, fino a quel momento, solo oggetti e autovetture, colpiti e in qualche caso danneggiati. Arrivati nei pressi del negozio di abbigliamento intimo e costumi si è scatenato il putiferio. Uno dei tre si è seduto su una sdraio messa all’esterno dell’esercizio commerciale, mentre un altro è entrato barcollando con una birra in mano. Alla richiesta da parte della titolare di uscire la reazione violenta dei nuovi Drughi che, brandendo roncola e bastone, hanno ingaggiato una furibonda rissa con il marito della donna e con alcuni giovani del posto. La situazione è precipitata nel giro di pochi minuti mentre il bresciano e i due colleghi, di Crema e Caserta, farneticavano frasi incomprensibili, forse in dialetto. A un certo punto hanno cominciato a volare schiaffi e spintoni diretti verso chiunque, che hanno portato al ferimento di una ragazza presa a sberle con violenza e poi condotta in Ospedale. Guarirà in dieci giorni Solo l’intervento degli uomini del Commissariato di Massa ha evitato che la situazione degenerasse completamente. Giunti gli agenti i tre si sono calmati e successivamente condotti in commissariato. Sono stati denunciati a piede libero per porto abusivo di attrezzi e per il danneggiamento di un’autovettura durante il raid.
KATAWEB NEWS
INCIDENTI STRADALI: 1 MORTO E 1 FERITO IN ALTO ADIGE.
Ancora sangue sulle strade dell’Alto Adige e ancora una volta sono i motociclisti ad essere coinvolti. Per cause ancora un via di accertamento, ma si ipotizza l’ccessiva velocita’, un centauro e’ morto e, in un secondo sinistro, un altro e’ rimasto gravemente ferito. L’incidente mortale, nel quale ha perso la vita un giovane di 23 anni originario di Vipiteno, Andreas Heidegger, e’ avvenuto attorno alle 4 di questa mattina sulla strada che collega la citta’ dell’Alta Val d’Isarco a Racines. Il secondo motociclista, andato violentemente a sbattere contro le pareti della galleria nei pressi di Chiusa, si trova ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Bressanone. Tra le piaghe dell’Alto Adige, che spesso sono causa di incidenti con conseguenze mortali, c’e’ sicuramente l’abuso di alcol sia tra i giovanissimi neo patentati sia tra gli adulti. E’ infatti questa una delle ’battaglie’ che stanno portando avanti da parecchi anni le forze dell’ordine. Nessun disagio sotto l’aspetto della circolazione sulle principali arterie della provincia di Bolzano. Regolarmente percorribili entrambe le carreggiate dell’autostrada ’A22 del Brennero’ dopo i rallentamenti della mattinata sulla corsia nord. Transitabili tutti i passi dolomitici ed i valichi di frontiera con Austria e Svizzera. (AGI Ancora sangue sulle strade dell’Alto Adige e ancora una volta sono i motociclisti ad essere coinvolti. Per cause ancora un via di accertamento, ma si ipotizza l’ccessiva velocita’, un centauro e’ morto e, in un secondo sinistro, un altro e’ rimasto gravemente ferito. L’incidente mortale, nel quale ha perso la vita un giovane di 23 anni originario di Vipiteno, Andreas Heidegger, e’ avvenuto attorno alle 4 di questa mattina sulla strada che collega la citta’ dell’Alta Val d’Isarco a Racines. Il secondo motociclista, andato violentemente a sbattere contro le pareti della galleria nei pressi di Chiusa, si trova ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Bressanone. Tra le piaghe dell’Alto Adige, che spesso sono causa di incidenti con conseguenze mortali, c’e’ sicuramente l’abuso di alcol sia tra i giovanissimi neo patentati sia tra gli adulti. E’ infatti questa una delle ’battaglie’ che stanno portando avanti da parecchi anni le forze dell’ordine. Nessun disagio sotto l’aspetto della circolazione sulle principali arterie della provincia di Bolzano. Regolarmente percorribili entrambe le carreggiate dell’autostrada ’A22 del Brennero’ dopo i rallentamenti della mattinata sulla corsia nord. Transitabili tutti i passi dolomitici ed i valichi di frontiera con Austria e Svizzera.
IL GAZZETTINO (Padova)
Un nomade è stato arrestato l’altra sera sul piazzale della stazione dei treni. I tre agenti sono stati presi alle spalle e colpiti con calci e pugni
Ubriaco picchia un poliziotto e due vigili
Un sessantenne sorpreso a guidare l’auto sequestrata con la patente sospesa, senza revisione e con l’assicurazione falsa.
