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Rassegna stampa alcol e guida del 6 febbraio 2005

RASSEGNA STAMPA "ALCOL E GUIDA"

Note a cura di Alessandro Sbarbada
Servitore-insegnante in un Club degli Alcolisti in trattamento a Mantova.


L GAZZETTINO (Vicenza)
PREVENZIONE Cinquecento adolescenti controllati in discoteche, pub e birrerie tra Dueville, Caldogno e Cavazzale
I carabinieri tra il popolo della notte

Cinquecento adolescenti controllati in birrerie, pub e discoteche fra Dueville, Caldogno e Cavazzale; diciassette lavoratori in nero; 40mila euro sanzioni amministrative ai gestori dei locali, un multato "da sigaretta" e un denunciato per somministrazione di alcolici a minorenni. Questo il bilancio dell’operazione condotta nella notte fra venerdì e sabato scorsi dai carabinieri di Dueville e di Thiene, con il supporto dei colleghi del Nas di Padova e la partecipazione dell’ispettorato dell’Inps. Ma al di là di cifre e numeri, a preoccupare è un dato su tutti: il forte abuso di alcol fra ragazzi con un’età compresa fra i tredici e i sedici anni: come i cinque amici sorpresi in piazza a Dueville, non ancora quattordicenni, talmente ubriachi da indurre a pensare all’assunzione di stupefacenti. (*).
IL GAZZETTINO (Pordenone)
Il Comune: «Campagna di sensibilizzazione contro gli abusi anche da alcol»
Ragazza in coma etilico
Quattordicenne soccorsa mentre era a una festa a Zoppola

Non è una storia che ha come sfondo il quartiere malfamato di una grande città o una famiglia problematica. Il fatto è accaduto in una piccola comunità, quella di Zoppola, dove una ragazzina quattordicenne è finita in coma etilico. L’episodio è avvenuto qualche giorno fa durante una festa alla quale partecipavano anche degli adulti. È stato neecessario portare la quattordicenne in un ospedale perchè le sue condizioni erano preoccupanti come, peraltro, è preoccupante l’episodio in sè che testimonia l’abuso di sostanze alcoliche anche tra i più giovani. L’amministrazione comunale ha promesso che non starà a guardare: organizzerà una campagna di sensibilizzazione su vari abusi, compreso quello dell’alcol.

L SECOLO XIX
Il cuore di Mattia ha cessato di battere
Ha compiuto i 19 anni in coma nel letto dell’ospedale di Pietra Ligure. I funerali non sono ancora stati fissati
E’ morto il giovane coinvolto domenica scorsa nell’incidente stradale sull’Aurelia a Ceriale
Loano Un’agonia durata quasi una settimana. Poi, ieri mattina all’alba, il cuore di Mattia Pavarino ha cessato di battere. L’espianto non si farà. Si attende solo il nulla osta della magistratura per fissare i funerali.
Mattia Pavarino, che frequentava il quinto anno del liceo Issel di Finale Ligure, era rimasto gravemente ferito nell’incidente avvenuto domenica mattina alle 4,40 sull’Aurelia tra Albenga e Ceriale. Tornava da una serata trascorsa alla discoteca "Al Porto" di Alassio dove era andato a festeggiare il suo diciannovesimo compleanno. Diciannove anni che ha compiuto poi lunedì scorso in un letto dell’ospedale pietrese dove i medici dell’équipe del dottor Alessandro Dagnino hanno fatto l’impossibile per salvargli la vita.
Mattia viaggiava sul sedile posteriore di una Citroen Saxo in compagnia di altri quattro amici. L’auto, finita fuori strada, si era schiantata contro il guard-rail. Mattia era stato sbalzato fuori dall’abitacolo, attraverso il lunotto posteriore, ed era caduto pesantemente sull’asfalto. Nell’urto anche V. D., 18 anni, di Calice Ligure era stato sbalzato fuori dell’auto ed è stato a sua volta ricoverato al Santa Corona. Gli altri componenti del gruppetto di amici sono stati più fortunati: G. D., 20 anni, di Finale, ha riportato una prognosi di 15 giorni, mentre R. R., 18 anni, di Finale, è stato giudicato guaribile in 3 giorni. E’ rimasto, infine, praticamente illeso il conducente della Citroen Saxo, B. L., 20 anni, di Orco Feglino, denunciato dai carabinieri per guida in stato d’ebbrezza e ora anche per omicidio colposo.
Mattia, grande tifoso della Juve e di Valentino Rossi, era figlio di Pier Giorgio Pavarino, 44 anni, autista ai cantieri navali di Pietra. La madre, Giuseppina Cempoli, 40 anni, è originaria di Villanova. Oltre ai genitori lascia un fratello, Loris, di quattordici anni e una sorellina, Greta, di circa un anno e mezzo. I funerali potrebbero svolgersi lunedì o al più tardi martedì pomeriggio nella chiesa di Pio X a Loano.  G.B.

VIRGILIO.IT
La vendita della birra in calo del 4% nel 2004
Gli italiani ne hanno consumato 29 litri pro-capite sconto 

(ANSA)-RIMINI, 6 FEB- Calo delle vendite di birra nel 2004: sono scese del 4% con un consumo di 29 litri pro capite, uno in meno del 2003, lo rende noto l’Assobirra.Alla manifestazione Pianetabirra 2005, aperta oggi a Rimini, il presidente dell’Assobirra, Fuchs, dice che il consumo e’ sceso un po’ per le diverse condizioni climatiche, un po’ per la contrazione delle uscite serali e quindi delle occasioni di consumo di birra provocate dalla congiuntura economica sfavorevole e per un’accisa doppia rispetto ad altri Paesi.

