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Articoli 25/10/2012

I fenomeni criminali connessi al trasporto merci su strada L’assalto alla diligenza continua

di Lorenzo Borselli (*)
Foto Coraggio - archivio Asaps

L’intero sistema connesso al trasporto di merci su strada è da sempre fortemente condizi0nato da pesanti perdite dovute ai predoni: banditi, briganti, pirati, ladri, rapinatori fin dagli albori della civiltà hanno rappresentato il vero e principale freno del commercio, più di crisi passeggere o recessioni economiche.
Il cosiddetto assalto alla diligenza non è solo un fermo immagine tratto dalla fantasia collettiva dell’epoca moderna, ispirato magari ai racconti romanzeschi del vecchio West, quando bande di rapinatori a cavallo, travisati con fazzoletto e impugnando calibro 45 sempre fumanti, davano l’assalto ai convogli isolati diretti alla frontiera. Il furto o la rapina di un bene in transito per fini commerciali da un punto “A” ad un punto “B” è un così dilagante e endemico fenomeno che è entrato a far parte del linguaggio corrente di ciascuno di noi. Nel linguaggio parlamentare italiano, la frase venne usata per la prima volta nel 1915, quando l’onorevole Antonio Salandra, leader insieme a Sidney Sonnino del partito liberale monarchico e con lui fondatore de Il Giornale d’Italia, la usò per descrivere le manovre dell’opposizione per far cadere il governo.


Oggi, la frase viene usata per definire gli intrighi orchestrati da gruppi di persone  per dare l’arrembaggio a certa casta, altrimenti definita carrozzone.
Semantica a parte, la predazione è definita, in natura, come una delle varie tipologie della cosiddetta “interazione antagonista”, in cui un organismo predatore usa come fonte di cibo un altro organismo preda. Nel nostro settore d’interesse, il primo, l’organismo predatore, è generalmente rappresentato da una forma di criminalità organizzata – o che comunque fa parte di un vero e proprio indotto criminale – che si occupa di localizzare il bene da sottrarre al commercio lecito (organismo preda), trafugarlo, trasferirlo in luogo sicuro e reimmetterlo in un canale di vendita, a volte chiaramente illecito (per le modalità e prezzo con cui viene ceduto), altre in una rete apparentemente normale.
Chiaramente, ciò dipende dalla natura del carico trafugato: un rimorchio di generi alimentari può essere rivenduto a terzi ignari in modo assai più semplice rispetto a un container pieno di apparecchi elettronici.


I primi a subire un danno economico sono gli appartenenti al reticolo logistico (insieme a loro vi sono certamente gli assicuratori), ma anche l’immagine del commercio stesso ne risente e con essa anche quella del paese in cui il reato viene perpetrato.
Secondo cifre fornite dal Federal Bureau of Investigations (FBI) e relative al mercato americano, nel solo 2003 sono state sottratte illegalmente merci per un valore di circa 50 miliardi di dollari; dati forniti da Europol confermano che nel Vecchio Continente i pirati restano agguerriti e che, anzi, risulta aumentata anche la violenza con cui tali delitti vengono portati a termine. I dati del 2009 davano in crescita sia il numero di colpi su strada che quello degli assalti all’interno delle strutture logistiche, confermando l’esperienza degli investigatori italiani (soprattutto quelli di riferimento Europol, vale a dire le Squadre di PG sezionali e compartimentali della Polizia Stradale), secondo i quali le batterie di rapinatori sono vere e proprie emanazioni di organizzazioni criminali ben assestate in precisi contesti geografici del Paese. Al 2009, il maggior numero di scene del crimine è stato rilevato in Romania, Ungheria e Polonia, paesi seguiti da Italia e Gran Bretagna, e poi dagli altri stati membri, nessuno escluso: secondo Europol, il danno complessivo rilevato nel 2008 ammontava a 8,2 miliardi di euro.