(E.L.C.) Un nomade ha malmenato un poliziotto e due vigili urbani, un sessantenne napoletano è stato sorpreso a girare per la città al volante di un’auto sequestrata e senza revisione, con la patente sospesa e l’assicurazione falsa. Il primo è stato arrestato, il secondo denunciato a piede libero e multato per una lunga serie di infrazioni al codice della strada.
Sono le 22.50 di venerdì quando al 113 arriva la segnalazione di una persona distesa a terra sul piazzale della stazione, davanti al negozio Bernardi. «Forse è un morto», dice il cittadino all’operatore della centrale operativa. Immediatamente vengono allertate tutte le Volanti e i primi ad arrivare sono due agenti della questura e un paio di vigili urbani impegnati in controlli amministrativi in quella zona. Quando le forze dell’ordine giungono sul posto guardano tra le auto in sosta cercando l’uomo. Morto? No, sta benissimo, almeno abbastanza bene da avere la forza per scagliarsi contro gli agenti con calci e pugni. Il nomade, Zoran Jovanovic, residente a Vicenza, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, è stato riportato a fatica alla calma ed è stato arrestato. Era alquanto ubriaco. Il poliziotto e i vigili sono stati costretti a ricorrere alle cure dei medici: i tre hanno riportato ferite giudicate guaribili in una settimana.
Intorno all’1.45, in via della Pace, una Volante ha invece fermato una Passat per un controllo. Alla guida c’era F.V., napoletano sessantenne residente in città. Addosso aveva un coltello a serramanico e un pugnale mentre nell’aletta parasole c’era una bustina con 1,61 grammi di cocaina. Gli agenti hanno poi proceduto agli altri accertamenti.
La Passat non poteva circolare perché sottoposta a fermo amministrativo e perché senza revisione. Non solo, il sessantenne non poteva nemmeno guidare perché la patente era sospesa e in più ai poliziotti ha consegnato un certificato assicurativo falso. È così iniziata una lunga serie di contestazioni. Intanto gli agenti lo hanno denunciato per porto abusivo di armi, per guida senza patente e per ricettazione. In più, è stato segnalato alla Prefettura quale consumatore di sostanze stupefacenti. Sono poi scattate le multe per le violazioni al codice della strada. Il sessantenne è così dovuto tornare a casa a piedi. E, probabilmente, ne passerà del tempo prima che possa tornare a circolare. Almeno in maniera regolare.
IL TEMPO
I gerarchi decisero l’occupazione delle vigne
L’unico disinteressato era l’astemio Hitler.
ECCO un libro ingegnoso che riesce a colmare una piccola lacuna nell’ormai sterminata letteratura sulla seconda guerra mondiale. È uscito a Londra, scritto dai coniugi Don e Petie Kladstrup (Wine and War. The French, the Nazis, and the Battle for France’s Greatest Treasure, Hodder & Stoughton). Ma che cos’è mai questa "Guerra del vino"? Presto detto. Dopo aver sbaragliato la Francia in tre settimane nel maggio-giugno 1940, i tedeschi iniziarono la caccia alle opere d’arte e alle belle ragazze (che si arresero ancora più in fretta dei soldati). Ma ampliarono le ricerche a un terzo tesoro, ancor più caro al cuore e al palato di molti francesi: il vino. Hitler, astemio come Mussolini, era indifferente al bottino. Non così i suoi: dal gaudente maresciallo Goering al ministro degli Esteri Ribbentrop, già piazzista di spumante e genero del più grande produttore di Sekt renano, Henkel. Entrambi si vantavano di essere grandi intenditori e forse, se avessero dedicato minor cura ai grands crus, non avrebbero trascinato il Terzo Reich tra le sbornie nella catastrofe. Ma anche la tradizione militare gallica - secondo cui il vino rosso fa il soldato grosso - ebbe le sue colpe nella sconfitta. Allo scoppio delle ostilità, un deputato che era probabilmente in busta paga dei produttori, Edouard Barthe, convinse il governo a distribuire cinquanta milioni di ettolitri extra alle truppe: ottimo affare per lui, anche perché il 1939, dicono gli specialisti, fu una pessima annata. L’iniezione alcolica non impedì all’esercito francese di venir sbaragliato nella guerra-lampo dimostrando che, almeno quella volta, il sangue era purtroppo acqua. E con l’armistizio i colpi di cannone furono sostituiti da quelli dei tappi di champagne fatti esplodere dai vincitori in quella che sembrava più una trionfale Mille Miglia che una guerra vera e propria. Posate le armi, i tedeschi si presentarono nelle zone nobili della Loira e del Bordelese alle porte dei châteaux (termine che talvolta designa soltanto la vigna, ma si sa che i cugini d’Oltralpe hanno il culto della grandeur) armati di liste teutonicamente dettagliate delle casse da prelevare. Ma con un milione e mezzo di soldati