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
L’episodio si è verificato poco dopo le due. La donna ha chiesto soccorso immediatamente, ma invano, e ha confessato tutto
Uccide il marito, dramma a Bucaletto
Protagonista del delitto avvenuto ieri notte una coppia mista italo-marocchina Alessia Metallo, 20 anni, ha accoltellato il venticinquenne Abdellah Bakir

POTENZA Un ambiente degradato, l’ennesima lite, lei che estrae dalla borsetta un coltello a serramanico e colpisce il marito al costato lasciandolo morto a terra, ai piedi del divano. La fredda sequenza dell’omicidio avvenuto ieri notte a Bucaletto, la cittadella del dopo terremoto di Potenza, è questa. Nè più, nè meno. Una sequenza di pochi attimi che è costata la vita a un uomo di 25 Abdellah Bakir, marocchino, in Basilicata da 5 anni, e il futuro alla sua giovane moglie ventenne, Alessia Metallo, ora in carcere con la pesante accusa di omicidio volontario. Ma dietro quegli istanti a cui ha assistito impotente un cugino della vittima, dietro quella confessione piena resa dalla donna all’arrivo degli agenti della polizia e dei soccorritori del 118 da lei stessa chiamati c’è tanto. C’è la storia di due vite, anzi di tre con la figlia di meno di un anno della coppia da tempo data in affidamento a una parente, c’è una triste quotidianità fatta di povertà, amore, dolore, violenza. Fatti in parte raccolti negli archivi della polizia, in parte vissuti nel «ghetto» di quattro mura di legno di un prefabbricato. Prima di ieri altre volte gli uomini della Questura di Potenza avevano avuto a che fare con Bakir. Un coinvolgimento in un’inchiesta per spaccio di droga, ma soprattutto episodi di violenza. Una rissa in un locale pubblico di Potenza, un’aggressione a un poliziotto lo scorso 21 gennaio, ma, soprattutto, il 12 agosto dello scorso anno, un intervento nella stessa casa ieri teatro dell’omicidio per soccorrere Alessia Metallo che lamentava di essere stata picchiata dal marito. Un episodio che la donna avrebbe riferito come non isolato e per il quale, però, si sarebbe rifiutata tanto di sporgere denuncia quanto di farsi refertare in ospedale. Ma al di là dell’intervento della polizia, in quella casa abitata dalla povertà (Bakir aveva lavorato per un po’ come benzinaio poi aveva continuato «arrangiandosi» e recuperando poche centinaia di euro al mese) le liti, stando ai racconti, erano frequenti. Così anche venerdì sera. Una lite aspra contrappone l’uomo (che a detta della moglie aveva bevuto, cosa che faceva di frequente) alla moglie. Lei, Alessia, non ce la fa a sopportare l’ennesima raffica di grida. Esce di casa, va in un locale a passare qualche ora con gli amici (circostanza verificata dalla polizia) poi ritorna alle 2 di notte. Il marito, però è ancora lì, le grida contro parole in arabo, che lei non capisce, e le si scaglia contro. Lei lo respinge e lo scaraventa a terra. Poi, mentre l’uomo frastornato si rialza, estrae dalla borsetta un coltello a serramanico e quando il marito torna a avvicinarsi scaglia un solo fendente. Fatale. Immediatamente telefona al 118. I soccorritori arrivano insieme alla polizia, ma è troppo tardi. Ad aprire la porta è ancora la moglie: «L’ho colpito con questo» dice al primo poliziotto che si trova avanti consegnando quel coltello. Un’arma che la donna portava con sé da qualche mese. Per paura. Per paura di quell’uomo che, comunque, non riusciva a smettere di amare.  Giovanni Rivelli.

CORRIERE ROMAGNA (Cesena)
Alcolisti in trattamento: nuovo club

CESENA - Per aiutare chi ha una dipendenza da alcol ora Acat apre un nuovo club a Gatteo Mare. Giovedì è stato inaugurato nei locali del Comune di S. Angelo di Gatteo un nuovo club della Associazione Club Alcolisti in Trattamento di Cesena, portando a quota sei le sedi utilizzate dalle famiglie per incontrarsi e per sostenersi nella lotta alla bottiglia. Acat è una associazione presente da anni nel territorio nazionale ma anche locale, e che ha come prerogativa l’aiuto non solo del singolo individuo ma dell’intero nucleo familiare nel quale l’alcolista vive, interesse che sembra essere sempre più gradito. “Nel cesenate – spiega Vittorio Fantini, presidente di Acat – Cesena – sono circa 60 le famiglie che frequentano i nostri club e che partecipano agli incontri che si tengono ogni settimana. Finora a Cesena vi erano cinque club, ma abbiamo notato che la richiesta veniva anche dalla zona costiera. Oggi, infatti, alcuni club erano sovraffollati e difficili da seguire con cura proprio per mancanza di luoghi, poi, grazie a un convegno sull’alcolismo che abbiamo realizzato nei mesi scorsi a Gatteo Mare, abbiamo notato un forte interesse, non solo da parte della popolazione, ma anche dalla Amministrazione Comunale. Con questo nuovo club quindi potremo ospitare anche famiglie che abitano nelle zone limitrofe a Gatteo Mare e sensibilizzare la cittadinanza ai rischi dell’alcol. In cantiere si sta inoltre ipotizzando di aprire un club anche a Cervia, visto che avremmo già un operatore disposto a seguire gli incontri. Speriamo che questo desiderio diventi presto una realtà”. Il club di Gatteo Mare sarà aperto tutti i mercoledì dalle ore 20,30 in poi. Per info contattare lo 0547-26187. Ci.bi.