Europol, che ha raccolto  i rapporti delle varie polizie comunitarie, ha addirittura stilato un documento, il Cargo Theft Report, nel quale sono accuratamente riportati i vari modus operandi dei criminali:
-    Ricorso a falsi poliziotti, che simulano un controllo di polizia facendo fermare il convoglio;
-    Ricorso a falsi incidenti stradali, creati per fermare i camion da rapinare (in Italia tale tecnica si è evoluta e comporta l’incendio di veicoli a monte e a valle del carico, che provoca panico e fuga);
-    Ricorso a finte deviazioni stradali;
-    Modalità di assalto diretto con gas lacrimogeno/urticanti ed esplosivi, di ispirazione militare;
-    Tecniche di abbordaggio portati a termine da altri veicoli;
-    Danneggiamento del rimorchio, con scasso delle pareti o il taglio dei teloni;
-    Simulazione di reato, con la complicità del conducente o di dipendenti infedeli.
Nel mirino ci sono le merci più facilmente smerciabili, come alcolici, elettronica di consumo, abbigliamento, farmaci e sigarette. Non mancano nella lista materie prime, come acciaio, rame e nichel. In Italia, nei primi anni del 2000, l’impennata del numero  di sequestri di persona in scopo di rapina in danno di autotrasportatori scandinavi rischiò di trasformarsi in un vero e proprio incidente diplomatico tra Italia da una parte e Norvegia, Svezia e Danimarca dall’altra.
In pratica, ogni carico di baccalà proveniente dal Nord Europa e diretto al mercato campano, era finito nel mirino della camorra e solo la creazione di un pool investigativo tra squadre investigative della Polizia Stradale, coordinate dalla Terza Divisione del Servizio – e squadre mobili delle Questure, coordinate dallo SCO, pose fine, dopo una lunga estate di sfiancante lavoro, alle scorrerie delle bande, con l’arresto di decine di soggetti molti dei quali affiliati.
Una ricerca pubblicata sul Norway Post, settimanale di lingua inglese pubblicato a Oslo, e risalente a quel periodo, spiegò che nel solo 2001 le compagnie di assicurazione erano state costrette a sborsare l’equivalente di un milione e 250 mila euro, per coprire i colpi in danno di dieci tir depredati: poche settimane dopo, la Vesta, una delle principali assicurazioni norvegesi, dichiarò che non avrebbe più assicurato le spedizioni dirette in Italia (avendo già posto come limite massimo di copertura il raggiungimento della zona di Roma), costringendo il ministero della Pesca a far propria la dichiarata intenzione dei produttori di merluzzo e baccalà di interrompere i rapporti con il Belpaese, ghiottissimo di pesce essiccato, per spezzare la spirale di paura.
Un affare che sarebbe costato all’epoca quasi 190 milioni di euro ma al quale erano tutti pronti a rinunciare.

 

La scena del crimine
In genere, quando si parla di rapina al tir, le modalità sono queste: durante la sosta del veicolo (ma anche durante la marcia), il conducente viene sequestrato e immobilizzato, tenuto segregato in cabina, spesso dopo essere stato malmenato, e condotto in un luogo sicuro insieme al convoglio, scaricato in pochissimo tempo di tutta la merce e poi abbandonato in un luogo diverso, ore dopo. Non c’è satellitare che tenga, contro la determinazione di questi banditi e più sono organizzati più cresce la loro capacità di risposta alle contromisure adottate.
Nel 2005 la Kenworth Truck ha ideato un sistema di riconoscimento antropometrico del conducente, ma sotto la minaccia di una pistola c’è poco da fare: le uniche risposte davvero risolutive restano prevenzione e repressione: pattuglie, aree di sosta sicura e vigilata, intelligence in grado di intervenire sul posto in tempi rapidi e specificatamente addestrata.
Nel 2002, i carichi di merce a rischio rapina venivano spesso scortati da gorilla armati, ma i costi per il vettore in condizioni di questo tipo crebbero a dismisura: appare inaccettabile per un paese occidentale avere strade infestate da banditi come nel vecchio West.
Il passato più recente, secondo le esperienze dirette degli investigatori italiani, ci spinge però a ritenere che le rapine siano in calo, sia per l’accresciuta competenza degli organi di polizia che per il pesante tributo in termini di pene definitive cui i soggetti dediti per abitudine, professione e tendenza a tale attività criminale vanno puntualmente incontro quando il cumulo delle varie condanne definitive diviene esecutivo .
Cresce, di contro, il fenomeno delle appropriazioni indebite e quello del furto con taglio di telone, oltre che del furto del mezzo. Secondo un dossier redatto da Viasat, ogni anno in Italia vengono rubati 2.416 camion. Il dato, del 2011, testimonia un decremento rispetto al 2010, quando i furti denunciati erano stati  2.900; il rapporto georeferenzia i furti e questo ci consente una conoscenza molto accurata dei reati: Lombardia 561 veicoli pesanti rubati, Puglia (311), Sicilia (266) Campania (247), Lazio (233), Piemonte (229) ed Emilia Romagna (169).
A questo proposito, bisogna però fare una constatazione: la maggior parte degli autori di questi reati - e questo lo dice il risultato investigativo - provengono dalla mala campana (soprattutto Napoli e Caserta), da quella Laziale (Roma e Latina in testa) e dalla criminalità pugliese (in genere Bari, Bitonto e Taranto). È in seno a questi gruppi che le forze di polizia localizzano di frequente le centrali operative criminali con le rispettive maestranze, alimentate da forti infiltrazioni di manovalanza albanese e romena. È in queste zone che, puntualmente, le indagini di tutta Italia convergono, tanto che è possibile affermare - con ragionevole certezza - che il fenomeno delinquenziale connesso ai veicoli commerciali è gestito da veri e propri pendolari del crimine. Ogni gruppo in azione si distingue dagli altri, sia sul fronte di una sorta di spartizione del territorio che su quello delle tecniche impiegate: i pugliesi, ad esempio, si muovono (com’è naturale) sulla direttrice adriatica, allacciandosi poi in Emilia Romagna alla A1 ed avventurandosi fino ai confini di Stato sulla A22 o in Piemonte, utilizzando soprattutto la tecnica del “taglio del telone”; i campani ed i laziali (che spesso lavorano insieme), sono soliti saccheggiare le aree di servizio della A1 o delle arterie tirreniche, preferendo purtroppo tecniche più drastiche, come il sequestro di persona a scopo di rapina o varie fattispecie di furto. Quando al taglio del telone non segue il furto del mezzo, la notizia di reato alimenta però altre statistiche, di cui non si trova praticamente traccia. La convergenza di interessi, data soprattutto dalla floridità della logistica in Lombardia, rende questa regione uno dei terreni di caccia preferiti da tutti i gruppi in azione. In genere, i delinquenti si spostano a nord e poi calano lentamente verso il mezzogiorno d’Italia, pattugliando letteralmente le aree di servizio o agganciando convogli dei quali dispongono di informazioni relative alla natura del carico.
Molti dei camion rubati, vengono poi ritrovati (1.548 su 2.416, in pratica uno su due), ma del carico non si ha più alcuna traccia e in testa alle preferenze dei predoni ci sono ancora una volta i prodotti tecnologici, che hanno il pregio di occupare poco spazio, di avere un altro prezzo di rivendita (si va dalle forme di reato connesse come la ricettazione, l’incauto acquisto o il riciclaggio fino alla buona fede di terzi).
Determinare una strategia di contrasto che debelli il fenomeno, è praticamente impossibile anche alla luce dei tagli ai quali polizia e giustizia sono stati nel tempo sottoposti (taglio delle missioni, degli straordinari, delle dotazioni tecniche, delle intercettazioni, dei veicoli, dei corsi di aggiornamento), ma rendere più dura la vita alla criminalità organizzata è certamente un risultato che può essere conseguito. Come?
Esistono, come già detto, due modi:

 

Prevenzione:
-    incrementare, in una sorta di project financing, la collaborazione tra imprese di trasporto e organi di polizia che operano sul territorio, sia in qualità di enti deputati al controllo del medesimo che alla funzione di polizia giudiziaria;
-    predeterminare e protocollare una serie di comportamenti, anche in relazione alle accresciute possibilità che la tecnologia moderna offre.

 

Repressione:
-    sfruttare il protocollo di cui si parlava prima e realizzato con una concertazione accurata tra le parti e mettere in condizione il territorio di dare una risposta investigativa immediata e costante su tutto l’asse viario nazionale che, per quanto complesso e intasato, corre sostanzialmente su quattro direttrici principali: la A1, la A4, la A22 e la A14.
Facciamo un esempio semplice: se un vettore parte da uno scalo commerciale come Linate ed è diretto a Fiumicino, il trasportatore deve seguire un sentiero di avvicinamento alla meta finale assolutamente preciso.
La fuoriuscita  del mezzo dal sentiero, deve comportare l’attivazione di una serie di accertamenti, anche silenziosi, ai quali deve però corrispondere la pronta risposta dell’Autorità: non si dimentichi che la sicurezza del trasporto terrestre non è una questione privata. La sicurezza di una strada è un fattore in testa a ogni analisi di mercato, oltre che un segno di civiltà.
L’espletamento di un bisogno fisiologico, ad esempio, dovrebbe avvenire in condizioni di sicurezza assoluta, utilizzando esclusivamente aree di servizio (frequentate e sorvegliate), lasciando la sosta in area di parcheggio, piazzola di sosta o in corsia di emergenza alle situazioni urgenti, non altrimenti differibili e, comunque, previo avviso al centro di controllo. La Polizia Stradale, qui, assume un ruolo primario e se la “scatola nera” (Black Box) installata sui camion consente una risposta all’allarme lanciato entro due minuti, bisogna che qualcuno sia sempre in grado di raggiungere il luogo dell’allarme e compiere le opportune verifiche.
Secondo Viasat Group, tale tecnologia consente il recupero dell’86% dei mezzi pesanti con un valore delle merci ritrovate di oltre 5 milioni di euro.
Ogni conducente dovrebbe attenersi scrupolosamente alle istruzioni ricevute, anche in caso di furto ben sapendo che un comportamento difforme da quello delle proprie consegne lo esporrebbe a indagini interne e giudiziarie: a colpo avvenuto, infatti, la denuncia dovrebbe essere sporta in loco, consentendo agli investigatori locali di congelare la scena del crimine e muoversi in un contesto a loro conosciuto. Un fatto denunciato a distanza di centinaia di chilometri, e purtroppo ciò accade, è un gravissimo pregiudizio all’integrità delle investigazioni future.
L’analisi delle strategie criminali e la recrudescenza di questa fattispecie (un furto su tre ai danni di un Tir avviene durante la sosta in autostrada), hanno indotto la Commissione Europea a ripensare le aree di servizio autostradali in chiave di una maggior sicurezza.
Peccato che il Paese risponda coi tagli.

 

(*) Sovrintendente della Polizia di Stato, Responsabile Nazionale Asaps
per la Comunicazione, redattore della rivista Il Centauro.

 

 

 


Giovedì, 25 Ottobre 2012
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