prigionieri del nemico, in prevalenza agricoltori, la viticoltura francese era in ginocchio. Dal 1940 al 1944 la produzione fu dimezzata rispetto all’anteguerra, e gran parte del vino risultò pessima o imbevibile per mancanza di zuccheri e attrezzature adeguate. Alcuni grandissimi produttori, come i Rothschild, si erano rifugiati all’estero, dopo aver trasferito in mani sicure le loro gemme come Château Lafite, invano concupito da Goering. Gli altri non sapevano a che santo votarsi e si rivolsero al capo "provvisorio" dello stato, Pétain. L’ottantaquattrenne maresciallo aveva dovuto - ironia della sorte - scegliere per sede del governo la città termale di Vichy, famosa per le sue acque. Ma era un piccolo coltivatore anche lui e accettò volentieri l’omaggio di alcuni vigneti pregiati, subito ribattezzati Clos du Maréchal. Era un dono interessato ma anche patriottico: se il novanta per cento dei francesi appoggiò inizialmente la politica di collaborazione coi tedeschi attuata da Pétain (e la stima è prudente), lo stesso poteva dirsi della lobby vinicola, tradizionalmente conservatrice e con il portafogli infilato nella destra della giacca. Pétain si sdebitò con qualche misura di alleggerimento fiscale. Ma il regime poteva fare poco, tanto più che le zone vinicole più pregiate erano concentrate nella parte nord-occidentale del paese controllata direttamente dai tedeschi. E qui si arriva alla parte più interessante della vicenda: l’arrivo dalla Germania dei cosiddetti Weinführer, proconsoli incaricati di trattare l’acquisto a prezzi-capestro di immense partite di vino, ma anche di impedire che ne crollasse la qualità. Non erano infatti né dei pirati né dei burocrati ma gente del mestiere, scelta tra i maggiori negozianti e importatori di Amburgo e di Brema, molti avevano persino posseduto dei vigneti in Francia prima che venissero espropriati durante la guerra del ’14-18. Erano quindi legati da rapporti di affari, di amicizia, talvolta di famiglia, come nel caso degli alsaziani, con i produttori francesi. Si aprì così una pagina degna della Grande illusione, con francesi e tedeschi "buoni" uniti nella lotta per salvare la qualità del vino, anche se da bravi commercianti cercavano di spuntare reciprocamente il massimo vantaggio, mentre nazisti e poliziotti di Vichy, "cattivi" oltre che piuttosto scemi, cercavano di scoprirli. Bacco, tabacco e venere venivano denunciati come cause della sconfitta e della decadenza della nazione. Questo non impediva a spie, borsaneristi e collabos di pasteggiare a donnine e champagne nei grandi ristoranti di Parigi, che però avevano nascosto le bottiglie migliori. Per non parlare delle feste e dei festini che i generali prussiani organizzavano negli alberghi requisiti, ben contenti di non rischiare la pelle in Africa o in Russia. E sappiano gli ammiratori di Rommel, numerosi anche in Italia, che la sua mensa frugale ad acqua e gallette ne fece il comandante più impopolare di tutta la guerra. Il clima cambiò da pochade in tragedia con la crescita della Resistenza e lo sbarco in Normandia. Anche in Germania la situazione peggiorava a vista d’occhio e crescevano le necessità di mano d’opera, non per il vino ma per le industrie degli armamenti. Buona parte dei soldati-contadini francesi ripartirono per il Terzo Reich reclutati da un organismo chiamato Servizio di lavoro obbligatorio (STO), che era però almeno in parte volontario. Si tratta di una delle pagine più oscure e complicate dei quattro anni di occupazione tedesca della Francia, che tra l’altro contribuì alcuni anni fa alla caduta dell’allora potente leader del PC francese, Georges Marchais, il quale fu costretto a confessare tra le lacrime in televisione di essere stato anche lui volontario tra i lavoratori in Germania, attratto dalla paga e non su ordine del partito. Ma anche i produttori stavano cambiando casacca, rendendosi conto che una vittoria alleata avrebbe riaperto le esportazioni verso il ricco mercato americano. Come spesso capita quando il barometro della storia volge al peggio, a farne le spese furono gli uomini della mediazione e del dialogo. Diversi Weinführer caddero nelle grinfie della Gestapo e passarono da tagliare i tralci di vite a penzolare impiccati a rami di quercia. Almeno due personaggi storici della viticoltura francese, Louis Eschenauer e Pierre Taittinger che fu anche sindaco di Parigi, furono epurati alla Liberazione e per poco non finirono davanti al plotone d’esecuzione. E sì che tutti insieme, francesi e tedeschi "buoni", erano riusciti a impedire che i nazisti facessero saltare, come regalo di partenza, il porto di Bordeaux e i ponti della capitale. Ma così va la vita, in vino veritas.