CORRIERE DELLA SERA
Inutili gli sforzi per calmarli. Gli avventori sono stati denunciati per schiamazzi e per violazione della legge Sirchia
Lite per il fumo, pizzaiolo muore d’infarto

Torino, tre clienti lo insultano e si rifiutano di spegnere le sigarette. L’uomo, cardiopatico, crolla
DAL NOSTRO INVIATO
TORINO - Forse il fumo è stata una causa accidentale, forse era destino che un ristoratore settantenne morisse d’infarto, proprio venerdì sera, dopo una giornata di lavoro nel suo locale, al centro di Torino. Ma, certo, il pesante diverbio avuto con tre irriducibili clienti, ubriachi e attaccabrighe, ha fatto la sua parte: Francesco Ghisu, stressato e sfinito dai tentativi di domare il terzetto di avventori che «sfumacchiavano» per sfida, pronunciando pesanti battute all’indirizzo di sua moglie e sua nuora in servizio ai tavoli, non ha retto. «Papà lascia perdere, sei malato», gli diceva il figlio Sandro, premurandosi di chiamare il 113. L’uomo ha lasciato la sala, è andato nel retro della cucina, e lì s’è accasciato a terra. Prima paonazzo, poi terreo. Morto. L’ambulanza l’ha portato inutilmente in ospedale, mentre il terzetto di spudorati veniva scortato al vicino posto di polizia, cavandosela (per ora?) con una sanzione per aver contravvenuto al divieto di fumo e una denuncia per gli schiamazzi.
L’episodio, che suscita scalpore soprattutto in relazione al dettaglio della sigaretta, oggi illegale in virtù della controversa legge voluta dal ministro della Salute Sirchia, è accaduto nella pizzeria-ristorante «Su Forru» (Il Forno) di via San Donato, nei pressi della centralissima piazza Statuto. Ottanta coperti, conduzione familiare: varietà di pizze e altre specialità della gastronomia sarda. Francesco Ghisu aprì i battenti di «Su Forru» trent’anni fa, lui pizzaiolo emigrato da Sassari con la moglie Angela e la primogenita Miriam. Sandro, il secondogenito, sarebbe nato torinese. Sacrificio e dedizione, ore di lavoro che non si contavano mai, portarono soddisfazioni al signor Francesco. Che con l’aiuto della consorte e poi del figlio e della nuora Rosy era riuscito a far marciare il locale a pieno ritmo. «Una decina d’anni fa - racconta Sandro - mio padre cominciò ad accusare i primi disturbi. Gli accertamenti clinici evidenziarono che era cardiopatico. Ma un’adeguata terapia farmacologia gli permetteva di vivere in buone condizioni, e anche di lavorare. Certo, i medici gli raccomandavano di non stressarsi». «Ad essere sinceri - aggiunge - la legge antifumo l’aveva preoccupato non poco: in questo mese, infatti, il calo di clienti c’è stato».
Venerdì sera, dunque, la famiglia Ghisu è al suo posto: padre e figlio in cucina, moglie e nuora in sala. Nel ristorante non c’è pienone, ma il movimento non manca. Attorno alle 21.45 entrano i tre tipi, con l’aria già spavalda e l’occhio brillo. Amici, a quanto pare. Di età che varia dai quarantacinque ai sessant’anni, circa. Si siedono, ordinano pesce fritto e vino a go-go, bianco e rosso. «Uno di loro, anch’egli sardo come noi, lo conoscevamo di vista. Era già venuto qualche volta nel locale», ricorda Sandro. Tre clienti imbarazzanti. Parlano a voce alta, fanno apprezzamenti volgari («le donne sono tutte str...», «tutte figlie di put...») guardando con insistenza Angela e Rosy, che vanno e vengono con i piatti di portata. E, per giunta, si mettono a fumare. Il patron, avvertito, esce dalla cucina e si dirige verso i clienti, intimandogli di piantarla lì. E di spegnere le sigarette. Neanche per sogno. Il terzetto alza il tono e le parole.
Arriva Sandro: «Smettetela, mio padre soffre di cuore». Anche Angela interviene, facendo appello allo stato di salute di Francesco: «È cardiopatico, ha pure il libretto che lo conferma». «Sì, il libro della morte», ghigna uno dei più esagitati. Il diverbio continua e poi degenera, mentre il ristorante si sta svuotando. A quel punto il figlio telefona al 113. «Ah, ah, chiamate pure gli sbirri...», è la reazione. Tempo qualche minuto, e la volante è a «Su Forru». I tre, sulle prime, cercano di prendersi beffa perfino degli agenti che li identificano: N.P., C.D., S.F., tutti residenti a Torino. Nel frattempo, Francesco Ghisu ha lasciato la sala, dileguandosi nel magazzino di disbrigo, accanto alla cucina. «Dov’è papà?», s’interroga Sandro, preoccupato. Lo trova, poco dopo, steso sul pavimento, vicino al lavello dei piatti. Lo scuote. Non risponde.
Marisa Fumagalli .

L’ECO DI BERGAMO
Treviglio, colpisce due poliziotti In cella marocchino

TREVIGLIO Un marocchino di 42 anni domiciliato a Treviglio è stato arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale dagli agenti di Treviglio. L’extracomunitario ubriaco, con un connazionale, stava infastidendo un barista di viale Ortigara a Treviglio, che ha chiamato la polizia, mentre chiudeva il locale.
All’arrivo degli agenti l’amico si è allontanato, mentre il quarantaduenne ha cominciato a colpire la porta del locale con pugni: quando un poliziotto si è avvicinato per calmarlo, l’immigrato l’ha colpito con pugni e calci facendo cadere. Anche il secondo agente è stato colpito: il marocchino è caduto addosso al primo poliziotto, fratturandogli una mano, e ha battuto la testa contro una fioriera. Sono scattate le manette. Il primo poliziotto ha riportato lesioni guaribili in 30 giorni, 12 giorni per il collega e 7 per il marocchino. Ieri l’uomo è stato processato in direttissima: ha patteggiato 10 mesi di reclusione.  T.T.

CORRIERE ADRIATICO
“Dopo aver bevuto per ore occorre la pillola blu per avere un rapporto con una ragazza”
I locali di tendenza, i festini e gli incontri occasionali “Ci sono quelle che si offrono per una striscia”
Notti da sballo, poi spunta il Viagra

I ragazzi si confessano: “La droga e il sesso”
Si può essere dei docili e promettenti rampolli di buona famiglia al di sopra di ogni sospetto durante il giorno e incontenibili abitanti dei paradisi artificiali della droga e di quelli carnali del sesso facile durante la notte. La penombra dei locali più alla moda pesaresi, la luce fissa e impietosa dei lampioni nei parcheggi delle discoteche della riviera, la flebile fiammella delle candele nelle fumerie di cocaina scoperte nel centro cittadino: sono le mille luci di un fenomeno in rapida crescita.
La cocaina è ormai sotto il naso di tutti. Dopo gli arresti effettuati dalle forze dell’ordine, e l’ultimo sequestro della non modica quantità di 350 grammi di cocaina nella zona mare, quello che per molti frequentatori di locali notturni era evidente da tempo è diventato palese anche per chi predilige passare le serate a casa a guardare il varietà: la polvere bianca è una delle droghe più diffuse fra giovani, giovanissimi e meno giovani, che per allietare le grige e monotone serate dei week end della riviera non disdegnano qualche riga per tirare su il morale a se stessi, ai propri amici e magari anche alle amiche...
Rapporti occasionali in cambio di droga, notti brave dentro e fuori dalle discoteche contrassegnate dalla sottile linea bianca della coca, da sniffare con gli amici, con una donna o con un superalcolico stretto nell’altra mano. Sono questi gli elementi di una storia soltanto notturna che si comincia a vivere nel fine settimana dopo aver infilato le chiavi nella coupé di famiglia.
"Di ragazze se ne incontrano, anche molto giovani che in cambio di un tiro di coca si offrono nei parcheggi o nei luoghi riparati in cui, di volta in volta, si decide di fare questo "scambio" - racconta uno studente universitario: ha 26 anni e gli ultimi 6 li ha trascorsi pascolando all’università da bravo, educato ma "accigliato principe" della buona società -. Ma in discoteca e nei locali si beve, anche troppo, e tra alcol e coca può capitare di non arrivare all’appuntamento sufficientemente pronti: la mancanza viene compensata con il Viagra, la pasticca blu che viene consumata dopo una sbornia lunga quanto una notte". L’assunzione del Viagra, da parte di ragazzi che non dovrebbero avere bisogno di una “pozione magica” per fare ciò che è naturale, è uno degli aspetti più nuovi e preoccupanti di questo fenomeno.
La polizia rivela che la droga corre nei locali alla moda di Pesaro. Ma i consumatori non sono solo insospettabili imprenditori e il “giro” non è solo nei ritrovi più in. Gli anni Ottanta sono finiti e la coca non è più la droga dell’upper class. Il vizio bianco si è diffuso trasversalmente in tutte le classi sociali, narici dorate o no. La clamorosa inchiesta dei carabinieri di un anno fa - della quale ancora si tiene il conto degli indagati, degli arrestati e dei rinviati a giudizio - ha dimostrato che il consumo si può accompagnare alla prostituzione di giovani tossicodipendenti. Ma più spesso il sesso non è una merce di scambio, ma il companatico per meglio gustare lo sballo della cocaina.
Un pesarese, giovane (ha 25 anni) ma già dirigente di una piccola impresa, racconta: “Non mi è mai passato per la mente di proporre a una ragazza uno scambio coca-sesso. Mi è però capitato di ricevere delle proposte esplicite da alcune ragazze, che promettevano momenti di intimità per qualche striscia. Però sono casi più unici che rari, e, detto tra noi, poco allettanti... Se a una festa, o in un locale, mi ritrovo con degli amici a fare qualche pezzo, e a noi si uniscono delle ragazze, è possibile che uno di noi finisca a letto con una di loro. E’ successo. Magari la droga ha eliminato molte inibizioni, o magari quei due sarebbero finiti a letto lo stesso. Se poi qualcuno fa il furbo, è un altro discorso. Ma per quanto mi riguarda, quando sono sotto effetto di cocaina non provo grandi pulsioni sessuali”.
Un altro ragazzo della stessa età, impiegato in una fabbrica e dall’aspetto più informale, interviene: “C’è anche chi organizza dei veri e propri festini, con coca a volontà per ingrifarsi e qualche amica molto disponibile. Ma la considero più una deviazione sessuale, piuttosto che una conseguenza dell’uso della cocaina. Lo farebbero anche senza la droga, che serve solo per migliorare le prestazioni e le sensazioni. Sicuramente molti pusher approfittano di alcune ragazze per circuirle, e magari qualche ragazzetta molto spigliata fa lo stesso con il pusher (anche lui in fondo ci perde qualcosa, e chi può dire chi sfrutta chi?).
Il sottobosco della cocaina è molto vasto, e le abitudini cambiano a seconda dell’età e dei posti che si frequentano. I giovanissimi, i ventenni, lo consumano principalmente per la carica che ricevono dalla droga, ne fanno un uso più sbandierato e si incontrano per fare “acquisti” in ben noti locali, che di certo non sono bettole per fattoni. Invece i personaggi dai trenta in su forse ne fanno un uso più sessuale, dato che dispongono di abitazioni dove consumare i loro rapporti. O forse, data la sensazione di potenza che dà la cocaina, riescono in questo modo ad integrarsi in un mondo notturno che vuole tutti giovani e grintosi. E lavorando tutta la settimana la grinta passa verso le undici di sera..."    Antonella Marchionni.