IL GAZZETTINO (Treviso)
FRA’ GIOCONDO
Due episodi di molestie a ragazze nell’ultima settimana di giugno.
 

Sono state ben due, solo nell’ultima settimana di giugno, le aggressioni a sfondo sessuale ai danni di ragazze, avvenute in città. Sotto accusa in quei caso la zona di porta Fra’ Giocondo, dove erano avvenuti i fatti, ma da più parti si erano levate voci che denunciavano una grave situazione per la sicurezza di tutte le zone della città. Il caso era stato portato anche in consiglio comunale dal consigliere leghista Walter Frandoli, che aveva parlato di una situazione ormai insostenibile.
Le due aggressioni di Porta Fra’ Giocondo sono molto simili, e sono solo la punta di un iceberg. Ai giardinetti si verificano molto spesso episodi di questo tipo. Così testimoniano anche i residenti di quella zona, che si sono levati in coro per denunciare la mancanza di sicurezza in quel quartiere. «Corro veloce alla sera per arrivare prima alla macchina e per sfuggire ai fischi, alle attenzioni degli extracomunitari che sostano spesso ubriachi. Molte volte ho temuto il peggio». Questa è l’esperienza di una commessa, Mariagiovanna Pavan, che lavora in quella zona e che tutte le sere attraversa i giardini per tornare a casa. In questi ultimi mesi sono aumentate comunque anche le aggressioni a scopo di rapina e di scippo. A maggio il caso di Mirella Tuzzato, rapinata da una banda di giovani in pieno giorno, nel cuore della città. Stessa sorte per Elsa Svalduz, che in zona piazza Duomo era stata scippata del suo orologio.

BRESCIAOGGI
TESTIMONE - Il commissario capo Carlo Castelli dal 1979 presta servizio al posto di polizia dell’ospedale
«Qui ho visto passare la vita e la morte»
«In 26 anni tante tragedie sotto i miei occhi, ma anche qualche "resurrezione” »
«Non mi fate male vero?». Quella domanda Carlo Castelli, 49 anni, commissario capo al posto di polizia dell’ospedale civile di Brescia, non la dimenticherà mai. Anche se sono passati quasi vent’anni, anche se dal 5 giugno del 1979, primo giorno di servizio al Civile, ne ha viste «di tutti i colori». Una lungo carosello di orrori con dentro «centinaia di autopsie, corpi senza testa, suicidi, genitori in lacrime, giovani morti sulla strada». Cose che, come dice, «fanno venire la scorza dura». Ma anche la corteccia più dura scricchiola e si spezza.
«Sarà successo 15-20 anni fa - racconta Castelli -. Al Pronto soccorso è arrivata una bambina di Torbole Casaglia. Stava giocando in giardino, quando il fratellino ha trovato non so come la carabina del padre. E’ partito un colpo, l’ha colpita in fronte. E’ arrivata in ospedale che era ancora cosciente. La lettiga mi è passata davanti. Era una bellissima bambina, con lunghi capelli biondi. Mi ha guardato e mi ha detto: "Non mi fate male vero?"». No, quella domanda e quella bambina con i capelli impiastricciati di sangue, età «sei-sette anni», Castelli non li dimenticherà mai.
E’ la domanda che i bambini fanno al dottore prima di un’iniezione. Non a un agente di polizia prima di morire sotto i ferri. «A casa ho i ritagli di giornale con gli articoli del giorno dopo».