IL GAZZETTINO (Belluno)
PEDAVENA L’Rsu avverte: «In tutti i casi di riconversione la multinazionale ha sempre impedito che subentrassero produttori di birra»
Birreria, le lacrime di Zaetta commuovono la sala «Pretendiamo che vengano rispettati i patti. Qui lo stabilimento è nato 70 anni prima del marchio olandese. È la nostra identità»

Parole rotte da viva emozione. A tal punto accorate e commosse da meritarsi un sonoro applauso colmo di gratitudine. L’intervento del sindaco di Pedavena, Franco Zaetta, venerdì sera all’incontro del Lions Club Feltre Host presieduto da Fabio Soppelsa, ha fatto breccia nel cuore dei presenti. Consentendo al primo cittadino di aggiudicarsi, tra il pubblico della sala degli Elefanti della storica birreria, il soprannome di "passionario della causa della Birreria Pedavena". «Sappia Heineken - ha affermato - che una piccola comunità come la nostra è intenzionata ad andare avanti nella sua azione di difesa dei propri valori e diritti. Perché la birreria, che tra l’altro per la multinazionale olandese ha rappresentato la sua entrata nel mercato italiano, è la nostra stessa identità. Intendiamoci, non dichiariamo guerra a nessuno; pretendiamo però che Heineken rispetti i patti sottoscritti nell’accordo dello scorso dicembre. E cioè quel punto in cui essa si rende disponibile a cedere la struttura a un altro produttore di birra. Siccome questi ci sono e hanno già avanzato la propria disponibilità, non si capisce perché Heineken continui a tener chiuse le sue porte». «Ricordiamoci - ha aggiunto Zaetta - che non è Heineken la storia di Pedavena, bensì la fabbrica che qui, grazie ai fratelli Luciani, ha avviato la propria attività oltre cento anni fa. Ben una settantina prima che nascesse la stessa Heineken... Quindi, per favore, al bando parole come riconversione. Sì, invece, a forti e determinate azioni per stanare Heineken». «Un conto è dire una cosa - ha rincarato la dose l’on. Maurizio Paniz - un conto è volerla veramente. E purtroppo tutti i fatti con cui noi oggi ci confrontiamo parlano da soli. Scordiamoci che Heineken si presenti a un tavolo con enti e istituzioni locali con l’intenzione di vendere. Se veramente si muoverà a favore di una cessione si guarderà bene dal concludere trattative "semi-pubbliche"; lo farà eventualmente nel massimo silenzio e riserbo. Personalmente vedo un futuro per questo sito solo se un imprenditore, nell’anonimato più totale rispetto all’opinione pubblica, si rapporterà singolarmente con l’azienda». Da far notare, come ha spiegato Davide De Martini Bonan delle Rsu, che «in tutti i casi di cessione di stabilimenti, la Heineken mai ha dato la disponibilità a far subentrare nella proprietà produttori di birra. Al contrario ha posto vincoli ben precisi per impedire tale eventualità. Questo di Pedavena, quindi, sarebbe il primo caso».   Raffaella Gabrieli.

IL GAZZETTINO (Treviso)
VITA SOBRIA PER BATTERE LO SMOG

Nascondino delle polveri sottili" è il nuovo gioco. Dati che si rincorrono sullo smog; proposte severe, a volte radicali, per sconfiggerlo, ma che poi vanno a finire in canarina; un giorno viene lanciato un allarme; il giorno dopo basta una nevicatina per rimettere tutto a posto.Rimpallo di responsabilità e compiti tra istituzioni. Alla fine non se ne fa niente , quindi viene il dubbio che si stia giocando a nascondino, si stia scherzando, come se non fosse in causa la salute della gente. "Al lupo, al lupo" gridava il pastorello scherzando, per far accorrere i pastori. Ma quando il lupo venne veramente, i pastori non gli credettero e le pecore furono azzannate. Così, dopo tanti allarmismi sullo smog, proibizioni, deroghe ... alla fine ci troveremo con una situazione irreparabile. Morale della favola: nessuno vuole rinunciare ai suoi comodi, nessuno accetta, non solo limitazioni, ma nemmeno regole.A chi spetta monitorare la situazione riguardo alla salute? Quale potere, istituzione ha il compito di programmare gli interventi necessari? Forse il punto più delicato è quello dei cittadini che dovrebbero comprendere come il bene comune esige rinunce a propri comodi e l’assunzione di stili di vita diversi. Quante volte si è parlato di mezzi pubblici in sostituzione delle auto?! Naturalmente con parcheggi adeguati, posti in luoghi strategici. Ci vuole un piano complessivo e decisione nel portarlo avanti. Se ci sono i bus, la gente continua con le auto; chi desidera usare i bus non trova i parcheggi; i bus costano e se sono pochi non rendono il servizio adeguato. Sembrano regnare il caos totale dell’individualismo e l’inerzia attendista delle istituzioni. Ogni scelta scontenterebbe alcuni, e si tratta di riserve di voti.
Si dice che l’uomo è "hanimal rationalis", ma che razionalità è quella che lo porta a inquinare l’ambiente e mettere a rischio la salute, per poi fare costosi piani antismog? La chiave di volta è un cambio di mentalità: rispettare l’ambiente, usare ordinatamente le risorse, aver cura della salute delle persone. Questo significa uno stile di vita più sobrio, più attento, meno distruttore. Invece si sceglie ciò che comoda e poi ci si lamenta dei disagi, che si sono voluti. E’ la stesso metodo usato per certi rimedi escogitati per evitare le morti del sabato sera. Qualcuno ricorderà che un gruppo di madri inventò il treno discoteca. Adesso si ricorre ai taxi per il ritorno di chi si ritrova alticcio. Come dire ai giovani: "divertitevi, ubriacatevi pure, poi ci penseremo noi. Non occorre siate responsabili, né di voi stessi né degli altri. Ci pensiamo noi adulti. Non vogliamo toccare la sacralità del vostro divertimento e il piacere di fare quello che vi aggrada. Noi non abbiamo potuto farlo...". Sarebbe più semplice e soprattutto più sano evitare di bere senza criterio, non rovinare la propria salute, stabilire orari decenti per ogni tipo di locale, tornare a casa tranquilli. Ma tutto ciò intacca la "libertà" personale. Non riusciamo a liberarci dallo spirito del Carnevale. La Quaresima di uno stile di vita sobrio ha sempre fatto bene a tutti e portato felicità, molto più del vino ingozzato o dello smog che ci riversiamo addosso.  don Dionisio Rossi   Parroco di Cusignana.

IL GAZZETTINO (Pordenone)
Ubriaco soccorso a Vajont

Attimi di paura, nella serata di ieri, per un uomo che, chiuso nella propria auto parcheggiata in una strada di Vajont, sembrava non dare segni di vita. L’uomo è stato soccorso dal "118" che ha scoperto che non era vittima di un malore, ma dei fumi dell’alcol. Intorno alle 19 il personale del "118" ha invece soccorso e condotto precauzionalmente in ospedale un pedone, che era stato investito in via Dante a Pordenone. Non è grave. Altri incidenti con feriti seri a Pordenone, Casarsa della Delizia e Porcia.

IL GAZZETTINO (Treviso)
Giovane ubriaco disturba i clienti di un locale Denunciato

Giovane, in evidente stato di ubriachezza, inveisce contro dipendenti e clienti di un locale. Interviene la polizia, insulta gli agenti e li aggredisce, guadagnandosi una denuncia. E’ stato deferito in stato di libertà, B.S., 23 anni, incensurato trevigiano. Il giovane è accusato di resistenza a pubblico ufficiale. L’episodio è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato, intorno alle 2, all’Interno 7, in galleria Bailo. Il 23enne, secondo quanto ricostruito dalla polizia, è entrato all’interno del locale dove si trovavano numerosi avventori. Era in evidente stato di ubriachezza, al guinzaglio aveva un cane di piccola taglia, lo ha poggiato sul bancone dove stava lavorando il dj, poi avrebbe iniziato ad insultare inservienti e clienti. Un suo amico ha cercato di calmarlo, portandolo in bagno, ma anche questa operazione si è rivelata inutile. Alla fine i proprietari dell’Interno 7 si sono visti costretti a chiamare la polizia per calmarlo. Sul posto sono intervenuti gli agenti della squadra volante. Il lavoro dei poliziotti non è stato facile, ma alla fine sono riusciti a far salire sulla Marea della polizia il 23enne, portandolo in Questura. Ma anche negli uffici della Volante il giovane ha continuato a creare problemi, si sarebbe lasciato andare anche a azioni di autolesionismo, battendo il capo contro le pareti. Alla fine è stato accompagnato in ospedale e poi consegnato alla famiglia. Il giovane è stato denunciato in stato di libertà pere resistenza a pubblico ufficiale.

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
Coinvolti locali e discoteche
No a droga e alcool: l’Azienda farmaceutica rilancia la prevenzione

No alle serate da sballo in discoteca, no ai rischi derivanti dall’assunzione di alcool. Prosegue anche d’inverno la campagna di prevenzione «Non gettare a vita in un bicchiere», promossa dall’Azienda farmaceutica comunale di Taranto e già portata avanti nei mesi estivi del 2003 e del 2004. Per due estati, davanti alle diverse discoteche del territorio, l’Azienda farmaceutica comunale ha provveduto a distribuire gratuitamente degli alcool test che hanno suscitato sicuro interesse e consensi nell’utenza, nei media e nell’opinione pubblica. «Alla luce dei brillanti successi ottenuti - dice ora la presidente Graziana Bruno - tale servizio verrà effettuato anche nel periodo invernale estendendo la campagna anche nei luoghi di ritrovo della città i cui gestori hanno offerto la propria disponibilità ad ospitare l’iniziativa mostrando così un elevato senso civico ed una particolare attenzione nei riguardi dei propri utenti». I luoghi di ritrovo coinvolti nel progetto di prevenzione sono Exit (sul Lungomare), Sonar (San Vito), Cocomeròs (nei pressi della nuova Stazione navale), Cosmopolitan (corso Umberto), Gandalf (via D’Aquino), Beethoven (via Lacaita), Club ’73 (San Vito), Lucky Corner (viale Trentino). «Con il prosieguo dell’iniziativa, l’Azienda farmaceutica - dice Bruno - intende sottolineare la continuità e la crescita del proprio impegno». M.R.G..