Capelli biondi scarmigliati, alla Hugh Grant ma un po’ attempato, statura vicina al metro e novanta, divisa a mezze maniche da «Chips» con appuntati tre gradi, vocione profondo, Castelli conosce a memoria il pronto soccorso, le sue storie, i suoi drammi. «Ne ho visti morire tanti non so neppure quanti - confessa -. Sicuramente centinaia. Ma ne ho visto anche resuscitare qualcuno». Come quel signore ottantenne che qualche anno fa si era sparato in faccia un colpo di fucile. «Era arrivato in ospedale con un’emifaccia, mezza faccia sì, mezza faccia no - racconta -. Quando l’hanno tolto dalla lettiga era quasi senza mandibola e aveva la lingua a penzoloni». Pareva spacciato. «E invece qualche mese dopo me lo sono rivisto camminare davanti. Era venuto in ospedale per un controllo. Era vivo».
Castelli non è certo un tipo impressionabile. O, se mai lo è stato, ha dovuto foderarsi lo stomaco. Uomo delle autopsie al Civile, non può permettersi debolezze. «Quando viene fatto un esame autoptico - spiega - deve assistervi un ufficiale di polizia giudiziaria delegato dal pm». E quest’uomo è lui. A volte, racconta, basta l’esame esterno. Ma a volte i medici devono «incidere e frugare» nei cadaveri. «Nelle mia vita avrò assistito a centinaia di autopsie - racconta Castelli -. Un po’ ti riesci ad abituare, ma a volte ti toccano dentro, specialmente quando ci sono di mezzo i bambini».
Sono i bambini che ancora riescono a mettere sottosopra questo gigante dal vocione profondo e dai modi cortesi, questo tifosissimo del Brescia calcio («quest’anno niente stadio, sono stanco della violenza») che nella vita, lo ripete, ne ha viste «di tutti i colori».
A lui e ai suoi sei colleghi del Civile spetta il compito di far partire le indagini quando dietro una lesione sentono puzza di reato. Di informare la magistratura e la polizia inquirente. Di raccogliere quelle che tecnicamente si chiamano «sommarie informazioni», quando sono i primi ad avere notizia di un reato. A loro si rivolgono anche per le grane che capitano in ospedale. «Furti soprattutto - dice Castelli -: al Civile si verificano con cadenza quasi giornaliera». Infine sono loro che devono tenere d’occhio il pronto soccorso quando in corsia la temperatura sale. «Se si tratta di un ubriaco o un tossicodipendente in crisi d’astinenza ce la caviamo noi. Ma se la cosa si fa seria chiamiamo i rinforzi». Nonostante il pronto soccorso sia un «posto di frontiera» (parola del primario Paolo Marzollo) è difficile che ci sia più di un agente in servizio.
C’è un’altra cosa nel lavoro di cui Castelli farebbe volentieri a meno: «Capita di dover parlare con i parenti delle vittime, con chi ha perso un figlio, un fratello, la fidanzata. Di solito è l’ospedale ad avvisare. Ma a volte capita a noi di doverlo fare e sono momenti brutti». Ricorda quando circa cinque anni fa una ragazza, di Botticino come lui, è salita ai piani alti dell’Ospedale. «Si è buttata. Capita che scelgano l’ospedale per farla finita. La conoscevo. L’ho riconosciuta e poi ho chiamato la famiglia».
Della sterminata casistica che costringe le persone a varcare la soglia del pronto soccorso, Castelli mette al primo posto le vittime di incidenti stradali: «Ne vedrò almeno dieci al giorno». A forza di mattanza stradale e di lacrime in corsia, filmate dai suoi occhi in 26 anni di pronto soccorso, la prudenza gli è entrata nel sangue. «Anche se la strada lo permette ci penso due volte prima di accelerare o di fare un sorpasso. Anche se non c’è pericolo. Penso all’ultima persona che ho visto schiantarsi». Nel suo ufficio della Poliambulanza (dove Castelli sostituisce per questo mese un collega in ferie) entra un agente della polizia municipale. «Come sta il ragazzo?», chiede a Castelli. «E’ grave, ma dovrebbe farcela». Vestone, 19 anni, qualche giorni fa.

LA STAMPA Nell’Alessandrino si torna a parlare di eno cardiologia Incidente e un tasso alcolico record  

Picchia la moglie: denunciato Lunedì, 11 Luglio 2005

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