LA SICILIA (Ragusa)
«La Provincia ha perso le strade del vino?»
Che fine ha fatto lo statuto per il progetto provinciale denominato «Le strade e le rotte del vino Cerasuolo e dei vini iblei»? Se lo chiede e lo chiede il sindaco Francesco Aiello. Mittente è ovviamente l’amministrazione provinciale di Viale del Fante, ente titolare dell’iniziativa prima citata.
A dire del primo cittadino di Vittoria nulla sarebbe stato fatto, nonostante le rassicurazioni dei principali inquilini di Viale del Fante. Spiega Aiello: «L’assessore allo Sviluppo economico Bocchieri e lo stesso presidente Antoci ci avevano rassicurato sul fatto che lo statuto delle strade del vino sarebbe stata cosa fatta non oltre la fine di gennaio. Invece nulla di concreto si è ancora visto all’orizzonte. Tutto questo è perlomeno strano. Non è concepibile perdere altro tempo prezioso. C’è il rischio di perdere finanziamenti preziosi e cospicui. Soldi che i produttori di vino attendono per migliorare le loro aziende dal punto di vista turistico».
Aggiunge il sindaco di Vittoria: «In secondo luogo il mancato riconoscimento delle strade del vino iblee da parte della Regione comporta anche un altro rischio, quello di perdere i finanziamenti per la la realizzazione delle strutture collegate al network delle enoteche regionali. Perchè si sta perdendo del tempo prezioso? Che cosa aspetta la Provincia a darsi da fare?». Le strade del vino, ovvero una imperdibile occasione di sviluppo per le aziende vitivinicole locali, specie per quelle che commercializzano il Cerasuolo di Vittoria, uno dei rossi più importanti di Sicilia.
Sulla questione prende posizione anche il presidente del Consiglio di circoscrizione Nord, Giovanni Giaquinta, che sollecita la Provincia, esattamente come ha fatto il sindaco Aiello: «A breve la Regione pubblicherà il bando per l’attivazione dei network satellitari a fianco dell’enoteca regionale prevista per le strade e le rotte del vino.
«Il riconoscimento del progetto ibleo è a rischio. Perchè questi ritardi da parte della Provincia? Bisogna provvedere subito alla redazione ed alla approvazione della bozza di statuto e del disciplinare da inoltrare alla Regione Sicilia».  G.R.
IL TEMPO
Gli italiani a caccia del capello perduto
La calvizie galoppa soprattutto a causa di stress, inquinamento e abuso di alcol e tabacco
Quindici milioni di uomini e dieci di donne non si rassegnano e ricorrono a cure costose per far ricrescere la chioma

NUOVA proposta di trattamento, da parte della ricerca scientifico-cosmetologica, rivolta al mondo di coloro che temono per la propria capigliatura, sensibilissimi alle parole «calvizie incipiente» e non ancora rassegnati a quello che molto spesso è l’inevitabile destino della perdita di capelli. Un mondo fatto di una moltitudine di gente. Tanta, da giustificare anche 10 anni di costosa ricerca scientifica, come hanno sottolineato ieri a Milano, esperti di fama internazionale come Antonella Tosti, dermatologa dell’Università di Bologna. Per la ricercatrice, infatti, nel corso della propria vita il 50% delle donne e l’80% degli uomini, in Italia, sperimenta una forma di alopecia androgenetica, termine scientifico per identificare la calvizie. «In Italia - afferma Tosti - sono 15 milioni gli uomini e 10 milioni le donne a rischio di calvizie». Che sommati fanno 25 milioni, una cifra corrispondente a un italiano su due. E non si tratta certo di un tema poco rilevante, se è vero che - come ha sottolineato Marco Vecchia, docente di Teorie della Comunicazione all’Università di Milano - i capelli «possono manifestare il nostro carattere, il nostro umore, la nostra personalità, lo stato di salute, l’età, la cura che abbiamo di noi stessi, l’essere alla moda, l’appartenenza a un gruppo. In una parola, sono un manifesto che parla per noi». Vecchia ha condotto un’indagine qualitativa sui problemi che la capigliatura suscita e ha concluso che i capelli belli «parlano bene di noi» e «ci fanno accettare dagli altri e da noi stessi». Se i capelli non sono belli «è colpa dell’età o dello stato di salute, dell’inquinamento o dello stress». Molti danno la colpa «al servizio militare che li ha costretti a portare il berretto o la bustina, agli shampoo aggressivi, al phon, ai genitori, al destino o alla propria trascuratezza». Come si vede, quello dei capelli è «un argomento a cui la società di oggi è ultrasensibile» e la pubblicità ha qui «un ruolo centrale, perché si trova davanti a un pubblico non solo numerosissimo, ma estremamente sensibile». Nulla di strano che le aziende che si occupano di cosmetici o di farmaci, siano disposte a investire in ricerca enormi somme di denaro, perché alla fine la risposta del pubblico può essere assai soddisfacente dal punto di vista economico. In questo campo sono almeno due, negli ultimi 10-15 anni, le molecole che hanno avuto una qualche conferma scientifica: il minoxidil, farmaco anti ipertensivo i cui benefici contro la caduta dei capelli sono stati scoperti per caso, e la finasteride, farmaco utilizzato principalmente nell’ipertrofia prostatica benigna. Fra i preparati cosmetici, l’aminexil (messo a punto nel 1995) contro l’indurimento del collagene alla base dell’invecchiamento delle radici del capello. Ma man mano che la ricerca procede, gli scienziati sono aiutati anche dalla disponibilità di nuovi mezzi tecnologici, come la videodermoscopia, uno strumento che - come ha osservato Antonella Tosti - «riesce a mettere a nudo il cuoio capelluto», facendo luce anche su alcune cause della calvizie e che ha messo gli scienziati in condizione di individuare una nuova fase del ciclo naturale del capello. A quelle di anagen (crescita), catagen (riposo), telogen (caduta), si aggiunge oggi kenogen, una fase di riposo tra la caduta del capello e la crescita di uno nuovo. Nelle malattie del capello questa fase si prolunga, ma un semplice massaggio quotidiano basta a normalizzarla. E gli studi recenti hanno anche permesso di identificare alcuni fattori di rischio che, producendo «radicali liberi», possono incidere negativamente nel ciclo del capello. «Sono - ha detto Tosti - il fumo di sigaretta, i raggi Uv (troppo sole o lampade abbronzanti), le cure dimagranti drastiche, l’uso di anabolizzanti nel culturismo, lo stress e anche l’uso di certi integratori alimentari. (*) La novità proposta è l’associazione di due sostanze che agirebbero nella fase di kenogen: all’aminexil è stato associato un composto nuovo. Sperimentato nel follicolo pilifero in vitro, questo prodotto, dopo sei settimane di trattamento preserverebbe dalla caduta il 10% dei capelli.
 
(*) Nota: nel testo dell’articolo non si trova traccia dell’alcol indicato nel titolo.
In realtà mi risulta che tra i numerosissimi rischi e danni alcolcorrelati non rientri la caduta dei capelli, anzi...
In oltre 15 anni di frequentazione di innumerevoli famiglie devastate dalle bevande alcoliche, mi è parso di notare una minore incidenza di calvizie tra i cosiddetti "alcolisti" rispetto ai non bevitori.
Potrebbe avere a che fare con il minor testosterone, a conseguenza del bere: come dire capelli in testa ma scarso funzionamento più in basso.
Alla fine poi rimane sempre una questione di scelte individuali.

GAZZETTA DI PARMA
Quando l’influenza si curava col lambrusco
L’influenza c’è sempre stata. Un tempo era chiamata « fardòr » , ora le si affibbiano nomi in codice da extraterrestre e la si cerca di isolare appena spunta come si fa con le erbe infestanti dei campi. La « bastarda » , che può provenire dalle più sperdute plaghe del globo, affinchè non provochi ulteriori danni, è fronteggiata dal vaccino: una sorta di punturina di speranza che dovrebbe attutire gli attacchi di tossi, raffreddori e febbroni da cavallo. Il panorama farmacologico moderno, infatti, è colmo di prodigiosi rimedi per la salute, ma un tempo le cose andavano in modo assai diverso. Vediamo un po’ di percorrere a ritroso il « fai da te sanitario » di ieri. Innanzitutto i nostri nonni, quando si ammalavano, il medico lo si chiamavano al capezzale solo per motivi gravi o addirittura gravissimi, in quanto la gente si arrangiava con mezzi propri. Magari anche, a volte, rischiando la pelle, assumendo pozioni, misture e altre diavolerie frutto delle antiche tradizioni popolari unitamente a quelle segnature che per taluni disturbi quali storte, vermi, Fuoco di Sant’Antonio, a detta degli ormai pochi sopravvissuti, risultavano davvero efficaci . Quando un bambino si ammalava di influenza o buscava un sonoro raffreddore, ( in quanto le case non era riscaldate, i ragazzi giocavano prevalentemente all’aria aperta, in strada, nella corte o sotto il portico ruzzolando nella neve, oppure correndo sotto l’acqua) i rimedi erano spartani: permanenza a letto, latte bollente con miele, brodo caldo e le terribili « pappine » ( impjà stor) e per concludere, chissà perchè, sempre e comunque la purga che consisteva solitamente in una robusta dose di olio di ricino. Le « pappine » erano una sorta di tortura medievale che consisteva in una poltiglia incandescente di semi di lino avvolta in pezze di stoffa e poi scaraventata senza tanta pietà sul torace o sulla schiena del piccino. In alcune zone c’era anche la tradizione del mattone caldo appoggiato sul petto, ma le « pappine di lino » erano decisamente più diffuse. Gli imbarazzi di stomaco, ma anche alcune forme catarrali, si curavano con il popolare olio di ricino. Due cucchiai della ripugnante soluzione oleosa alla mattina a digiuno seguiti da orzo caldo e poi, per tutto il giorno, i nostri nonni non si potevano sottrarre alla processione in bagno che in moltissime case, fra l’altro, era ubicato sulle scale o, peggio, nel cortile. Negli anni Cinquanta e Sessanta per alleviare i disagi dell’olio di ricino puro, alcune case farmaceutiche avevano ideato dei bicchierini ( monodose) di vetro al gusto di menta, mandarino e arancio con i rispettivi colori originali. Ma, nonostante una leggera edulcorazione ed il piacevole effetto cromatico, era pur sempre olio di ricino con tutte le spiacevoli conseguenze che poteva comportare. La nausea causata da cattiva digestione o da forme influenzali, oppure quando qualche anziano si sentiva « imballonè » , ossia affetto da tosse, raffreddore e catarro, combatteva questi disturbi con brodo caldo di verdura in tazza « corretto » con una « nuvola » di vino rosso ( solitamente lambrusco): il nome del rimedio era « sorbir » , mentre le donne ricorrevano ad un rimedio più gentile: le « visciole sotto spirito » . Per rinvigorire i bambini reduci da una brutta influenza o anche da morbillo, orecchioni e quindi bisognosi di vitamine, oltre il solito vov preparato dalle nonne con tanto di gusci d’ uova macerati dentro la gialla mistura alcolica, si ricorreva all’olio di fegato di merluzzo che rappresentò un incubo per tutti i bambini nati negli anni Quaranta e Cinquanta. Alla mattina a digiuno, mamme e nonne, somministravano abbondanti cucchiaiate del ripugnante sciroppo nelle tazze d’orzo bollente che emanavano un nauseabondo lezzo di pesce e di «frescume » . Per quanto concerne l’olio di fegato di merluzzo, negli anni Cinquanta, una casa farmaceutica statunitense lanciò sul mercato un prodotto contenuto in vasettoni di vetro blu scuro. Era sempre schifoso, ma almeno aveva una leggera aroma di arancio. La dieta dei nostri vecchi in caso di epidemie che colpivano stomaco e pancia consisteva nella « panadela » : pane cotto nell’acqua con una foglia di lauro, un po’ di sale, una lacrima d’olio ed una spruzzata di parmigiano. E in caso di «epidemie » di influenza e altro genere di accidenti, l’antica saggezza voleva che, specie gli anziani, biascicassero come una pasticca uno spicchio d’aglio. Era infatti credenza diffusa che preservasse dal contagio anche perchè, parliamoci chiaro, chi si sottoponeva a questa terapia, indubbiamente si isolava dal resto del mondo in quanto il suo mefitico alito era a dir poco insopportabile. Probabilmente anche per i germi.
 
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Lunedì, 07 Febbraio 2005
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